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Visita guidata, White collar e Criminal Minds

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rabb-it
view post Posted on 28/2/2011, 17:07 by: rabb-it




Mi sa che sono andata un po' OOC (Out Of Character) con i personaggi. Oh io all'inizio lo avevo detto, rovinavo due telefilm al prezzo di uno.
Buona lettura.


Quando aveva visto il taxi fermarsi davanti a lui aveva esitato, poi la portiera si era lievemente aperta, c’era qualcuno che si era accovacciato per non farsi vedere. Pochi dubbi sull’identità della misteriosa persona che gli offriva un passaggio all’ora di punta. Era salito, domandandosi come pensasse di evitare di essere seguita con un tale munito di gps da caviglia al seguito.
Il tassista era ripartito, lei in silenzio aveva armeggiato con la cavigliera, sganciandogliela e dandogliela poi in mano, solo allora lo aveva salutato.
“Buongiorno Neal, ora torneremo nei pressi di quell’ambulante e gli dirai di darla al tuo nuovo amico dell’efbiai, se vuoi rivedere quello vecchio.”
“Buongiorno anche a te Alex, non minacciarmi. Se capita qualcosa a Peter…”
La donna lo interruppe: “Non dipende da me, non più.”
“Cosa stai dicendo? Se Peter non lo hai rapito tu… come puoi evitare che gli capiti qualcosa?”
“Oh no, lo avevo rapito io. Fatto rapire per essere precisi. Ma era solo per evitare che tu consegnassi tutto nelle mani dei federali. Volevo la mia parte e Peter era la mia assicurazione, anche se mi ero accertata che non gli venisse fatto alcun male.”
“Alex io…”
L’uomo era furioso. Sapeva che il bottino faceva gola anche a lei, ma non avrebbe mai pensato arrivasse a tanto. Si trattenne a stento dal prenderla a sberle.
“… hai detto che non dipende più da te, spiegati meglio!”
Nel frattempo lui notò che erano in un punto della città in cui perdere di vista un taxi in mezzo alla bolgia era un attimo, Alex aveva valutato bene l’orario e il luogo. Erano proprio affini loro due, nonostante l’irritazione crescente nei suoi confronti non poteva che esserne nello stesso tempo colpito.
“Adler ha scoperto dove lo tenevo nascosto, un certo idiota non è stato abbastanza prudente, e i suoi uomini sono passati a prenderlo questa mattina. Mi ha dato un ultimatum: o con lui o contro di lui. Lo sai, non dà seconde occasioni.”
“Quindi ora mi consegnerai a lui in cambio della tua parte? È questo il patto?”
“Non esattamente, ma ora liberiamoci di questo gingillo.”
Erano ritornati al luogo dell’incontro. Il tassista si era voltato per dire qualcosa ad Alex e Neal aveva visto che era stato pestato. Gli uomini di Adler, probabilmente. Neal sospettava che la frase su chi non era stato prudente si riferisse proprio a lui.
Alex era scesa dal taxi ed aspettava Neal, che la seguì e si diresse verso l’ambulante facendo quello che lei gli aveva ordinato. Peter era in pericolo e se consegnarsi era l’unico mezzo per salvarlo lo avrebbe fatto. Anche se sentiva che c’era qualcosa in quella faccenda che gli sfuggiva. Era una sensazione estremamente fastidiosa. Ed eseguire gli ordini non era la cosa che gli veniva meglio.
Come far capire che non stava… scappando?
Cercò di assumere un espressione particolarmente infastidita, cosa facile visto che lo era per davvero. Sperava che l’uomo notasse il suo fastidio e lo riferisse. Forse sarebbe bastato. O avrebbero pensato a un qualche inganno.
Probabile. Non sarebbe stata la prima volta, e il fatto che prima in ufficio avesse dato in escandescenze non deponeva certo a suo favore. Alex lo stava ficcando proprio nei guai, e lui che aveva rischiato così tanto per lei. La sua libertà condizionata. La fiducia di Peter.
Grazie mille, Alex. Pensò ironico.
Risalirono sul taxi e si allontanarono. Senza aspettare di vedere l’arrivo dei federali, non era il caso di farsi trovare nei paraggi. Arrivarono nei pressi di un palazzo che doveva aver visto tempi migliori, non doveva essere rientrato nei progetti di recupero urbanistico degli ultimi sindaci della città, ottimo nascondiglio.
Alex gli fece strada fino ad un appartamento, la cui porta scardinata faceva ben capire cosa poteva essere capitato.
“Qui era dove tenevi Peter? Qui ti sei assicurata che non gli capitasse niente di male?”
“Doveva restarci solo pochi giorni, una settimana al massimo, tu mi avresti dato la mia parte e io lo avrei liberato.”
Neal entrò nel secondo stanzino, e vide la catena a terra. Si voltò furibondo verso la donna.
“Lo avevi incatenato? Davvero un bel modo per trattare un prigioniero!”
“Andiamo Neal, tu sei alla sua catena da oltre un anno ormai, che vuoi che sia qualche giorno di prigionia?”
L’uomo afferrò la donna per le spalle, il complice di Alex si mosse per fermarlo, ma lei gli disse di stare al suo posto. E guardò fisso negli occhi Neal.
“Avanti, colpiscimi se pensi che ti farà stare meglio, ma ricorda Adler farà ben di peggio.”
Neal era veramente tentato di allungarle una sberla, l’idea dell’amico legato ad una catena lo mandava in bestia. Vero anche lui aveva una sorta di catena, ma era ben diverso e poi lui era un delinquente per cui un poco se lo meritava, Peter no.
“Non provocarmi!”
La lasciò andare, ben consapevole che ora era alla sua mercé, toccava a lei muovere.
O ad Adler.

Intanto Peter riprese conoscenza e si accorse di non essere nello stanzino dell’altra volta. Non aveva più la catena alla caviglia, ma non era nemmeno libero, era in una cella.
No, questo è un incubo. Si disse. Prima una cavigliera ora una cella, si tratterà mica di un qualche scherzo di Neal?
Sapeva che non era vero, ma l’idea di fargli provare come ci si sente a stare incatenati e in una cella a Neal poteva anche essere venuta, viste le volte che lo prendeva in giro per la condizione di suo prigioniero per i prossimi tre anni. Però era consapevole che non sarebbe mai arrivato a tanto, o almeno se lo augurava.
Arrivò un uomo, a volto scoperto.
Gran brutto segno. Pensò Peter.
“Ben svegliato, per un momento avevamo temuto di averla persa. Ma a quanto pare ha la pelle dura.”
“Dove sono?”
“Oh cominciamo già con le domande? Forse non le è chiaro, qui le domande le facciamo noi. Signor federale.”
Mozzie lo chiamava abitualmente “federale”, con lo stesso tono di scherno, ma senza la nota di cattiveria di quella voce. Come può cambiare una parola a seconda di chi ce la dice; quando la sentiva da Mozzie ormai gli scappava solo da sorridere, pronunciata ora… era una minaccia.
Guardò fisso il suo carceriere, non gli avrebbe dato la soddisfazione di farsi prendere dal panico all’idea di essere loro prigioniero. Contava sulla sua squadra, su Caffrey. Non lo avrebbero lasciato solo. Di quello era certo, o perlomeno doveva pensarlo chi lo teneva prigioniero, vedendolo tranquillo ad agitarsi sarebbero stati loro.
L’uomo sostenne lo sguardo dell’agente, poi scosse la testa come se non si aspettasse niente di diverso, e lo lasciò da solo senza aggiungere una parola.
No, non sembrava agitato. Non ancora almeno.
Cercò di capire cosa poteva essere capitato. E sperò che gli altri avessero messo Elizabeth al sicuro, perché di certo se lui era finito nel mirino di queste persone lei poteva essere in pericolo. No, non voleva pensarci, sicuramente l’avevano protetta. Era facile non mostrare preoccupazione per se stesso, un altro discorso se solo immaginava che facessero del male a sua moglie.
Gli era intollerabile il solo pensiero.

Mozzie le aveva detto che sarebbe tornato presto con delle notizie. Elizabeth aveva detto che andava bene, l’uomo non sospettò nemmeno per un momento quali fossero le reali intenzioni della donna. Non aveva alcuna voglia di accettare ulteriormente la sua condizione di prigioniera. Ma sapeva che se avesse detto a Mozzie: “Vengo anche io a sentire.” non avrebbe ottenuto niente.
Aspettò che fosse uscito e poi prese la scala di servizio. Lo seguì e si accorse che stava andando direttamente agli uffici dell’Efbiai. Doveva essere capitato qualcosa di grosso perché Mozzie non si limitasse a chiamare Neal per essere aggiornato. Sapeva quanto detestasse gli edifici federali, il fatto che vi si stesse dirigendo non poteva essere un buon segno.
Lo vide fermarsi un attimo, come per riprendere fiato mentre si apriva l’ascensore, rimase lì fermo davanti per qualche istante, le porte stavano per richiudersi, lei si fece avanti. Bloccando le porte.
“Andiamo Mozzie, oramai ci siamo.”
L’uomo sussultò come colpito da una scarica elettrica.
“Tu. Ma dovevi…”
Si bloccò rendendosi conto che era stata tale l’agitazione mentre veniva in uno dei posti che odiava di più al mondo da non essersi nemmeno reso conto che lei lo aveva seguito.
Neal questa non me la perdona. Ho messo Elizabeth in pericolo.
Lei parve capire cosa lo agitava.
“Andiamo, Neal e Peter non potevano pensare che me ne sarei stata buona ad attendere notizie. Ho colto l’attimo.”
Nel parlare aveva lievemente spinto l’uomo nell’ascensore e premuto il tasto del piano degli uffici del marito. Quando le porte si aprirono vide chiaramente il panico negli occhi dell’uomo. Distintivi e pistole.
Il posto aveva un che di terrorizzante per un truffatore di lungo corso come lui.
Hotch vide lo stesso terrore e riconobbe l’uomo descritto da Jones.
Il messaggio di Reid ha funzionato.
Quello che non si aspettava era la presenza della moglie di Burke. Avevano dato la falsa notizia della liberazione imminente dell’uomo, ora le avrebbero dovuto spiegare che era una menzogna. Rimpianse l’assenza di JJ, lei avrebbe trovato il modo migliore per scusarsi della falsa speranza.
Si presentò alla donna, che lo riconobbe come l’uomo visto al notiziario.
“Signora Burke mi dispiace incontrarla in queste circostanze, sono l’agente Aaron Hotchner, stiamo ancora cercando suo marito. Mi dispiace se con il notiziario le abbiamo dato false speranze, ma dovevamo attirare l’attenzione di Mozzie.”
Elizabeth ci mise pochi istanti a capire che doveva essere capitato qualcosa anche a Neal, lui non avrebbe avuto bisogno di un notiziario alla TV per contattare l’amico. E lo disse all’uomo che le porgeva la mano insieme con le sue scuse.
“Cosa è capitato a Neal? Lui avrebbe semplicemente telefonato a Mozzie.”
Se Hotch rimase sorpreso dalla rapida reazione della donna non lo diede a vedere.
Questa donna ha carattere. Buon per lei.
“Non ne siamo certi, sembra che sia stato rapito a sua volta, ma potrebbe anche essere complice.”
“Non dica sciocchezze!”
Era stato Mozzie ad intervenire, come se solo l’accusa all’amico lo avesse risvegliato dallo stato di catatonia in cui pareva essere caduto nei secondi seguenti al panico. Elizabeth gli posò una mano su una spalla per calmarlo.
Hotch fissò l’uomo, senza dire una parola, lo vide distogliere lo sguardo in fretta. Come se solo in quell’istante si fosse reso conto del tono di voce usato. Ma lo rialzò altrettanto rapidamente.
“Sarà meglio che abbiate delle buone ragioni per accuse così infami. Neal non sarebbe mai complice di chi ha rapito Peter, lei non lo conosce come lo conosco io.”
“No, per quello l’abbiamo cercata. Caffrey ha detto che lei ha quello che cerca Adler. E quanto pare lo sta cercando anche una certa Alex Hunter. È con lei adesso, ma non sappiamo se di sua spontanea volontà o meno.”
“Alex? Ma se stiamo collaborando!”
“È la stessa cosa che ha detto Caffrey prima di andare all’incontro con lei. Dopodiché è scomparso.”
“E la cavigliera?”
“Tolta. Sospettiamo di un marshall che non si riesce a rintracciare, forse si è lasciato corrompere. Ed ha fornito alla signorina Hunter il codice per disattivarla.”
“Ah certo che ne avete di gente affidabile, e poi sospettate di Neal? Guardate le vostre travi invece delle altrui pagliuzze!”
“Può aiutarci a capire dove può essersi nascosta?”
“Certo che posso! Non è stata sua l’idea del cartello, vero?”
Hotch non se la prese per l’implicita accusa nella frase; il lei non è abbastanza intelligente era talmente mascherato da semplice curiosità che forse se lo era solo immaginato. Gli veniva spontaneo leggere tra le righe di quello che gli altri dicevano, sempre ed in ogni momento, ma poteva lasciar correre. Si domandò solo quante volte doveva aver fatto uscire dai gangheri Burke un tale soggetto.
“No, è stato un mio collega basandosi su cose dette da Caffrey.”
Arrivarono anche gli altri durante quello scambio.
Diana chiese a Elizabeth se voleva un caffè. Lei accettò volentieri e chiese di poter andare nell’ufficio del marito ringraziando Diana per la cortesia.
Il resto della squadra venne rapidamente presentato ad entrambi. Spencer chiese a Mozzie quanto gli ci era voluto per risolvere l’anagramma e il codice usato. Parlottarono per qualche istante di alfabeti baconiani e successioni di Fibonacci, e prima che l’uomo se ne rendesse conto gli aveva rivelato i dettagli del frattale. Era bravo Reid a far parlare il prossimo. Specialmente se era su un terreno a lui noto, come il calcolo statistico e la matematica applicata. Però aveva capito solo Spencer, che dovette tradurre agli altri in parole povere. Semplificando i concetti.
Derek era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ancora scottato per la sfuriata di Diana. Ora vedersi l’amico di Caffrey prima timoroso e poi via via sempre più tranquillo nell’esposizione dei fatti a lui noti, lo innervosiva ulteriormente. Non aveva esagerato in caffetteria quel mattino, era proprio come Reid. Sparava dati a macchinetta, ricordava il progetto che stava costruendo come se lo avesse di fronte, memoria eiedetica bis. Si ritrovò a pensare che forse non poteva reggere due Reid in un colpo solo, ma ascoltò le spiegazioni di Spencer e cercò di non farsi distrarre.
Emily e Rossi erano sorpresi quanto Derek, ma loro due non avevano un conto in sospeso con Caffrey. Non erano arrabbiati con lui, quindi erano meno scettici nei confronti del suo amico. Almeno fino a che avessero pensato che Caffrey era una vittima e non un complice della Hunter.
Elizabeth rimase colpita da quel giovane che aveva messo Mozzie suo agio semplicemente parlando il medesimo linguaggio. Empatia, le aveva detto che si chiamava Peter, quando riesci a capire il prossimo solo per il vissuto e lo fai tuo. Un dono di pochi.
Le venne in mente un pomeriggio, il telefono si era messo a squillare, Peter stava lavorando a casa, era Neal che li invitava a cena da June.
Quando lo disse a Peter scoprì l’inganno di Neal, voleva che Peter facesse una cosa e lui aveva rifiutato, allora aveva aggirato l’ostacolo, sapendo che lei avrebbe convinto il marito a unire l’utile al dilettevole. Una cena con interrogatorio. Il mondo di Neal Caffrey che si mischiava a quello di Peter Burke. Empatia.
Chissà se era il termine adatto.

Continua...
 
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