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Visita guidata, White collar e Criminal Minds

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rabb-it
view post Posted on 29/1/2011, 01:25




Autore:Rabb-it
Titolo:Visita guidata
Rating:Basso
Categoria:indefinita
Avvertimenti:rovinerò entrambe le serie con un colpo solo!
Personaggi:Team Criminal Minds/ Team White Collar
Spoilers:Ci sono accenni della seconda serie di White Collar, e della sesta di Crimina Minds
Questa fanfiction prevede un uso indiscriminato dei personaggi di due telefilm.
White collar e Criminal Minds, i cui produttori e sceneggiatori -Eastin, Bernero e compagnia briscola - spero non mi facciano causa ma parola non ci sta lucro alcuno, solo divertimento.
Mio di sicuro, dei lettori non so. :rolleyes:

Note:Per i pomodori e le uova, secondo scaffale sulla sinistra.


Per gli evenutali commenti, eccovi il topic.

Visita guidata



E così quella era Quantico.
Era la prima volta che vi metteva piede.
Finora le sue frequentazioni degli uffici dell'FBI si erano limitate al piano numero 21 del palazzo a New York.
L'ufficio di Peter.
L'open space dove lui prestava la sua opera come consulente esperto in falsificazioni e furti d'arte.
E New York stessa.
Era casa sua da oltre otto anni ormai.
E negli ultimi 4 piuttosto stretta.
Per tre la cella di una prigione, poi nell'ultimo anno le due miglia, o tre chilometri, del raggio della cavigliera elettronica della sua libertà condizionata e l'accordo con Peter.
Ora era molto lontano dalle due miglia consentitegli, ma era con Diana.
Ecco la deroga al limite, se era con un agente al lavoro poteva sgarrare, ma solo per lavorare.
Normalmente lui lavorava con l'agente speciale Peter Burke, l'unico che lo avesse arrestato nel corso della sua carriera. Due volte.
Ma stavolta Peter era altrove. E dovevano trovarlo, con tutti gli aiuti possibili.
L'agente Diana Barrigan mostrò il tesserino di riconoscimento e gli fece cenno di seguirlo, era stata distaccata a Quantico l'anno precedente, poi era tornata a New York, ma nei mesi a Quantico si era fatta degli amici, a cui non aveva esitato a chiedere una mano.
Presero un ascensore, poi un lungo corridoio, si somigliavano tutti gli edifici federali, aveva ragione Mozzie... anche se non capiva come potesse saperlo il suo amico, visto che l'unico ufficio federale in cui era entrato era quello in cui lavorava lui.
Una porta a vetri con il logo dell'Efbiai.
Come se ci fosse bisogno di precisarlo, l'intero edificio era federale.
Un occhiata veloce, ah già cambiava la sezione.
Sembrava uguale, ma le scritte erano differenti.
Diana chiamò un nome di donna, una mora dai capelli lunghi si voltò nella loro direzione e le andò incontro con aria felice.
"Dì, che bello rivederti! Vieni gli altri ci aspettano in sala riunioni. Lui deve essere..."
"Neal Caffrey, piacere."
"Neal lei è Emily Prentiss, attento a quello che dirai, non c'è profiler migliore."
"Non dirlo in sala riunioni, io vorrei ancora lavorare con i miei colleghi in futuro."
Neal osservò divertito lo scambio tra le due donne, venivano da unità differenti, ma dovevano aver trovato dei punti di contatto per cui si era stabilità una reciproca stima.
Salirono i pochi gradini che separavano l'open space dalla sala riunioni.
"Ma li fanno con dei moduli prestampati?" Gli scappò detto.
Emily si voltò nella sua direzione, osservò cosa stava guardando e gli sorrise.
"Dici gli uffici? Eh così ci sembra sempre di stare a casa, qualsiasi sia il distaccamento."
"Non dargli corda, conosce solo l'ufficio di New York."
Neal scrollò le spalle con fare noncurante, mentre stavano entrando in una sala con un tavolo rotondo al centro.
Un uomo alto con i capelli corti e neri gli si fece incontro, salutò Diana e si presentò.
"Piacere agente speciale Aaron Hotchner."
Si voltò verso i colleghi ed indicò gli altri presenti scandendo i loro nomi, ad unico beneficio di Neal.
"Agente speciale Derek Morgan"
Un cenno del capo da parte dell'unico uomo di colore presente in sala.
"Agente speciale David Rossi."
Un uomo col pizzetto rispose alzandosi dalla sedia e stringendogli la mano. E quello Neal non se lo aspettava proprio.
"Dottor Spencer Reid"
Sembrava avere la sua età il giovane che rispose con un cenno della mano al suo saluto Dottore che ci fa un dottore all'efbiai?
"Agente Penelope Garcia."
Anche quella donna pareva fuori posto in quella stanza, aveva l'aria di chi vorrrebbe stare altrove, ma non può.
"Ho l'impressione che voi di me sappiate anche troppo, ma comunque, piacere di conoscervi."
Disse il giovane sedendosi nell'ultima sedia rimasta libera. Alla sua destra Diane e a sinistra il caposezione Hotchner.
La riunione poteva incominciare.

Continua...

Edited by rabb-it - 6/2/2011, 22:46
 
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rabb-it
view post Posted on 1/2/2011, 21:14




Le foto non gli rendevano giustizia.
Quando Emily le aveva detto su cosa, e con chi, avrebbero lavorato per i prossimi giorni, Penelope aveva fatto quello che faceva sempre, aveva preso informazioni.
E visionato fotografie.
Quelle segnaletiche erano pessime.
Ma che stava per arrivare in ufficio un gran bel giovanotto era evidente.
La sua collega, l’informatica della sezione White Collar di Washington le aveva detto qualcosa sul fatto che secondo lei non era niente di che, ma le sembrava che fosse come la storia della volpe con l’uva.
Siccome non la poteva prendere, dopo avervi provato e riprovato, aveva deciso che era acerba e non la voleva.
Visto che Neal Caffrey avrebbe lavorato con lei, allora non era un granché.
Chissà come devono essere fatti quelli che lo sono.
Inutile pensarci, è un bel vedere, questo è sicuro!
Ops Hotch mi ha presentata, saluta Penelope, ti ricordi come si fa?
Suvvia... lavori con Derek Morgan non è che non sei abituata ai bei ragazzi!

Il saluto uscì.
E lui parve aver colto la sua esitazione.
Oh non un altro profiler. Mi basta la squadra grazie.
Poi disse qualcosa sul fatto che loro sapevano anche troppo di lui.
Sì, abbiamo controllato prima di accoglierti qui a braccia aperte, pensi bene.
Il sorriso che le stava per salire alle labbra rimase in gola.
Lo aveva visto farsi serio di colpo.
La scheda che era apparsa sugli schermi di fronte a loro era quella dell’agente Burke.
Erano amici quei due.
Quell’amicizia che nasce dalla conoscenza reciproca.
Una cosa che nessuno di loro avrebbe mai potuto coltivare per qualcuna delle persone che catturavano.
Ma loro catturavano assassini.
Caffrey non era un assassino.
E non truffava poveri vecchietti derubandoli della pensione.
Oh restava un delinquente e per questo era quanto meno opinabile il rapporto creatosi tra un agente Efbiai e il suo consulente, ma quello sguardo davanti alla scheda.
A fianco della foto dell’uomo c’era la macchina che era stata ripescata dalla baia.
Era dolore quello che aveva visto. E non aveva potuto riderne, proprio no.

No, non era morto Burke.
Avevano gettato l’auto nella baia per rallentarne il ritrovamento, ma sapevano che era stato rapito.
Non tutti erano d’accordo con la ricostruzione dei fatti fornita da Neal, e il capo di Burke aveva detto a Diana di farsi aiutare per capire dove potevano averlo portato, prima che dai piani alti chiudessero il caso dandolo per disperso.
E Diana aveva pensato a stilare un profilo della persona che pensavano stesse dietro a tutto, ma non un profilo qualsiasi.
Quest’uomo si era macchiato di più delitti.
Voleva un profilo su un serial killer, le cui dinamiche erano però più note a Neal, che non a loro.
Per quello la riunione.
Con Neal a spiegare le cose che potevano sfuggire a chi segue schemi diversi.
Però dovevano andarci cauti, Neal non era preparato a certe cose.
Non aveva l’addestramento di un agente.
Il suo sguardo quando aveva visto di nuovo la macchina di Peter, era lo stesso di quel giorno, quando le aveva detto che avevano rapito l’uomo ed era dalla parte opposta della strada.
Impotenza, rabbia e dolore mescolati insieme.
Il Neal scanzonato che ironizzava, scomparso.
Al suo posto un accenno di quello che aveva visto il giorno che stava per sparare a Fowler, e solo Peter lo aveva fermato, ma quello ai suoi amici di Quantico non lo aveva detto.
Pensava non servisse dire che Neal se voleva poteva diventare pericoloso. Chiunque può diventarlo se debitamente provocato. E Neal da quell’uomo era stato provocato ad oltranza.
Non voleva tradire la fiducia che Peter aveva in lui.
Sperava di non doverlo fare.

Un lampo.
La rabbia era passata come un lampo nello sguardo di quel giovane.
L’agente Rossi prima si era alzato a stringergli la mano per vedere come reagiva alle azioni impreviste.
Impassibile. Un sorriso stampato in volto, un aria canzonatoria.
Se anche il gesto lo aveva stupito lo aveva nascosto bene, indecifrabile.
Fino a quel lampo. Davanti alle fotografie.
L’odio nei confronti di chi lo aveva colpito era evidente, ma solo se non ci si faceva ingannare dal sorriso che metteva su come una maschera.
Aveva ripreso compostezza in pochi istanti, ascoltava sereno la lista di nomi che elencava Garcia.
Sembrava preso a prendere appunti mentalmente.
Oh no... ci mancava un altro Reid!
Ma quell’attimo di odio, di ira repressa appena intravista, lo preoccupava.
Osservò Diana e si accorse che anche lei osservava le reazioni del giovane.
Sa qualcosa.
La decisione era presa, prima di qualsiasi mossa lui e Hotch dovevano parlare chiaro con Diana, non potevano rischiare.
Chiarezza prima di tutto, loro dovevano essere al corrente di tutte le dinamiche in gioco.
Ogni dettaglio.
O sarebbe stato inutile qualsiasi profilo.

Continua...

Edited by rabb-it - 6/2/2011, 22:47
 
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rabb-it
view post Posted on 6/2/2011, 14:33




Avvertenza: questa parte è ricca di spoiler sulla seconda serie di WC, non leggetela se non volete rovinarvi la visione degli episodi quando arriveranno doppiati.
Posto oggi perché... settimana prossima sarò altrove impegnata e non mi pareva giusto farvi aspettare troppo.
E poi dite che sono cattiva... ;)
Buona lettura.



Era sotto esame e lo sapeva.
Niente di strano, era abituato ad esserlo.
Per molti, se non per tutti, lui era solo un delinquente che per non stare dietro le sbarre aveva accettato un patto con un agente.
Certo con Peter e la squadra aveva creato un buon rapporto, a volte si fidavano di lui, ma rimanevano all’erta. Erano le regole del gioco.
Mozzie avrebbe avuto una massima adatta allo scopo.
Lui in quel momento no.
Quando sullo schermo era apparsa l’auto di Peter per un attimo aveva rivisto il rapimento.
Peter lo aveva avvisato che non doveva andare in ufficio, ma ad un indirizzo sulla 23esima strada.
Vi si era diretto, ed aveva visto l’agente fuori dalla sua auto che guardava l’orologio impaziente.
Aspettava lui, era in ritardo.
Neal stava aspettando di attraversare la strada quando due persone avevano afferrato Peter alle spalle, gli avevano messo in testa un cappuccio nero e lo avevano spinto dentro la macchina, per poi sparire velocemente ingoiati dal traffico di New York.
Aveva chiamato immediatamente la squadra, i soccorsi.
Niente l’auto era scomparsa, trovata due giorni dopo nella baia.
Nessuna traccia di Peter.
Sparito nel nulla come l’uomo a cui lui e Neal stavano dando la caccia.
E l’idea che le due cose fossero collegate era ben più di un ipotesi, dovevano aver scoperto qualcosa che aveva messo l’uomo in allarme.
Si erano avvicinati troppo senza saperlo.
E questo si era premurato di rendere inoffensivo Neal levando di mezzo l’unica persona che aveva abbastanza fiducia in lui da andargli dietro quando se ne usciva con qualche trovata.
Ascoltò la lista di nomi che già conosceva a menadito, le ultime ricerche effettuate, le ultime tracce.
Mancavano quelle parti che conosceva solo Peter.
Era stato da lui qualche settimana prima.
Voleva i dettagli di una storia, in cui aveva capito era coinvolto.
Non ne voleva parlare, certi dettagli erano reati per cui poteva ancora venire processato.
Peter sapeva che la maggior parte delle cose di cui era solo sospettato le aveva fatte sul serio, ma tra di loro c’era la regola del: si dice, non hai prove.
Ora gli stava chiedendo di rilasciare una confessione.
E gli aveva proposto un patto.
“Tu mi dai i dettagli, in modo che noi si possa prendere quella persona, e io dimenticherò di averli saputi da te, immunità totale, almeno per quello che mi dirai stasera.”
“Immunità totale?”
“Hai ucciso qualcuno?”
“No!”
“Ok, allora totale immunità. Racconta.”
E lo aveva fatto.
Si fidava di Peter, sapeva che avrebbe mantenuto la parola.
Anche con Sara.
Sara Ellis, recuperava beni di lusso per una compagnia di assicurazioni.
Era stata al suo processo anni prima.
Aveva aiutato a farlo condannare, come Peter del resto, ma voleva ancora qualcosa da lui.
La verità su un dipinto di Raffello che si diceva aveva rubato lui.
Era vero. Era stato lui. E faceva parte della storia raccontata a Peter, i sospetti ora erano certezze.
Ma non aveva proprio voglia che Sara lo scoprisse, non adesso che aveva smesso di registrare le loro conversazioni, sperava sempre di coglierlo in castagna le prime volte che avevano lavorato insieme.
Sbattè le palpebre, Sara non c’entrava in quel momento.
Doveva capire come spiegare le cose dette a Peter senza metterlo in cattiva luce con i colleghi e possibilmente senza finire di nuovo in prigione.
Cosa poteva aver detto Peter a Diana di quella sera?
Quanto le aveva riferito per permetterle di aiutarlo nelle indagini?
Forse tutto, Peter si fidava di Diana come lui di Mozzie, e poi erano solo conferme di cose che bene o male già sapevano.
Perché non glielo ho chiesto prima? Cosa aspettavo?
Aveva perso il filo di quello che stavano dicendo, tutti lo stavano fissando in silenzio.
“Tutto ok?”
Chiese l’agente Hotchner notando il suo spaesamento.
Derek aveva domandato a Neal dei dettagli su cose che Diane aveva accennato e si erano accorti che l’uomo si era come assentato dalla sala.
“Io... sì... ecco... stavo ripensando a quando Peter mi accennò al fatto che dovevo dirgli tutto quello che sapevo sulla persona che stavamo cercando, perché potesse catturarlo.”
Guardò Diana, sperando che proseguisse lei, facendogli capire fino a dove era obbligato a parlare e dove poteva omettere.
La donna di colore sospirò pensando che Neal la stava cacciando in un guaio e lei non aveva modo di impedirglielo.
“Peter ha fatto un patto con Neal: tutta la verità sull’uomo che stiamo cercando senza conseguenze per lui.”
“A noi interessa ritrovare un agente rapito e catturare un omicida, il resto non ci riguarda. Suppongo che l’agente Burke abbia fatto il medesimo ragionamento.”
Il modo ed il tono in cui l’agente Hotchner scandì il nome e il grado di Peter dette fastidio a Neal, ma si disse che non poteva aspettarsi di meglio da degli sconosciuti.
Lo sguardo del caposezione quando Diana aveva parlato di patto si era incupito.
Non ne capiva la ragione, sapeva bene chi era e cosa faceva perché stupirsi?
Ma non gli interessava, lui voleva solo sapere come potevano aiutarli.
E sbottò.
“Non capisco come sezionare la mia di vita possa salvare quella di Peter!”
“La persona che si suppone abbia fatto rapire Peter quanto sa della sua vita? Ecco spiegato come le due cose si intrecciano.”
Con un sospiro Neal si appoggiò allo schienale della sedia.
Era troppo teso.
Quasi due giorni senza dormire.
Un sapore metallico in bocca.
Lo stomaco chiuso.
Cosa gli aveva detto una volta Peter, quando lui era preoccupato per Mozzie?
“Ricordati di questa sensazione.”
Maledizione Peter!
Non potevi stare attento?
Sei tu l’agente addestrato, no?

Guardò di nuovo l’agente Hotchner.
“Mi scusi.”
“Non importa, è teso e la capisco, ma stiamo dalla stessa parte. Abbiamo il medesimo obiettivo.”

Continua...


Edited by rabb-it - 6/2/2011, 22:48
 
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rabb-it
view post Posted on 7/2/2011, 12:12





Mentre Neal e Diana erano a Quantico, altri a New York stavano ponendosi una serie di domande su uno strano messaggio arrivato al cellulare di Peter.
I rapitori dell’uomo lo avevano gettato immediatamente, per non farlo rintracciare, ed era nelle mani di Jones, un altro agente che faceva parte della squadra di Peter.
Il cellulare era in consegna all’efbiai in caso fosse arrivato qualche messaggio utile, ma sembrava un codice.
“Ho trovato qualcosa.”
Il numero era quello di Sara Ellis, Jones aveva tentato di chiamarla, ma riceveva sempre il segnale ripetitivo di non raggiungibile.
Gli venne in mente di domandare alla moglie di Burke, nel caso sapesse qualcosa.
E andò all’appartamento di Neal.
Sperando di trovare Mozzie, che su incarico dell’amico aveva messo la donna in un posto sicuro, altro che protezione testimoni, i nascondigli di Mozzie erano... introvabili nel vero senso della parola.
Neal non aveva un abitazione propria, era ospite di June.
Lo aveva preso in casa dopo aver conosciuto il giovane in un negozio dove era andata a vendere gli abiti del defunto marito, truffatore come Neal, le era stato simpatico e gli aveva voluto dare una mano.
Era sempre rimasto stupito, ed anche un po’ infastidito, di come la gente si facesse conquistare dai bei modi di Neal.
Ma così era. Inutile rimuginarci, o il rischio era di finire con il chiedersi a che pro essere onesti se a non esserlo rende così bene. Oh sì era stato in carcere Neal e tuttora era in libertà vigilata, ma spesso si domandava cosa sarebbe successo passati gli anni che doveva ancora scontare.
Avrebbe semplicemente ricominciato a delinquere come prima, sapendo anche delle cose che magari prima ignorava visto che li aiutava nelle indagini, o avrebbe realmente cambiato vita?
Peter si fidava, anche se non sempre. Ma nemmeno lui poteva sapere che direzione avrebbe preso una volta tolta la cavigliera e libero.
Nessuno lo sapeva. Tranne forse Mozzie.
Mozzie, il piccoletto come lo chiamava Peter, l’uomo senza nome, irrintracciabile, tranne da Neal stesso.
Jones non sapeva quando e come i due si fossero conosciuti, Neal ne conosceva il vero nome, ma non lo aveva mai detto a nessuno, quando Mozzie era stato ricoverato in ospedale per non farlo scoprire aveva dato come nome l’anagramma delle parole Uomo Invisibile.
Gli anagrammi e i codici.
Una costante con quei due.
June salutò Jones, e gli fece cenno di accomodarsi in salotto.
Mozzie era lì, seduto su una delle sedie come se lo aspettasse.
“Speravo di trovarti!”
“Neal mi ha detto di rimanere da Elizabeth, ma anche di passare ogni tanto da June.”
“Devo sapere dove sta Elizabeth.”
“Non se ne parla, meno gente lo sa meno rischi corre. Per quello i miei rifugi non li trova nessuno se io non voglio.”
“Mozzie, è importante. Sul telefono di Peter è arrivato un messaggio e magari lei sa cosa significa.”
“Dimmi il messaggio, glielo riferirò.”
“Non abbiamo tempo da perdere! Devo farti chiamare da Neal?”
June si intromise tra i due capendo che Jones stava per perdere la pazienza.
“Mozzie, credo abbia ragione, devi portarlo subito dalla moglie di Peter, sicuramente lo terrà per se.”
Mozzie spostò lo sguardo rapidamente fra i due, si sentiva in trappola.
Neal avrebbe saputo come uscirne elegantemente senza farsi mettere all’angolo in quel modo.
Ma lui non era Neal.
Il basso profilo che Mozzie aveva tenuto per tutta la vita gli aveva permesso di non finire mai così vicino alla legge, fino a che l’amico non era uscito di galera con quel patto.
Da allora aveva avuto a che fare anche troppe volte con i federali, e la cosa gli piaceva poco.
Ma sapeva che Neal gli avrebbe detto di non intralciare le indagini.
O almeno lo sperava, visto che stava per fidarsi di Jones.
E consegnare uno dei suoi rifugi nelle sue mani.
“Va bene, ti ci porto. Ma non una parola!”
“D’accordo. Grazie.”
Jones aveva rivolto il ringraziamento anche a June, si rendeva conto che senza la sua diplomazia nel prendere per il verso giusto Mozzie forse le cose non sarebbero andate lisce.
In auto seguiva le indicazioni dell’uomo verso una zona a lui poco nota di New York.
“Spero non mi farai perdere tempo in giri a vuoto perché io non sappia tornarci.”
“Stiamo andando per la strada più veloce.Hai detto che hai fretta, Peter è in pericolo ed Elizabeth non mi perdonerebbe mai se facessi capitare qualcosa di brutto al marito per degli stupidi giochetti!”
Jones lo sbirciò stupito, Mozzie era un logorroico all’ennesima potenza, amava i giochi di parole e raramente era tanto diretto. Doveva essere proprio preoccupato.
Arrivarono in un palazzo, presero un montacarichi, e giunsero in quello che aveva l’aria di un loft ristrutturato, sembrava un piccolo tempietto buddista.
“Non sapevo fossi buddista.”
“Non lo sono, non mi riconosco in nessuna etichettatura.”
Elizabeth li aveva sentiti salire e si era nascosta, ma quando riconobbe le voci uscì dal nascondiglio.
“Avete trovato Peter? Come sta?”
L’ansia sul volto della donna fece sentire Jones in colpa, doveva immaginarlo che vedendolo arrivare con Mozzie avrebbe pensato che era tutto finito, forse avrebbe dovuto far salire prima Mozzie da solo per prepararla, ma ora era troppo tardi.
“No, mi dispiace. È arrivato un messaggio di cui non capiamo il senso. Speravamo potessi aiutarci.”
La delusione prese il posto dell’ansia.
Lo donna fece un sospiro e con un’aria anche troppo calma, domandò di che messaggio si trattava.
Lui riferì le parole di Sara.
Sperando che il suo capo non intrattenesse una relazione extra-coniugale.
In quel caso, quando lo avessero trovato, poteva succedere il finimondo.
“Sì, so a cosa si riferisce. Sara è andata in Argentina per conto di Peter a vedere se riusciva a scoprire qualcosa su quelle stoviglie che avete sequestrato tempo fa.”
“Perché non ce lo ha detto?”
“Era una cosa che Sara faceva come favore, e poteva essere pericoloso, meno gente lo sapeva meglio era. Ma avete ricevuto solo il messaggio non le avete parlato?”
“No, il telefono risulta spento. Irraggiungibile.”
La donna si portò le mani al volto, sconvolta.
“Avranno rapito anche lei?”
“Non è detto, magari sta rientrando ed in aereo non si possono tenere i cellulari accesi, se era in Argentina può essere che non sappia nemmeno che Peter è stato rapito. Ascolta io devo tornare in ufficio, Diane e Neal sono andati a Quantico per un aiuto a stilare un profilo...”
La donna lo interruppe.
“Fino a Washington? Ma i profili li sapete fare anche voi, avete l’addestramento...”
“Diane pensa che serva un aiuto più specifico e io sono d’accordo, ma torneranno presto e... avremo una traccia, spero. Lo troveremo.”
La donna stiracchiò lievemente le labbra nel tentativo di un sorriso.
“Lo so.”
“Tu resti?”
Chiese l’uomo rivolgendosi a Mozzie.
“Penso che saprai tornare in ufficio anche senza di me, ma vedrò di sentire se qualcuno ha notizie.”
I contatti di Mozzie.
Jones guardò Elizabeth come a domandarsi come facessero lei e il marito a fidarsi del piccoletto, ma era pur vero che era amico di Neal.
E se ti fidi di uno... finisci con il fidarti anche dell’altro.
Andò via con la sensazione di aver solo aumentato l’ansia di Elizabeth per il marito.
E senza informazioni per capirci qualcosa su dove potevano averlo portato, difficile pensare che avessero passato il confine.
Elizabeth chiese a Mozzie se poteva aiutarlo in qualche modo.
“Non ne posso più di pensare, mi vengono in mente le cose peggiori.”
L’uomo si tolse gli occhiali e si mise d’impegno a pulirli con una pezzuola, come a prendere tempo per una risposta. La donna lo fissò con un aria di materna preoccupazione, capendo che non sapeva che pesci pigliare.
“Neal ti ha detto di non farmi uscire per nessuna ragione?”
“È preoccupato, chiunque abbia rapito Peter può prendersela anche con te, qui sei al sicuro.”
“Tuesday(Martedì) è un bel posticino, ma ora lo hai mostrato a un federale, come te la caverai?”
“Ci sono altri sei giorni nella settimana, mia bella signora.”
Gli sorrise, era riuscita a levarlo dagli impicci dandogli altri argomenti di conversazione.
In fondo sapeva che non le avrebbe permesso di andare a zonzo per New York.
La cosa un poco le seccava, ma era anche poco utile da parte sua raddoppiare le loro preoccupazioni facendosi prendere da un inopportuna crisi sulle pari opportunità.
Avrebbe dato una lezioncina a Neal e a Mozzie, con l’aiuto di Diane e Sarah, quando tutto fosse finito.
Jones aveva mandato a Diana un messaggio in cui le spiegava di Sara, e tramite l’ufficio aveva fatto controllare se ci fossero voli in arrivo dal Sud America.
Il voli erano più di uno, ma quello giusto aveva l’arrivo previsto entro poco.
E il nome di Sara Ellis era nella lista passeggeri.
Sapendo dove cercarla era stato molto più facile rintracciarla, anche con il cellulare spento.
Si era fatto buio da un pezzo, decisamente il suo non era un lavoro dalle 9 alle 5.
Si diresse al JFK, tanto valeva essere là all’arrivo.
E dirle subito quello che era successo, e scoprire cosa aveva trovato di così importante da farle mandare prima di rientrare un messaggio a Peter.
Si diresse all’uscita degli arrivi dal Sud America, controllo l’orario di arrivo. Era questione di una mezz’ora.
Il tempo di rispondere ad alcuni messaggi, avvisare Mozzie che la donna stava rientrando negli Stati Uniti e venne annunciato il volo in arrivo, una fiumana di persone andò verso il nastro dei bagagli, notò immediatamente la chioma rossa che spiccava come un faro in mezzo a decine di capelli castani e neri.
E andò verso di lei, che non si sorprese di vederlo.
Probabilmente pensa che mi abbia mandato Peter a prenderla per portarla subito negli uffici.

Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 11/2/2011, 15:23




Il volo era stato massacrante.
Anzi i voli, prima con un piccolo piper che le dava l’impressione di essere tenuto insieme con lo sputo, poi da Buenos Aires a San Paolo dove aveva verificato parte delle informazioni che aveva raccolto, e poi l’ultimo quello per New York.
Argentina e Brasile girati più velocemente che in una centrifuga.
C’erano dei posti in cui avrebbe caldamente sperato di non rimettere mai più piede, ma aveva visto dei panorami che le avevano fatto rimpiangere di non essere veramente in ferie. Sarebbe stato splendido tornarci senza l’assillo del suo lavoro extra per l’efbiai.
Un giorno forse.
Mentre prendeva la valigia al nastro notò un uomo che si avvicinava, lo riconobbe immediatamente.
Caspita, Peter non mi dà nemmeno il tempo di una doccia.
Si disse scuotendo il capo e salutando Jones.
“Avevo già deciso che la doccia l’avrei fatta dopo, ma la lettura del pensiero da parte di Peter mi inquieta.”
Vide l’uomo rimanere serio e comprese che doveva esserci qualcosa che non andava.
“Hai mandato un messaggio.”
“Sì, ne parliamo in ufficio? Credo debbano sentire anche Peter e gli altri.”
“Peter è stato rapito. All’inizio della settimana. È scomparso.”
All’inizio della settimana? Ma è stato quando sono arrivata in quel piccolo villaggio pieno di famiglie di origine tedesca.
Il pensiero che l’avessero notata e collegata a Peter, non l’aveva nemmeno sfiorata, fino a quel momento pensava di essere passata come una normale turista americana un po' distratta.
Ascoltò l’uomo riferirle i dettagli del rapimento spiegatogli da Neal, riusciva a visualizzare la scena tanto il resoconto era dettagliato, logico che il suo messaggio mandato prima di partire li avesse mandati fibrillazione.
“Aveva detto che poteva essere pericoloso, ma quello che è finito nei guai è lui. Neal come la ha presa?”
“Non lo so, onestamente per me è spesso indecifrabile, Peter e Diana sono molto più bravi a capire cosa sta rimuginando.”
“Non sminuirti. Se non tormenta il cappello è un brutto segno.”
“Ora che mi ci fai pensare, è andato a Washington senza!”
“Neal Caffrey senza cappello? Bruttissimo segno, allora. Andiamo agli uffici?”
“Certo, sicura di non voler fare una doccia?”
“Mi rinfrescherò quando vi avrò dato i dettagli su cui lavorare. La cosa certa è che non può essere una coincidenza il rapimento di Peter proprio adesso. Devo aver stuzzicato le persone sbagliate, anzi… quelle giuste.”

Nel frattempo in uno stanzino mal illuminato un uomo cercava di capire come liberarsi.
Non riusciva a capire dove lo avessero portato.
Era in strada ad aspettare Neal, stava guardando l’ora pronto a chiamarlo di nuovo per domandargli dove si era andato a cacciare quando si era sentito afferrare e spingere sul sedile posteriore della sua auto.
Era stato colto di sorpresa e il cappuccio che gli avevano infilato in testa era impregnato di un qualche narcotico.
Ricordava di aver opposto resistenza per alcuni secondi e poi aveva perso conoscenza.
Nelle orecchie il rumore della sgommata.
Si era svegliato steso su un letto con una caviglia incatenata.
Una catena fissata al muro lunga abbastanza per andare fino allo stanzino accanto, un bagno, ma non per arrivare alla finestra dal lato opposto.
Una cavigliera!
Mozzie e Neal avrebbero colto il lato ironico della cosa.
Lui stesso per i primi secondi ne aveva riso. Un riso nervoso.
Gli portarono del cibo, non gli mostravano mai il volto, non dicevano una parola.
Per non farsi riconoscere, quindi non hanno intenzione di uccidermi.
Però voleva anche dire che poteva essere gente che lui conosceva.
Dei contatti altolocati della persona a cui stavano dando la caccia già sapevano, ma che fosse gente con cui aveva a che fare abitualmente… ecco quella era una cosa che lo disturbava oltre ogni dire.
Il primo giorno non aveva mangiato, il guardiano ne aveva riso.
Il secondo giorno aveva ceduto, sperando che non ci fosse qualche droga nel cibo o nelle bevande.
Se c’era non se ne era accorto.
Rimuginava a come fare per liberarsi della catena, quando si sentirono delle detonazioni.
Mi hanno trovato? Sapevo che non ci avrebbero messo molto!
Vide del fumo penetrare da sotto la porta.
“HEY! SONO QUI DENTRO! NON CI TENGO A FINIRE ARROSTO! TIRATEMI FUORI! ” Silenzio.
Il fumo stava riempiendo la piccola stanza rendendo l’aria irrespirabile.
No, non erano arrivati a liberarlo, non sembrava proprio una liberazione quella.
Forse chi mi ha rapito non vuole uccidermi.
Ma questi arrivati ora sono di un’altra opinione.

Furono gli ultimi pensieri che gli attreversarono la mente, prima di perdere conoscenza.

Diana lesse il messaggio di Jones, lo riferì agli altri.
Rossi le disse che lui ed Hotch dovevano parlarle.
Poi si rivolse a Neal. Gli fece cenno di seguirlo e lo accompagnò fin davanti la porta del suo ufficio.
“Venga, non si offenda, ma ci sono cose che preferisco non senta. Mi faccia una cortesia, mi assicuri che ho sperperato i miei guadagni da scrittore per l’originale e non per una copia. Poi le spiegheremo tutto.”
Neal entrò nell’ufficio domandandosi a cosa si stesse riferendo, poi lo vide.
Era stato battuto ad un’asta pochi mesi prima del suo arresto, e ci aveva fatto un pensierino a rubarlo. Ma non c’era stato verso di scoprire il compratore.
Un agente Efbai con un dipinto del Caravaggio in ufficio?
Poi rammentò la frase: guadagni da scrittore.
Osservò per alcuni minuti la tela.
Se era un falso voleva fare i complimenti all'autore, perché per lui era un originale.
Ma per i dipinti di quel genere ci sono tutta una serie di accorgimenti ed esami speciali per verificarlo.
E lui lo sapeva bene.
E anche l’agente Rossi doveva saperlo.
Volevano tenerlo all’oscuro.
La cosa lo seccava.
Uscì dall’ufficio e si trovò davanti Emily Prentiss.
“Devi controllare che non abbia preso niente?”
Chiese sarcastico.
“No, Dave ha solo detto di accompagnarti a prendere un caffè quando ti fossi stufato di ammirare il suo quadro. Sa bene che quel quadro è più al sicuro lì che in un museo.”
La donna pareva non aver minimamente dato peso al tono del giovane.
Come se non si aspettasse niente di meno.
“Suppongo abbiate già un profilo ben dettagliato del sottoscritto…”
“Neal.”
La donna fece una pausa come a dargli il tempo di calmarsi.
“Sappiamo chi sei e cosa fai, o almeno cosa facevi prima di raggiungere il tuo accordo con Burke. Ma ci sono cose che agli informatori non si dicono, o non si dovrebbero dire. Accordi che non si dovrebbero fare. Diana deve spiegare i dettagli. Quelli che io conosco già.”
L’uomo si girò a guardarla, con una strana luce nello sguardo.
“Non credo di capire.”
“Quando Dì mi ha domandato aiuto, per timore che qualcuno a New York fosse al soldo dell’uomo che cerchiamo, mi ha spiegato come mai si rivolgeva a noi e a noi solamente. Non è esattamente la procedura abituale, questa.”
“Vi conoscete da molto?”
“Oh solo… da tutta la vita.”
“Come?”
“Mia madre è stata per anni ambasciatrice, e io e Diane abbiamo frequentato le stesse scuole, e gli stessi ambienti.”
“Ma… alle figlie dei diplomatici viene sempre voglia di… entrare nell’Efbiai?”
“Può essere, non ho mai controllato quante altre ce ne siano, ma conosco qualcuno che può farlo.”
Gli fece strada verso una parte degli uffici poco distante.
E raggiunsero uno stanzino pieno di schermi come quello della sala riunioni.
“Questo è il regno di Penelope Garcia.”
“Oh, avete già preso il caffè?”
“No, stavo spiegando a Neal delle cose, ti spiace controllarci un dettaglio?”
“Dimmi.”
“Nell’Efbiai quanti sono i figli di diplomatici o ambasciatori in servizio attivo?”
“Uh… tolte te e Dì?”
“Esattamente, è una cosa che puoi verificare?”
“Dammi un minuto. Uh… caspita… non pensavo che foste così tanti. Quasi 40, vuoi il numero esatto?”
“No, ci basta, vero Neal?”
L’uomo era rimasto stupito dalla velocità con cui avevano avuto informazioni, anche abbastanza private, su tutti quelli che lavoravano per l’FBI. Certo che ottenere le informazioni sul suo conto, doveva essere stato praticamente una passeggiata.
Poi notò gli strani pupazzetti colorati che la donna aveva a lato della tastiera.
Ed anche appesi agli schermi.
“E quelli? Scacciapensieri?”
Fu il turno di Emily e di Penelope di restare basite stavolta.
Aveva colto subito il significato che avevano per Penelope gli strani oggetti di cui si circondava nel suo ufficio.
“Sì, ma come…”
Chiese l’informatica lasciando la domanda sospesa.
“Oh niente, lavorando per la sezione white collar mi capita di rado di avere a che fare con immagini di morti ammazzati, ma quelle poche volte… tendo a distogliere lo sguardo cercando di fissarmi su altro. Il bordo della foto, il tavolo dell’ufficio. Penso che dovendo averci a che fare più spesso un filtro sia indispensabile.”
Emily rimase ammirata per come l’uomo avesse messo a suo agio Penelope senza prenderla in giro per la sua eccentricità.
Le aveva spiegato bene Dì.
È affascinante e sa di esserlo.
“Ti portiamo qualcosa?” Chiese Emily all’amica.
“No grazie, sto aspettando che mi arrivino delle risposte poi devo…” si interruppe imbarazzata.
“… raggiungere gli altri in ufficio mentre io vengo tenuto alla larga.”
Terminò al suo posto l’uomo, con un sorriso, decisamente l’umore era migliorato.

Continua...
 
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view post Posted on 15/2/2011, 01:14




Emily e Neal raggiunsero la caffetteria, quando erano a pochi metri sentirono la voce di Reid che stava elencando a Derek i vari reati di cui era sospettato Neal.
E l’elenco era lungo.
Evidentemente i due uomini non sapevano che Rossi aveva chiesto ad Emily di portarlo a prendere un caffè. Reid era preso dal discorso e non si avvide del cenno che gli fece Derek quando li vide arrivare.
Il giovane aveva cambiato lievemente argomento, era passato a sciorinare le statistiche dei casi di truffatori identificati contro quelle degli arrestati.
La media di Burke era parecchio alta, già prima della collaborazione con Neal, ben al di sopra degli standard del FBI.
“Lo sai che la media di casi risolti con un arresto per l’intera sezione White Collar è...”
“Reid, basta!”
Derek non aveva trovato altro modo per tacitarlo che dirglielo.
Neil osservò in silenzio di due davanti a lui, poi prese la caraffa del caffè e domandò ad Emily quale fosse la sua tazza. La riempi e gliela passò, servendosi a sua volta.
Sarebbe stato un pessimo caffè, ma gli serviva per prendere tempo.
Inutile arrabbiarsi, sapeva di essere un argomento di conversazione piuttosto ghiotto.
“È vero, la media di Peter è elevata. Ha preso anche me infatti, ma con me ad aiutarlo è salita ancora.”
Reid rimase in silenzio a domandarsi quanto avesse sentito di quello che aveva detto.
“Io stavo solo... ripassando il fascicolo.”
“Ho sentito, lunghetta la lista eh?” Rise l’uomo.
Derek lo guardò sorpreso, era la prima volta che una persona davanti alla memoria di Reid non reagiva con stupore.
Reid si sentì in dovere di spiegare: “Ho una memoria eiedetica quindi...” si fermò notando lo sguardo di Neal, pareva sapesse già cosa stava per dire.
“...ricordi tutto quello che vedi o leggi, lo so.” Disse l’uomo.
“Hai un tuo fascicolo su di noi?” Gli chiese Derek, un poco seccato, era la prima volta che qualcuno che non fosse Hotch o lui interrompeva Reid e le sue... spiegazioni. E la cosa non gli garbava affatto.
Chi si crede di essere? Pensò.
“No, ho un amico con la stessa memoria fotografica, non dimentica un libro, una citazione. E tende anche lui a... dover essere fermato.”
A Derek pareva impossibile esistesse un altro Reid, e lo disse.
“Ma davvero? Mi piacerebbe conoscerlo!”
Emily decise che era meglio togliere Neal dalla linea di tiro di Derek, o uno dei due si poteva fare male ed uscirne con l'ego malconcio. Non era certa sarebbe stato il suo collega ad avere la meglio.
“Scommetto che quando andremo a New York ci sarà l’occasione. Ora che ne dite se ci gustiamo il caffè da buoni amici?”
Derek colse lo sguardo di Emily.
Piantala! Diceva quell’occhiata. Non serviva una traduzione espressa in parole.
“Certo, avete idea di cosa si stiano dicendo Hotch e Rossi con Diana?”
“Sì, analizzano la lista che lui elencava prima e spuntano dai sospetti le certezze.”
“Dai Neal, non siamo lì nemmeno noi, ci sarà una ragione per cui sono solo loro.”
Gli disse Emily cercando di placare gli animi.
L’arrivo di Rossi evitò ulteriori imbarazzi.
“Caffrey, venga.”
Neal fece un cenno con la mano ai compagni di caffè.
E tornò nell’ufficio che aveva lasciato meno di una mezz’ora prima.
“Allora è l’originale?”
Disse l’uomo indicando il dipinto.
“Lo sa bene che lo è, comunque se non lo è io non ne sono l’autore.”
“Vuole sapere come mai non era con noi ad ascoltare i dettagli che ci ha dato Diana?”
“Mi piacerebbe.”
“Peter Burke ha mancato al regolamento, venendo a conoscenza di un reato un agente FBI deve procedere ad un arresto o ad una denuncia. Ma capiamo come mai lo ha fatto, e l’unico mezzo per non doverlo denunciare un domani, era di evitare la sua presenza quando siamo venuti a conoscenza dei dettagli. Diana ci ha parlato di quello che sapeva, ma era semplice sentito dire. Se lei fosse stato presente a confermare, sarebbe stato invece...”
“... una confessione davanti a testimoni. Non è un po’ ipocrita tutto questo?”
“Niente di diverso dal: Si dice... con cui si schermisce ogni volta che si nominano i suoi reati.”
“Ora che conoscete le voci di corridoio cosa cambia?”
“Tanto per cominciare dobbiamo andare a New York, ci sono delle novità di cui persino lei era all’oscuro. Sapeva che Burke aveva mandato una persona ad indagare in Argentina?”
“L’efbiai non ha giurisdizione là...”
“No, ma a quanto pare ha trovato qualcuno disposto a farsi una vacanza lavorativa: Sara Ellis.”
Dannazione Peter! Io non posso avere segreti, ma tu sì a quanto pare!
“Cosa ha scoperto?”
Domandò l’uomo con una nota di ansia nella voce.
“Una cosa chiamata operazione Eagle. E visto il cognome della persona che sospettiamo ci sia dietro al rapimento di Peter...” lascò finire la frase a Neal che colse il riferimento.
“Adler... Aquila in tedesco.” (NdA Eagle in inglese ok?)
“Esattamente.”
“Dobbiamo andare a New York.”
“Io e Diana abbiamo un volo tra due ore.”
“Verrete con noi, abbiamo un jet.”
“Ma... se non è la procedura abituale lo potete usare?”
“Chi ha detto che... ah Emily, diciamo che abbiamo avuto una dispensa per seguire questo caso, dato che è stato rapito un agente. Qualcosa in contrario a partire tra mezz’ora invece che tra due ore?”
“No. Non vedo l’ora di tornare a New York.”
Mentre lo diceva guardò un ultima volta il dipinto che stava in quell’ufficio.
“L’offerta era rimasta segreta, quanto le hanno scucito?”
“Non mi ci faccia pensare. Ma li vale tutti.”
“Poco ma sicuro.”
Dave notò come il giovane ne memorizzasse i dettagli, sapendo che probabilmente non avrebbe mai rivisto quel dipinto un'altra volta.
“Ne farà una copia finita questa storia?”
“Dipingere mi rilassa, ma ho smesso con i falsi.”
“Lo spero.”
Neal fece un sospiro.
“Mi ricorda Peter lo sa? Sempre a domandarsi dove sia la fregatura.”
“E si sbaglia spesso?” Disse Dave con un sorriso per stemperare la tensione.
“No, accidenti a lui, no.” Rispose l’altro ricambiando il sorriso.
Dave vide oltre quel sorriso, Diana aveva confermato i suoi sospetti parlando di quello che era accaduto con Fowler, giusto Peter gli aveva impedito di diventare un assassino.
Hotch aveva concordato con lui che andava tenuto d’occhio, fuoco che cova sotto la cenere era una definizione azzeccata.
Si sedette alla scrivania, e controllò le mail.

Nel frattempo Emily, Derek e Reid.
“Era il caso di difenderlo?”
“E chi ti dice che ho difeso lui?”
“Sai Derek pur essendo una manifestazione abbastanza rara, non è impossibile che ci siano altre persone con la medesima capacità che ho io, se poi consideri quanta memoria serva ad un truffatore per ricordarsi i dettagli di quello che combina... ecco.
Che un amico di Caffrey abbia una memoria fotografica non mi sorprende, anche lui per cavarsela con i falsi non deve scherzare in tema di memoria. Proprio per niente.”
“Mi stai dicendo che se invece di incontrare altri truffatori nella sua vita avesse incontrato prima Burke, sarebbe diventato un agente?”
“O io un ottimo truffatore, chi può dirlo?”
“Tu un truffatore, Reid...”
L’uomo si fermo di colpo, ricordando le volte che Reid lo aveva battuto a poker.
Sì, poteva anche aver detto la verità.
Bivi e scelte.
Chissà quale era stato il bivio giusto per Reid e quello sbagliato per Caffrey.
Potevano davvero essere simili come diceva.
E la cosa non gli piaceva, per niente.
Lo considerava un criminale, per di più non pentito di quello che aveva fatto. Non aveva ucciso nessuno, ma quell’assenza di rimorso per i crimini commessi non deponeva a suo favore; nella scala dei valori di Derek il pentimento era una cosa importante per accettare gli sbagli altrui, ma Neal se ne vantava.
No, non poteva piacergli.
L’agente Burke avrebbe dovuto spiegargli cosa lo avesse spinto a fidarsi tanto.

Hotch stava ancora parlando con Diana.
L’anno precedente per lui era stato durissimo, la sua ex moglie uccisa da un serial killer con cui lui non aveva voluto fare un patto.
Ora questa storia.
Un agente che fa un patto con un criminale per prenderne un altro.
Vero i patteggiamenti erano all’ordine del giorno per certe cose. Specie in casi di reati minori.
Anzi a volte sapeva che anche per gli assassini venivano considerati gli sconti di pena.
A volte gli sembrava che tutto remasse contro a ricordargli che sua moglie era morta per colpa sua.
Diana aveva capito, era a Washington quando era successo. Era impegnata in altri uffici, ma veniva di tanto in tanto a salutare Emily ed era stata presente al funerale. Ricordava di averla vista.
O almeno gli sembrava di ricordarla, c’era stata talmente tanta gente.
“Avrei preferito essere messo al corrente subito dei dettagli.”
“Lo so e me ne scuso, ma ho agito d’impulso chiamando Emily e dopo... eravamo in riunione tutti insieme e mi sono resa conto che se Neal avesse confessato davanti a tutti...”
“... sarebbero stati nei guai sia Burke che Neal finita la storia. Ma forse nei guai ci finiranno lo stesso.”
“Non se prendiamo Adler.”
“Questo è vero.”
Inutile rimuginare sulle ragioni di Burke, bisognava trovarlo ed alla svelta.
Poi si poteva discutere.
Forse.

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view post Posted on 16/2/2011, 23:29





Dopo la sede di Quantico lo spostamento sul jet privato dell’efbiai, ne avrebbe avute di cose da raccontare a Mozzie terminata quella storia.
Ma quando era stato il momento di salirci per un momento si era sentito male.
Con Diana aveva preso il primo volo di linea per l’aeroporto Dulles a Washington D.C. quindi un normale mastodontico boeing che faceva scalo a New York e proseguiva per Washington.
L’ultima volta che era stato sul punto di salire su un jet simile a quello che li ospitava ora, era stato l’anno precedente, alla morte di Kate.
Nessuno parve badare all’attimo di smarrimento del giovane.
Quando si sedette, inconsciamente scelse lo stesso posto dove su un altro aereo era stata la sua donna.
La ricordava ancora affacciata al finestrino mentre lo guardava, si era girato per dire una cosa a Peter e... il boato dell’esplosione lo aveva scaraventato a terra.
Si era alzato ed aveva cercato di andare verso di lei, disperato.
Peter lo aveva trattenuto, non c’era niente che poteva fare.
Strinse con forza il bracciolo.
Risentiva l’odore del carburante che brucia, rivedeva i rottami dell’aereo che aveva visto in seguito con Mozzie, riascoltava se stesso gridare il nome di Kate, sentiva ancora il braccio di Peter che lo tratteneva, doveva anche averlo colpito perché lo liberasse, ma lui non aveva mollato la presa. Gli aveva salvato la vita. Rallentando il suo arrivo all’aereo prima e bloccandolo poi.
Diana gli si sedette a fianco e gli prese la mano.
Neal la guardò stupito, lei non era proprio il tipo da slanci affettuosi.
Non con lui almeno.
“Va tutto bene, Neal?”
“Sì... io... lo sai.”
“Lo so.”
Ne avevano parlato una volta sola. Lui voleva essere su quell’aereo al posto di Kate. Lei sapeva cosa voleva dire sentirsi in colpa per la morte di qualcuno. Avevano condiviso quel momento, per un attimo. Poi avevano cambiato argomento, non c’era bisogno di parlare. I silenzi condivisi dicono molto a volte.
I membri dell’unità comportamentale fecero finta di non aver notato la scena e si misero seduti con le cinture allacciate per il decollo.
Dave ripensava alla mail che aveva inviato, sperava che potesse aiutarli.
C’erano cose che loro non potevano fare, come verificare quello che aveva scoperto la Ellis, ma quella persona avrebbe potuto verificare per loro.
Hotch sapeva a cosa aveva pensato Neal, il suo fascicolo lo aveva letto.
E nemmeno per lui era facile.
Ancora a New York, ancora esplosioni.
L’attentato in cui era rimasto coinvolto due anni prima, luoghi e modi differenti, ma lo stesso finale.
Sapeva perfettamente cosa aveva provato.
Aveva pure colto l’amara coincidenza del nome, Kate.
Emily si stava allacciando la cintura quando notò gli sguardi dei due uomini di fronte a lei, capire dove era andato a parare Hotch sapendo dell’esplosione dell’aereo, il primo delitto di Adler di cui erano a conoscenza, era stato facile. Kate Moreau era morta quasi allo stesso modo di Kate Joyner.
Ma Dave? Cosa lo tiene in pensiero a quel modo?
L’uomo si sentì osservato e la guardò.
“Stavo ripensando a quanto la mente umana sia malata, uccidere per un oggetto.
Niente vale una vita umana, niente.”
Lo so che si domanda cosa sta capitando, ma non penso sia il caso di dirle a chi ho mandato una mail, prima di avere una risposta.
Derek fu quello che osservò più a lungo la mano di Diana che stringeva quella di Neal.
Mentre Reid, fu l’unico che non dovette fingere, lui non se ne accorse minimamente.


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Edited by rabb-it - 26/1/2012, 18:24
 
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view post Posted on 20/2/2011, 15:30




La porta venne spalancata.
Peter era riverso a terra nel punto più lontano della stanza, per quanto glielo concedesse la catena che lo teneva prigioniero.
Uno degli uomini del gruppo che aveva fatto irruzione gli tastò il polso e controllò il respiro.
“È vivo.”
“Levategli quella catena, lo portiamo con noi.”
Disse un altro uomo all’indirizzo del guardiano, lo dovevano aver picchiato. Gli sanguinava un labbro ed aveva la faccia gonfia.
L’uomo di prima spalancò la finestra per fare uscire il fumo.
Avevano scoperto il nascondiglio il giorno prima, il loro capo era assai seccato che ad altri fosse venuta un'idea simile alla sua.
Ma erano riusciti a trovarlo prima dell’efbiai ed ora avrebbero messo le cose a posto.
Entrarono altri due uomini che afferrarono Peter, una volta liberatolo dalla catena, e lo trascinarono fuori dallo stanzino. Ancora privo di conoscenza.
Non sapeva ancora di essere appena passato dalla padella alla brace.
Il primo uomo si voltò verso il guardiano e gli disse:
“Avverti il tuo capo che non avrà un’altra possibilità, o con noi o contro di noi!”
L’uomo fece cenno di aver capito muovendo piano la testa, pareva gli costasse un grande sforzo quel piccolo movimento.
Ma se pensava a come avrebbe preso la cosa il suo capo, gli sembrava ancora niente al confronto.
Aveva detto: “Assicurati che stia bene. A parte il disagio della catena per qualche giorno, non deve accadergli niente.”
Ecco, quelli a lui non sembravano altrettanto ben intenzionati.

All’efbiai di New York intanto erano arrivati gli altri.
Durante il volo Diana si era ritrovata a pensare a quella sera con Neal. Era sotto copertura e doveva fingersi una prostituta, per incastrare gente coinvolta in un giro di riciclaggio di denaro sporco. Era sorto un imprevisto.
Lo spiegò alla trasmittente a cui gli altri stavano ascoltando dal furgoncino: “Non sapevo di dover fare un provino!”
Si guardò in giro, aveva già capito cosa fare quando le si parò davanti Neal, che aveva lasciato il furgoncino nonostante il parere contrario di Peter.
“Posso offrirle da bere?”
“Dipende, non so se te lo puoi permettere!” Diana doveva raccimolare 10.000 dollari
Neal le si avvicinò e cingendole la vita le sussurro in un punto tra il collo e l’orecchio per cui anche dal furgoncino sentirono: “Peter, per i 10.000 chiedi al nostro comune amico.”
Peter dal furgoncino ebbe un moto di stizza: “Temevo lo avrebbe detto.”
Jones notò che non avrebbero fatto in tempo con i metodi tradizionali e Peter era d’accordo: quella era un ottima occasione per seguire i soldi e collegarli alla persona su cui stavano indagando.
Non restava che fidarsi di Mozzie.
Che arrivò alla stanza dove Diana e Neal avevano finto di appartarsi, con i soldi necessari.
In quella stanza Diana aveva chiacchierato un po’ con Neal. Lui prima mentre erano al bar le aveva chiesto come avrebbe fatto se lui non fosse arrivato e lei gli aveva spiegato che avrebbe bloccato il primo che ci provava, sarebbero saliti nella stanza e lei gli avrebbe detto di non fiatare se non voleva finire dentro per adescamento. In quell’occasione Neal aveva scoperto che il padre di Diana era un diplomatico e che lei era stata praticamente cresciuta dalla sua guardia del corpo, Charlie, morto per proteggerla. Da lì il suo senso di colpa, quello che le aveva permesso di capire quello che provava Neal.
Ma ora stavano salendo al 21esimo piano, quello dei loro uffici.
Emily disse a Neal che ora sarebbe toccato a lui fare gli onori di casa.
L’uomo nemmeno rispose. Forse non la sentì.
Lo sguardo calamitato da una chioma rossa che stava su nella sala conferenze. La donna parve sentire lo sguardo su di sé e si voltò nella loro direzione.
Salirono nella sala dove erano riuniti Huges, il capo di Burke, Jones e Sara.
Lì il tavolo era rettangolare.
Neal notò in quel momento quanto la cosa fosse diversa dalla sede degli altri a Quantico. Là il tavolo rotondo metteva tutti sullo stesso piano, persino lui che era solo un consulente era alla pari degli altri. Con un tavolo rettangolare invece, cambiavano le sensazioni.
Ma alla fine l’importante era fare bene il proprio lavoro.
Salutò Sara.
“Non sapevo fossi andata in vacanza.”
“Suppongo che meno gente sapeva dove stavo e più era sicuro. Forse non abbastanza però.”
“Cosa hai scoperto? Chi ha rapito Peter?”
“Lo sai chi è stato, ora forse è tornato a New York”
“E come? La sua faccia è tra quelle dei maggiori ricercati del paese.”
“Lo sei stato anche tu. Come hai fatto a non farti prendere da Burke per ben tre anni? E da me?”
Gli altri osservarono lo scambio in silenzio. Consapevoli della tensione tra i due.
Jones aveva già detto a Diana quello che Sara gli aveva riferito.
C’era poco altro da aggiungere.
Operazione Eagle era iniziata quando Adler era un bambino. Il padre ed il nonno prima di lui si erano dati fa fare a recuperare oggetti appartenuti ai, o più verosimilimente derubate dai, nazisti.
Lui ne aveva raccolto l’eredità e le fissazioni, come quella per il carrilion che si diceva nascondesse il segreto per il più grande dei tesori.
Quando si era convinto che lo aveva rubato Neal aveva fatto di tutto per obbligarlo a consegnarglielo.
Ma Neal non lo aveva. Semplicemente aveva lasciato che lo credessero.
Reputazione. La cosa migliore per un truffatore e non averne nessuna, o averne una in aria di mito.
E lui apparteneva alla seconda categoria. Per quello lo avevano preso, gli diceva Mozzie.
Mentre Adler, almeno fino alla sua scomparsa, ne era privo... un onesto uomo d’affari. Solo che a volte, spesso, la parola onesto ed uomo d’affari... sono ossimori.
“Come sai che è tornato a New York?”
“Stavo seguendo un carico che è stato portato in Brasile, quando all’aeroporto di San Paolo mi è parso di vederlo, ma poi è sparito tra la folla e io avevo il volo per rientrare a New York, non potevo mettere in allerta l’interpol senza qualche prova in più di quello che avevo in mano. E se fosse stato solo uno che gli somigliava?”
“Dannazione! Non può essere un caso! Tu scopri qualcosa, Adler riappare e Peter viene rapito.”
“Credi che non lo sappia? Abbiamo i numeri dei container in arrivo dal Brasile che ho fatto contrassegnare. Potrebbero averlo nascosto in uno di quelli. Ma cosa vuole, ucciderlo per vendicarsi del fatto che non ha il carillion?”
“NO" Gridò Neal "Vuole il frattale, intende usare Peter per uno scambio.”
Sara aveva fatto un passo indietro, non lo aveva mai visto così sconvolto.
“Neal, che è il frattale?”
“Eri partita subito per l’Argentina, vero? Niente aggiornamenti.”
L’aria di Neal era quasi di scherno.
Incomprensibile.
“Cosa vuoi dire?”
“Voglio dire che ho quello che vuole Adler. Ma non glielo darò fino a che non avrà liberato Peter!”
“Calma Caffrey, all’Efbiai non si tratta con i rapitori. O almeno, lo facciamo alle nostre condizioni.”
Era stato Huges ad intervenire. Aveva capito bene l’ansia di Neal, sapeva quanto si sentisse in debito con Peter.
Diana fermò Neal prima che desse una risposta delle sue.
“Gestiremo insieme la cosa, niente colpi di testa. Pensa a cosa ti direbbe Peter.”
Derek colse l’esitazione nell’aria spavalda del giovane, come se solo in quel momento si fosse accorto di aver detto troppo e di non potersi più tirare indietro.
“Dovremmo contattare Mozzie.” Fu la risposta di Neal.
“Ha lui il frattale?”
“No, ha quello che ci serve per usarlo. Quello ci che permetterà di scoprire cosa cerca Adler.”
“Chi altri sa che Mozzie ci stava lavorando? Avrebbero dovuto rapire lui… secondo logica.” Disse Jones.
Un brivido gelato percorse la schiena di Neal.
No, non poteva essere.
Non avrebbe potuto.

“Alex.”
Jones e Diana si guardarono come se la cosa non li sorprendesse. Alex Hunter aveva l’incredibile capacità di sbucare fuori quando meno te lo aspetti, ed era stata spesso complice di Neal.
Un rapporto complicato il loro.
“Spiegati meglio.”
“Non ha senso, perché rapire Peter? Lei lavora con noi.”
“O fa il doppio gioco per Adler. La hai conosciuta quando lavoravi per lui, no?”
Huges assunse un espressione sorpresa, non aveva idea che Caffrey avesse lavorato per Vincent Adler. Quando Peter fosse stato liberato avrebbe dovuto chiarire svariate cose.
“No, non può essere.”
“Neal, per essere un abile truffatore tendi a fidarti anche troppo di un bel visino.”
“Diana, era questo che intendevi con: pensa a cosa ti direbbe Peter? Perché penso sarebbero state le sue esatte parole.”
Diana e Sara si scambiarono un occhiata, ecco il solito Neal. Per fortuna.
“Ragioniamo un attimo, questa Alex potrebbe essere d’accordo con Adler. Oppure potrebbe aver organizzato il rapimento di Peter per poter ricattare Neal e Mozzie una volta si fosse trovato quello che Adler sta cercando. O potrebbe non c’entrare niente.”
La sintesi di Reid era stata impeccabile.
“Hai il suo numero che ne dici di chiamarla?”
Disse Diana ricordando come la donna gli avesse dato il numero tempo prima in occasione del ferimento di Mozzie.
L’uomo prese il cellulare e stava per digitare il numero, quando gli arrivò un messaggio. Da Alex. Quando si dice il caso!

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rabb-it
view post Posted on 22/2/2011, 22:04




Era un indirizzo. E il disegno stilizzato di un origami a forma di fiore, il codice di Alex.
“Sa di trappola.”
“Devo andarci, dovevo ben parlarle no?”
Decisero che sarebbe andato all’incontro con Derek alle costole, visto che Alex non poteva collegarlo alla loro unità. Diana gli raccomandò di non perderlo mai di vista.
“Non abbassare mai la guardia, è bravo a… sparire.”
“Non sono un pivello.”
La donna lo guardò come per aggiungere qualcosa, ma cambiò idea e non disse una parola. Lasciando che fosse solo un pensiero.
Non lo è nemmeno lui, e spero che tu non lo scopra oggi.

Il luogo scelto da Alex era una via molto affollata.
Derek non perse mai di vista Caffrey, era a pochi metri da lui, quando vide l’uomo salire su un taxi.
Ma se questo è l’indirizzo, dove sta andando?
Prese l’auto e si mise a seguire il taxi. Lo perse di vista un paio di volte, era l’ora di punta. Poi ad un certo punto, svoltò ed ecco… decine di taxi gialli lungo la via. Alcuni svoltarono nelle traverse e non fece in tempo a vederne il numero.
Caffrey era sparito.
Chiamò immediatamente Diana per far verificare dov’era tramite la cavigliera. E lei gli rispose che era ancora nella via dell’incontro.
Ci era tornato, assicurandosi che l’uomo non vi assistesse.
Cosa diamine sta combinando?
Tornò più rapidamente possibile al punto di partenza, ma non c’era traccia né di Neal, né di Alex.
Poi un ambulante chiamò Derek.
“Ehy, lei è dell’Efbiai? Un tale con un bel completo mi ha detto di darle questo.”
Era la cavigliera di Neal.

“TI AVEVO DETTO DI NON PERDERLO DI VISTA!”
“Non lo ho fatto.”
“Certo, si è dissolto davanti al tuo naso.”
La discussione stava andando avanti da almeno 5 minuti, Diana si era infuriata con Derek per essersi fatto gabbare in quel modo.
Lei lo aveva avvisato, ma lui no… tanto non era un pivello!
Ora avevano due persone da cercare.
E per quel poco che sapeva di Neal ora era sulle tracce di Adler, con o senza Alex.
Ricostruire l’accaduto era stato semplice, l’ambulante aveva detto di aver visto una donna con dei lunghi capelli castani scendere da un taxi, seguita dall’uomo che gli aveva dato la cavigliera.
Come Alex avesse trovato il modo di levargliela era una cosa che avrebbero chiarito poi con gli sceriffi federali, ma l’importante era che quando Derek aveva visto Neal salire sul taxi c’era anche lei.
L’ambulante disse anche che l’uomo pareva seccato dalla donna, come le se stesse facendo un favore malvolentieri.
“Sa quando si accompagna la fidanzata a fare shopping mentre si preferirebbe vedersi una partita?”
Fu la frase esatta.
Quindi non era andato con lei di sua spontanea volontà. Almeno a prima vista. Con Neal non si può mai sapere dove inizia la verità e dove la libera interpretazione dei fatti.
Jones si diresse al rifugio di Mozzie sperando che l’avrebbe aiutato a capire dove potevano essere andati, ma il rifugio era vuoto.
Niente più tempietto buddista, ma solo della sabbia al centro del piccolo rialzo che stava in mezzo alla stanza.
Dove era stata tracciata la scritta: Hoover è stato qui!
Mozzie e la segretezza dei suoi rifugi.
Come trovarlo adesso?
Improbabile che tornasse da June, Neal gli aveva detto di mettere al sicuro Elizabeth e l’uomo aveva preso alla lettera il suo compito.
Se da una parte la cosa era rassicurante per l’incolumità della moglie di Burke, dall’altra era quanto meno snervante che la gente potesse sparire così facilmente.
“Mozzie si terrà aggiornato. Se diamo la notizia che Neal Caffrey è stato rapito potrebbe contattarci lui.”
“Ma potrebbe anche essere un modo sicuro per condannare Peter. Se lo ha Adler e scopre che non può usarlo per farsi aiutare da Neal potrebbe liberarsi dell’incomodo di un agente federale rapito.”
“E se non dicessimo che è stato rapito?”
“Cos’hai in mente?”
“Neal ha detto di avere un amico con una memoria fotografica, era a Mozzie che si riferiva?”
Si era rivolto a Diana e Jones sperando che avessero la risposta.
“Sì, Mozzie è… un’enciclopedia ambulante.”
“Perfetto, allora potrebbe notare dei codici se li mettiamo nei punti giusti, cose che ad Adler non direbbero niente.”
“Ma dovrebbe guardare dove vogliamo noi.”
“Lo farà se sarà un servizio su Peter Burke e la sua imminente liberazione.”
Prese dei fogli ed iniziò a scrivere una frase, poi la corresse facendola diventare un anagramma. E poi la modificò ancora.
Se l’uomo era geniale come diceva Caffrey poteva funzionare.
La frase doveva essere un normale cartello di protesta contro il governo, uno di quelli che Mozzie avrebbe letto di certo. Firmato “Ken Leeveattab Sr.”: l’anagramma di “Steve Tabernakle”, uno degli alias di Neal.
Era un azzardo, ma era il solo mezzo per tentare di farsi contattare dall’uomo.
Il servizio andò in onda, con Hotch che spiegava che era imminente la liberazione dell’agente rapito alcuni giorni prima.
Mozzie notò il servizio.
Lo registrò per farlo vedere ad Elizabeth e darle qualche speranza. Mentre lo rivedeva il suo sguardo fu attratto dal cartello che stava in bella vista, insieme ad altri.
E vide l’anagramma.
Capì che quello era un segnale per lui.
Ma perché Neal non mi ha chiamato direttamente?
Trascrisse il messaggio e cercò di capire cosa nascondesse.
Gli ci volle un poco, ma ne venne a capo.
Era una convocazione negli uffici dell’Efbiai. Neal era stato rapito.
Poche cose lo mandavano in ansia come dover andare in quei posti, ma per l’amico questo ed altro.
E poi avevano stuzzicato la sua curiosità e voleva conoscere la mente che stava dietro quel cartello.
Non disse niente ad Elizabeth, era già abbastanza preoccupata per il marito. A cosa sarebbe servito dirle che pure Neal era nei guai ora?
Si limitò a dirle che sarebbe andato a vedere se c’erano novità.

Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 28/2/2011, 17:07




Mi sa che sono andata un po' OOC (Out Of Character) con i personaggi. Oh io all'inizio lo avevo detto, rovinavo due telefilm al prezzo di uno.
Buona lettura.


Quando aveva visto il taxi fermarsi davanti a lui aveva esitato, poi la portiera si era lievemente aperta, c’era qualcuno che si era accovacciato per non farsi vedere. Pochi dubbi sull’identità della misteriosa persona che gli offriva un passaggio all’ora di punta. Era salito, domandandosi come pensasse di evitare di essere seguita con un tale munito di gps da caviglia al seguito.
Il tassista era ripartito, lei in silenzio aveva armeggiato con la cavigliera, sganciandogliela e dandogliela poi in mano, solo allora lo aveva salutato.
“Buongiorno Neal, ora torneremo nei pressi di quell’ambulante e gli dirai di darla al tuo nuovo amico dell’efbiai, se vuoi rivedere quello vecchio.”
“Buongiorno anche a te Alex, non minacciarmi. Se capita qualcosa a Peter…”
La donna lo interruppe: “Non dipende da me, non più.”
“Cosa stai dicendo? Se Peter non lo hai rapito tu… come puoi evitare che gli capiti qualcosa?”
“Oh no, lo avevo rapito io. Fatto rapire per essere precisi. Ma era solo per evitare che tu consegnassi tutto nelle mani dei federali. Volevo la mia parte e Peter era la mia assicurazione, anche se mi ero accertata che non gli venisse fatto alcun male.”
“Alex io…”
L’uomo era furioso. Sapeva che il bottino faceva gola anche a lei, ma non avrebbe mai pensato arrivasse a tanto. Si trattenne a stento dal prenderla a sberle.
“… hai detto che non dipende più da te, spiegati meglio!”
Nel frattempo lui notò che erano in un punto della città in cui perdere di vista un taxi in mezzo alla bolgia era un attimo, Alex aveva valutato bene l’orario e il luogo. Erano proprio affini loro due, nonostante l’irritazione crescente nei suoi confronti non poteva che esserne nello stesso tempo colpito.
“Adler ha scoperto dove lo tenevo nascosto, un certo idiota non è stato abbastanza prudente, e i suoi uomini sono passati a prenderlo questa mattina. Mi ha dato un ultimatum: o con lui o contro di lui. Lo sai, non dà seconde occasioni.”
“Quindi ora mi consegnerai a lui in cambio della tua parte? È questo il patto?”
“Non esattamente, ma ora liberiamoci di questo gingillo.”
Erano ritornati al luogo dell’incontro. Il tassista si era voltato per dire qualcosa ad Alex e Neal aveva visto che era stato pestato. Gli uomini di Adler, probabilmente. Neal sospettava che la frase su chi non era stato prudente si riferisse proprio a lui.
Alex era scesa dal taxi ed aspettava Neal, che la seguì e si diresse verso l’ambulante facendo quello che lei gli aveva ordinato. Peter era in pericolo e se consegnarsi era l’unico mezzo per salvarlo lo avrebbe fatto. Anche se sentiva che c’era qualcosa in quella faccenda che gli sfuggiva. Era una sensazione estremamente fastidiosa. Ed eseguire gli ordini non era la cosa che gli veniva meglio.
Come far capire che non stava… scappando?
Cercò di assumere un espressione particolarmente infastidita, cosa facile visto che lo era per davvero. Sperava che l’uomo notasse il suo fastidio e lo riferisse. Forse sarebbe bastato. O avrebbero pensato a un qualche inganno.
Probabile. Non sarebbe stata la prima volta, e il fatto che prima in ufficio avesse dato in escandescenze non deponeva certo a suo favore. Alex lo stava ficcando proprio nei guai, e lui che aveva rischiato così tanto per lei. La sua libertà condizionata. La fiducia di Peter.
Grazie mille, Alex. Pensò ironico.
Risalirono sul taxi e si allontanarono. Senza aspettare di vedere l’arrivo dei federali, non era il caso di farsi trovare nei paraggi. Arrivarono nei pressi di un palazzo che doveva aver visto tempi migliori, non doveva essere rientrato nei progetti di recupero urbanistico degli ultimi sindaci della città, ottimo nascondiglio.
Alex gli fece strada fino ad un appartamento, la cui porta scardinata faceva ben capire cosa poteva essere capitato.
“Qui era dove tenevi Peter? Qui ti sei assicurata che non gli capitasse niente di male?”
“Doveva restarci solo pochi giorni, una settimana al massimo, tu mi avresti dato la mia parte e io lo avrei liberato.”
Neal entrò nel secondo stanzino, e vide la catena a terra. Si voltò furibondo verso la donna.
“Lo avevi incatenato? Davvero un bel modo per trattare un prigioniero!”
“Andiamo Neal, tu sei alla sua catena da oltre un anno ormai, che vuoi che sia qualche giorno di prigionia?”
L’uomo afferrò la donna per le spalle, il complice di Alex si mosse per fermarlo, ma lei gli disse di stare al suo posto. E guardò fisso negli occhi Neal.
“Avanti, colpiscimi se pensi che ti farà stare meglio, ma ricorda Adler farà ben di peggio.”
Neal era veramente tentato di allungarle una sberla, l’idea dell’amico legato ad una catena lo mandava in bestia. Vero anche lui aveva una sorta di catena, ma era ben diverso e poi lui era un delinquente per cui un poco se lo meritava, Peter no.
“Non provocarmi!”
La lasciò andare, ben consapevole che ora era alla sua mercé, toccava a lei muovere.
O ad Adler.

Intanto Peter riprese conoscenza e si accorse di non essere nello stanzino dell’altra volta. Non aveva più la catena alla caviglia, ma non era nemmeno libero, era in una cella.
No, questo è un incubo. Si disse. Prima una cavigliera ora una cella, si tratterà mica di un qualche scherzo di Neal?
Sapeva che non era vero, ma l’idea di fargli provare come ci si sente a stare incatenati e in una cella a Neal poteva anche essere venuta, viste le volte che lo prendeva in giro per la condizione di suo prigioniero per i prossimi tre anni. Però era consapevole che non sarebbe mai arrivato a tanto, o almeno se lo augurava.
Arrivò un uomo, a volto scoperto.
Gran brutto segno. Pensò Peter.
“Ben svegliato, per un momento avevamo temuto di averla persa. Ma a quanto pare ha la pelle dura.”
“Dove sono?”
“Oh cominciamo già con le domande? Forse non le è chiaro, qui le domande le facciamo noi. Signor federale.”
Mozzie lo chiamava abitualmente “federale”, con lo stesso tono di scherno, ma senza la nota di cattiveria di quella voce. Come può cambiare una parola a seconda di chi ce la dice; quando la sentiva da Mozzie ormai gli scappava solo da sorridere, pronunciata ora… era una minaccia.
Guardò fisso il suo carceriere, non gli avrebbe dato la soddisfazione di farsi prendere dal panico all’idea di essere loro prigioniero. Contava sulla sua squadra, su Caffrey. Non lo avrebbero lasciato solo. Di quello era certo, o perlomeno doveva pensarlo chi lo teneva prigioniero, vedendolo tranquillo ad agitarsi sarebbero stati loro.
L’uomo sostenne lo sguardo dell’agente, poi scosse la testa come se non si aspettasse niente di diverso, e lo lasciò da solo senza aggiungere una parola.
No, non sembrava agitato. Non ancora almeno.
Cercò di capire cosa poteva essere capitato. E sperò che gli altri avessero messo Elizabeth al sicuro, perché di certo se lui era finito nel mirino di queste persone lei poteva essere in pericolo. No, non voleva pensarci, sicuramente l’avevano protetta. Era facile non mostrare preoccupazione per se stesso, un altro discorso se solo immaginava che facessero del male a sua moglie.
Gli era intollerabile il solo pensiero.

Mozzie le aveva detto che sarebbe tornato presto con delle notizie. Elizabeth aveva detto che andava bene, l’uomo non sospettò nemmeno per un momento quali fossero le reali intenzioni della donna. Non aveva alcuna voglia di accettare ulteriormente la sua condizione di prigioniera. Ma sapeva che se avesse detto a Mozzie: “Vengo anche io a sentire.” non avrebbe ottenuto niente.
Aspettò che fosse uscito e poi prese la scala di servizio. Lo seguì e si accorse che stava andando direttamente agli uffici dell’Efbiai. Doveva essere capitato qualcosa di grosso perché Mozzie non si limitasse a chiamare Neal per essere aggiornato. Sapeva quanto detestasse gli edifici federali, il fatto che vi si stesse dirigendo non poteva essere un buon segno.
Lo vide fermarsi un attimo, come per riprendere fiato mentre si apriva l’ascensore, rimase lì fermo davanti per qualche istante, le porte stavano per richiudersi, lei si fece avanti. Bloccando le porte.
“Andiamo Mozzie, oramai ci siamo.”
L’uomo sussultò come colpito da una scarica elettrica.
“Tu. Ma dovevi…”
Si bloccò rendendosi conto che era stata tale l’agitazione mentre veniva in uno dei posti che odiava di più al mondo da non essersi nemmeno reso conto che lei lo aveva seguito.
Neal questa non me la perdona. Ho messo Elizabeth in pericolo.
Lei parve capire cosa lo agitava.
“Andiamo, Neal e Peter non potevano pensare che me ne sarei stata buona ad attendere notizie. Ho colto l’attimo.”
Nel parlare aveva lievemente spinto l’uomo nell’ascensore e premuto il tasto del piano degli uffici del marito. Quando le porte si aprirono vide chiaramente il panico negli occhi dell’uomo. Distintivi e pistole.
Il posto aveva un che di terrorizzante per un truffatore di lungo corso come lui.
Hotch vide lo stesso terrore e riconobbe l’uomo descritto da Jones.
Il messaggio di Reid ha funzionato.
Quello che non si aspettava era la presenza della moglie di Burke. Avevano dato la falsa notizia della liberazione imminente dell’uomo, ora le avrebbero dovuto spiegare che era una menzogna. Rimpianse l’assenza di JJ, lei avrebbe trovato il modo migliore per scusarsi della falsa speranza.
Si presentò alla donna, che lo riconobbe come l’uomo visto al notiziario.
“Signora Burke mi dispiace incontrarla in queste circostanze, sono l’agente Aaron Hotchner, stiamo ancora cercando suo marito. Mi dispiace se con il notiziario le abbiamo dato false speranze, ma dovevamo attirare l’attenzione di Mozzie.”
Elizabeth ci mise pochi istanti a capire che doveva essere capitato qualcosa anche a Neal, lui non avrebbe avuto bisogno di un notiziario alla TV per contattare l’amico. E lo disse all’uomo che le porgeva la mano insieme con le sue scuse.
“Cosa è capitato a Neal? Lui avrebbe semplicemente telefonato a Mozzie.”
Se Hotch rimase sorpreso dalla rapida reazione della donna non lo diede a vedere.
Questa donna ha carattere. Buon per lei.
“Non ne siamo certi, sembra che sia stato rapito a sua volta, ma potrebbe anche essere complice.”
“Non dica sciocchezze!”
Era stato Mozzie ad intervenire, come se solo l’accusa all’amico lo avesse risvegliato dallo stato di catatonia in cui pareva essere caduto nei secondi seguenti al panico. Elizabeth gli posò una mano su una spalla per calmarlo.
Hotch fissò l’uomo, senza dire una parola, lo vide distogliere lo sguardo in fretta. Come se solo in quell’istante si fosse reso conto del tono di voce usato. Ma lo rialzò altrettanto rapidamente.
“Sarà meglio che abbiate delle buone ragioni per accuse così infami. Neal non sarebbe mai complice di chi ha rapito Peter, lei non lo conosce come lo conosco io.”
“No, per quello l’abbiamo cercata. Caffrey ha detto che lei ha quello che cerca Adler. E quanto pare lo sta cercando anche una certa Alex Hunter. È con lei adesso, ma non sappiamo se di sua spontanea volontà o meno.”
“Alex? Ma se stiamo collaborando!”
“È la stessa cosa che ha detto Caffrey prima di andare all’incontro con lei. Dopodiché è scomparso.”
“E la cavigliera?”
“Tolta. Sospettiamo di un marshall che non si riesce a rintracciare, forse si è lasciato corrompere. Ed ha fornito alla signorina Hunter il codice per disattivarla.”
“Ah certo che ne avete di gente affidabile, e poi sospettate di Neal? Guardate le vostre travi invece delle altrui pagliuzze!”
“Può aiutarci a capire dove può essersi nascosta?”
“Certo che posso! Non è stata sua l’idea del cartello, vero?”
Hotch non se la prese per l’implicita accusa nella frase; il lei non è abbastanza intelligente era talmente mascherato da semplice curiosità che forse se lo era solo immaginato. Gli veniva spontaneo leggere tra le righe di quello che gli altri dicevano, sempre ed in ogni momento, ma poteva lasciar correre. Si domandò solo quante volte doveva aver fatto uscire dai gangheri Burke un tale soggetto.
“No, è stato un mio collega basandosi su cose dette da Caffrey.”
Arrivarono anche gli altri durante quello scambio.
Diana chiese a Elizabeth se voleva un caffè. Lei accettò volentieri e chiese di poter andare nell’ufficio del marito ringraziando Diana per la cortesia.
Il resto della squadra venne rapidamente presentato ad entrambi. Spencer chiese a Mozzie quanto gli ci era voluto per risolvere l’anagramma e il codice usato. Parlottarono per qualche istante di alfabeti baconiani e successioni di Fibonacci, e prima che l’uomo se ne rendesse conto gli aveva rivelato i dettagli del frattale. Era bravo Reid a far parlare il prossimo. Specialmente se era su un terreno a lui noto, come il calcolo statistico e la matematica applicata. Però aveva capito solo Spencer, che dovette tradurre agli altri in parole povere. Semplificando i concetti.
Derek era rimasto in silenzio per tutto il tempo, ancora scottato per la sfuriata di Diana. Ora vedersi l’amico di Caffrey prima timoroso e poi via via sempre più tranquillo nell’esposizione dei fatti a lui noti, lo innervosiva ulteriormente. Non aveva esagerato in caffetteria quel mattino, era proprio come Reid. Sparava dati a macchinetta, ricordava il progetto che stava costruendo come se lo avesse di fronte, memoria eiedetica bis. Si ritrovò a pensare che forse non poteva reggere due Reid in un colpo solo, ma ascoltò le spiegazioni di Spencer e cercò di non farsi distrarre.
Emily e Rossi erano sorpresi quanto Derek, ma loro due non avevano un conto in sospeso con Caffrey. Non erano arrabbiati con lui, quindi erano meno scettici nei confronti del suo amico. Almeno fino a che avessero pensato che Caffrey era una vittima e non un complice della Hunter.
Elizabeth rimase colpita da quel giovane che aveva messo Mozzie suo agio semplicemente parlando il medesimo linguaggio. Empatia, le aveva detto che si chiamava Peter, quando riesci a capire il prossimo solo per il vissuto e lo fai tuo. Un dono di pochi.
Le venne in mente un pomeriggio, il telefono si era messo a squillare, Peter stava lavorando a casa, era Neal che li invitava a cena da June.
Quando lo disse a Peter scoprì l’inganno di Neal, voleva che Peter facesse una cosa e lui aveva rifiutato, allora aveva aggirato l’ostacolo, sapendo che lei avrebbe convinto il marito a unire l’utile al dilettevole. Una cena con interrogatorio. Il mondo di Neal Caffrey che si mischiava a quello di Peter Burke. Empatia.
Chissà se era il termine adatto.

Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 3/3/2011, 23:53




Un tempo si sarebbe divertito ai patetici tentativi dei federali di rintracciarlo. Negli anni era stato praticamente invisibile. Non aveva lasciato nessuna traccia e lo sapeva, era stato tutto pianificato nei dettagli. Il potere concesso dal denaro era molto, e lui sapeva come usarlo. Gli era stato insegnato molto tempo prima.
Suo nonno era stato un ufficiale nazista, aveva cambiato nome e si era rifugiato in Argentina, mai rintracciato a differenza di altri. Suo padre era un bambino quando scapparono dall’Europa, gli aveva spiegato che un nome non significa niente quando tu sai chi sei. Ma era meglio non farlo sapere ad altri. Nemmeno sua madre sapeva chi fosse realmente il suocero, e lui lo aveva scoperto quando il padre lo aveva messo a parte del segreto di famiglia. Operazione Eagle.
Gli era parso divertente usare la versione tedesca della parola eagle come nome falso, quando aveva iniziato a farsi conoscere nella finanza. Aveva portato avanti la missione di famiglia, l’aveva fatta sua.
Doveva solo ritrovare quell’ultima cosa. Non avrebbe permesso a nessuno di impedirglielo. Quando aveva saputo che una persona era arrivata fino al villaggio dove erano sepolti i suoi genitori e il nonno, aveva capito che qualcosa nel suo piano perfetto si era incrinato. Non era più divertito ora. Non gli piaceva quando qualcuno gli metteva i bastoni tra le ruote.
Scese nel seminterrato, gli avevano detto che il prigioniero non pareva spaventato, ci avrebbe pensato lui a cambiare le cose. Era rimasto molto seccato quando aveva scoperto che l’agente era già stato rapito, ma i suoi uomini avevano trovato una traccia, quando sai dove cercare è molto più facile. Avrebbe avuto Caffrey in pugno di nuovo. Era stato un peccato aver dovuto uccidere Kate Moreau, ma era stata una scelta necessaria. Se l’agente era arrivato all’hangar voleva dire che il carillon era in mano dei federali e a lui serviva Caffrey, vivo. Kate era sacrificabile. Per non essere preso.
Ma ora il frattale era stato scoperto; perché non aveva dubbi che Caffrey e il suo compare avrebbero risolto l’enigma, anche grazie ad un aiuto. Non era il solo ad essere attratto da quel segreto e manovrare chi pensa di condurre è un sottile piacere. Ora non era più tempo di aspettare. Lo avrebbero portato dove voleva. Ed avrebbe chiuso una volta per tutte l’operazione cominciata da suo nonno, nel 1945.
Entrò dove c’era la cella in cui era imprigionato Peter Burke. L’uomo lo riconobbe immediatamente.
“Vincent Adler, se è questo il suo nome.”
“Non sembra sorpreso di vedermi. Non importano i nomi, importano le persone agente Burke.”
“Non sono d’accordo contano anche i nomi, ma non penso ci perderà il sonno. Ora ha solamente aggiunto un altro capo di imputazione ai suoi reati: sequestro di un agente federale.”
“Nemmeno questo mi causerà insonnia glielo assicuro, lei piuttosto ha l’aria di non riposare come si deve da giorni, il letto non è abbastanza comodo?”
“Oh no comodissimo. Cosa pensa di ottenere tenendomi qui segregato?”
“Tutto quello che mi aspettavo di ricevere la prima volta, se lei non si fosse messo sulla mia strada. La prima volta ho lasciato correre. Ma ora basta, le assicuro che rimpiangerà di non aver lasciato perdere il caso.”
“Pensava veramente che avremmo ignorato un omicidio?”
“Avevate Fowler, potevate accontentarvi di lui. Ah se Neal quel giorno gli avesse sparato. Quanto sarebbe stato tutto più semplice.”
“Suppongo che anche farlo saltare in aria assieme con Kate Moreau fosse un modo per assicurarsi che non potesse porsi altre domande.”
“A dire il vero no. Avevo scoperto le intenzioni di Kate, inscenare la loro morte, e glielo avrei anche lasciato fare. Vede a me interessava avere il carillon e il suo contenuto, li avrei lasciati andare, ma lei ha rovinato tutto. Quando lei è arrivato ho capito che avevo perso di nuovo il carillon. E che Neal mi serviva ancora. Per riprenderlo o scoprire cosa conteneva. Kate è morta per colpa sua.”
“Non dica stronzate, lei li avrebbe uccisi entrambi, per evitarsi seccature future.”
“Legge nel pensiero agente Burke? Perché sa... è quello che intendo fare questa volta: lei, Caffrey e la sua amichetta finirete in pasto ai pesci, niente più seccature.”
Peter rimase come interdetto.
La sua amichetta? Di chi parla... Sara? Che la abbiano scoperta?
“Non vedo Caffrey in cella con me, mi sono perso qualcosa?”
“Lo vedrà presto, non tema. E mi assicurerò che si sappia che il ribaldo truffatore ha ammazzato un agente FBI per darsi alla macchia. Daranno la caccia a lui, per la sua morte. Ma sarete morti entrambi.”
“Non dimentica qualcosa? L’amichetta di Caffrey? Qualcuno si domanderà che fine ha fatto.”
“Non se risulterà essere sua complice fin dal principio. Forse non ha ben chiaro che ora il gioco lo dirigo io. Io e nessun altro.”
Allora non parla di Sara. Ma chi... Alex!
“Non ha ancora quello che cercava comunque.”
“Lo avrò. È questione di poco oramai. Non si faccia illusioni, so muovere bene le mie pedine.”
“Anche Caffrey sa giocare a scacchi.”
“Lo so, penso di avergli insegnato varie mosse che non conosceva ai tempi della nostra collaborazione.”
“Dubito molto che lei avesse qualcosa di buono da insegnargli.”
“Lei sì invece, vero? Sa è stato divertente vedere come il vostro rapporto cacciatore e preda sia diventato così fraterno. I suoi colleghi come la considerano la sua amicizia con un incallito criminale?”
“Visto che ci fa catturare gente come lei, la vedono come un ottima cosa.”
“Uh... pieno di idealisti all’efbiai. Non l’avrei mai detto!” disse Adler ridendo mentre usciva dalla stanza.
Peter fissò a lungo la porta dopo che Adler se ne era andato.
Aveva una ridda di pensieri in testa e la necessità di trovare il modo di uscire dalla cella. Se avesse potuto chiedere a Neal qualche informazione in quel momento... già.
Scusi mi presta il cellulare un attimo? Vorrei fare una telefonata.

Continua…
 
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rabb-it
view post Posted on 8/3/2011, 00:26




Assemblare l’antenna aveva richiesto più tempo del previsto, trovare i componenti adatti per una cosa usata negli anni 40 era stato complicato. Ma aveva raccolto la sfida, la prospettiva di prendere l’uomo che aveva ordinato il suo omicidio era stato un ottimo incentivo. Osservò un istante le persone che stavano guardando lo stanzino vuoto, Neal era arrivato prima di loro. Non si aspettava niente di meno, lui e Alex dovevano avere un piano in cui non era contemplata la sua presenza. Era seccante essere messi da parte, ma aveva un incarico: proteggere Elizabeth.
Già, la ho protetta proprio bene non c’è che dire.
Pensò ironico l’uomo.
“Ancora convinto che Neal non sia d’accordo con Alex Hunter?”
Gli disse Derek voltandosi verso di lui e vedendosi osservato.
“Sì. Mi avrebbe contattato se fosse lui a condurre le danze.”
Forse.
Derek trovava incredibile il comportamento di quell’uomo. Era evidente la preoccupazione per il suo amico, ma nello stesso tempo non voleva aiutarli dicendo chiaramente cosa pensava.
Proprio amici per la pelle questi due.
“Non sono certo che ti avrebbe chiamato, dovevi proteggere Elizabeth. Perché distoglierti dal compito se poteva farsi aiutare dalla Hunter?”
Moz squadrò l’uomo che aveva di fronte. Era chiaro che Neal non gli piaceva. Esserselo fatto sfuggire sotto il naso in quel modo poi doveva essere stata l’ultima goccia.
“Non prendertela, Neal è bravo a sparire. Sapessi la fatica che hanno fatto a prenderlo la prima volta.”
Derek notò che non gli aveva risposto, tentando di farlo arrabbiare tirando fuori lo smacco appena subito.
Pensa che sia così facile provocarmi? Ora ti sistemo io, sbruffoncello.
“Veramente l’idea era di vedere da che parte stava Caffrey. Se questa è la risposta, forse non è bravo quanto crede.”
“Vuole farmi credere che prendersi una sfuriata da una collega davanti a tutti era parte del piano?”
Derek restò di sasso. Come lo sa?
Rossi levò lo strano ometto dagli impicci.
“Colpa mia Derek, stavo parlando con Diana ed ha sentito della lite.”
“Ho scoperto il suo bluff agente Morgan, ed ora?”
Stavolta fu Hotch ad intervenire, Moz stava esagerando.
“Non credo che questo sia un gioco.”
“Nemmeno io agente Hotchner, nemmeno io.”
Prese da terra dei fogli, erano quelli che aveva usato per il progetto. Ne mancavano alcuni. Neal gli aveva lasciato una traccia. Sapeva che lui avrebbe ricordato esattamente quelli mancanti.
“Abbiamo un indizio e la prova che Neal non lavora con Alex.”
Disse porgendo i fogli a Derek.
“Come fa a dirlo, non capisco?”
“Mancano le tre pagine inerenti la prima prova che ho fatto per il funzionamento dell’antenna. Ed ha piegato questo, quando si fa un origami il modo in cui si piega le prime volte la carta è un indizio di cosa si vuole ottenere. E questo ci dice dove si sono diretti.”
“Ed Alex non se ne sarebbe accorta? Mi risulta che ne sappia anche lei abbastanza di origami.” Disse Diana.
“Oh sì, se ne intende eccome. Ma potrebbe non aver collegato le tre pagine mancanti…”
“Potrebbe… e se invece lo ha fatto?” Lo interruppe Hotch.
“Oh, poi sarei io il paranoico, vero?” Replicò piccato l’uomo.
Diana e Jones si scambiarono un occhiata. Quello era davvero Mozzie? Non era da lui un atteggiamento tanto aggressivo. E sicuro di sé, soprattutto. Forse la preoccupazione per l’amico spiegava il suo comportamento, ma era una cosa un po’ strana.
Il telefono di Rossi prese a suonare. L’uomo rispose.
“Ciao. Va bene. Ti raggiungiamo subito.”
“Chi era?” Fu l’immediata domanda di Hotch.
“Qualcuno che ha risposto ad una e-mail.”
Rispose enigmatico.

Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 10/3/2011, 16:22




Emily salì nella macchina guidata da Rossi, era curiosa di sapere come mai non aveva detto niente, sentiva che c’entrava con la sua aria pensosa sull’aereo. Ora lo faccio parlare. Pensò combattiva.
“Allora era ad una mail che pensavi venendo qui. Chi hai chiamato? Perché non ce ne hai parlato?”
“Non sapevo nemmeno se poteva aiutarci in qualche modo. Ho chiesto che venissero fatte delle ricerche su quello che ci aveva comunicato Sara Ellis. Lo so potevo chiedere a te, in fondo hai lavorato per l'interpol una volta.”
Emily volse lo sguardo alla strada.
“Sì, ma non so quanto i miei contatti di allora avrebbero potuto esserci utili. Però non ho ancora capito a chi ti sei rivolto.”
“Siamo quasi arrivati, vedrai.”
Erano ad uno dei moli. Probabilmente una delle tappe di altra merce trafugata, o più semplicemente la destinazione dei container che aveva segnalato Sara.
Scesero dalla macchina e Rossi fece strada a lei e agli altri verso uno dei container. Ci girò intorno e salutò calorosamente la persona che loro ancora non vedevano.
“Sapevo di poter contare sul tuo aiuto!”
“Sempre!”
Hotch e gli altri rimasero letteralmente senza parole quando videro chi Rossi stava abbracciando calorosamente. Era JJ.
“JJ!” Fu l’esclamazione corale della squadra.
“Ragazzi mi hanno detto che vi serviva una mano ed eccomi qui.”
“Cosa hai scoperto?”
“Questo è uno dei container segnalati, degli altri non ho trovato traccia. Però ho un mandato per questo. Sicurezza nazionale.”
Moz incrociò le braccia ed assunse la sua migliore espressione da: lo sapevo io che il governo fa il brutto e il cattivo tempo. Pareva volesse anche dare voce al pensiero quando vide Diana guardarlo male e lui non aprì bocca.
Emily notò divertita l’occhiataccia di Diana all’uomo, poi riportò la sua attenzione su JJ. Da quando era stata distaccata al Pentagono l’aveva vista due, no tre volte. Ed ogni volta era dovuta andare via per lavoro o per altro. Le mancava. Mancava ad ognuno di loro.
Hotch e Dave furono i primi ad entrare nel container. C’erano delle casse. Altre stoviglie? Improbabile. Ne aprirono una ed era piena di materiale isolante. Per attutire gli urti. Dei quadri. Quella cassa conteneva due dipinti.
“Ora servirebbe Caffrey!” esclamò uno dei due estraendo uno dei quadri dalla cassa. L’altro concordò.
Jones invitò Moz a dare un occhiata. L’uomo imprecò in tedesco. Poi domandò scusa. E chiese loro se avevano idea di cosa avevano davanti.
Era uno dei quadri dato per distrutto in uno dei bombardamenti della seconda guerra mondiale. O un'ottima copia. Avevano ragione i due agenti: serviva Caffrey.
JJ guardò interrogativamente Emily.
“È un... collega di Neal Caffrey, ci stava giusto portando dove potrebbero essere andati lui ed Alex Hunter quando hai chiamato Dave.”
“Cosa ci dice su Adler questo container? Che era ossessionato dai tesori dei nazisti già si sapeva.”
Domandò Jones.
“Ci dice anche altro. Ad esempio che ha agganci tali da far entrare merce negli Stati Uniti senza che riusciamo a scoprire dove sia. E che negli altri container dovevano esserci cose ancora più preziose se ha sacrificato questo per riuscire a far sparire più agevolmente gli altri.”
“Cose che hanno a che fare con il frattale, magari.”
Intervenne Moz, colpito dall’analisi fatta da quello che aveva capito essere il capo. Una versione di Peter con meno senso dell’umorismo. Un cenno di assenso con la testa fu l’unica risposta che ottenne. Sì decisamente scorbutico quel federale.
Fu Rossi a rivolgersi a Moz:“Hai detto che l’origami era una traccia. Come?”
“Dobbiamo andare nel posto del collaudo, era all’interno delle due miglia permesse a Neal.”
“Ma su cosa avete testato l’antenna?”
“Abbiamo solo verificato se riceveva dei segnali, New York è piena di radioamatori. Eravamo sul tetto del palazzo più alto della zona. Abbiamo preso degli appunti per verificare le lunghezza d’onda captate e sono quelli i fogli che mancano.”
“E l’origami?”
“Sta nell’atrio del palazzo, una scultura che somiglia ad un gabbiano.”
Andarono dove aveva detto Moz. Non tutti. Solo Emily, Rossi e lo stesso Moz. Mentre gli altri si divisero tra il proseguire ad analizzare il container, Diana con Jones e Derek, il dirigersi negli uffici per fare il punto della situazione, Hotch con JJ e Reid.
Mancavano ancora dei pezzi al puzzle.
Nell’atrio del palazzo c'era quello strano monumento. Moz lo guardò per bene, Neal doveva aver trovato modo di lasciargli una traccia. Emily e Rossi si chiedevano cosa c’era che loro non riuscivano a vedere guardando come scrutava ogni angolo. Poi lo videro trasalire. Prese l’origami e lo posò sulla punta del monumento.
“Andiamo di sopra.”
“Cosa hai visto?”
Indicò loro la porta, un vetro così lucido da specchiare gli ascensori dietro di loro. E l’origami messo in quel punto indicava quello di destra.
Emily e Dave si scambiarono un'occhiata, la loro fiducia nello strano ometto era ben riposta ed anche quella di Neal. Lo seguirono all’ascensore, se dovevano salire sul tetto, sarebbero saliti. Uscirono dall’ascensore con le pistole in pugno spaventando a morte un paio di impiegati che si erano imbucati per fumarsi in pace una sigaretta.
Dave mostrò loro il distintivo e li invitò a scendere da lì. Non se lo fecero ripetere, nel arco di pochi secondi sparirono per le scale. Pallidi da far paura.
“Sempre detto io che fumare fa male!” Disse Rossi sorridendo.
Moz ed Emily risero con lui della scena comica.
Per tornare immediatamente seri nel perlustrare il tetto.
“Cosa potrebbe aver lasciato qui come traccia?”
“Ad esempio quello.”
Disse Moz indicando il punto dove avevano posizionato l’antenna.
Si vedevano ancora i segni dei ganci con cui l’avevano ancorata alla copertura del tetto.
“Non è lo stesso punto che abbiamo usato noi; noi eravamo andati dall’altro lato. Vuole farci sapere qualcosa.”
E il qualcosa lo vide Emily.
“Guardate, da qui si vede il monumento a Grant. E messi alla giusta altezza si vede una costruzione al di là degli alberi del parchetto che ci sta davanti.”
Disse la donna nel cercare la posizione giusta.
Rossi la imitò, mentre Moz si limitò a dissentire con il capo. Neal era più alto di lui, come poteva pensare che lui ci arrivasse? Poi si rese conto che l’amico sapeva che Diana e Jones non lo avrebbero lasciato da solo, quindi qualcuno di più alto ci sarebbe stato lo stesso. Era di buonumore se ha trovato il modo di farmi uno scherzetto. Cosa ha in mente? Si chiese.
Non disse niente dei suoi dubbi sull’amico, voleva capirci qualcosa in più prima.
Quella costruzione era l’obiettivo di Alex? O solo un indicazione per altro? O si stavano sbagliando e avevano perso la vera traccia?
C'erano ancora troppe domande senza una risposta.

Continua...

Edited by rabb-it - 12/3/2011, 14:34
 
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view post Posted on 13/3/2011, 16:06




La porta si aprì: Neal entrò nella stanza seguito da Alex, dietro di loro un paio di uomini armati.
Aprirono la cella e fecero entrare Neal, mentre Alex tornò di sopra con gli altri.
Peter lo guardava sconvolto. Aspettò che fossero soli poi parlò.
“Dimmi che farti catturare è stata una mossa per farci liberare. Seguono la cavigliera?”
“No, qualcuno me la ha tolta. Come stai?”
“Stavo meglio prima di vederti entrare qui, non molto, ma meglio. Come diamine hai fatto a farti fregare!”
“Calma, chi ha detto che mi sono fatto fregare?”
Peter spalancò le braccia indicando con i palmi le sbarre e la loro situazione di prigionieri.
“Secondo te?”
Il giovane fece una smorfia, poi sorrise.
“Peter, fidati di me.”
“Come sta Elizabeth?”
“Preoccupata, ma bene. È al sicuro.”
“Moz?”
“Come sai che non è sotto la protezione dell’efbiai?”
“Vi conosco un po’, non vi sareste fidati dopo Fowler. Giusto?”
“Giusto. È in uno dei suoi rifugi.”
Un sospiro di sollievo per la moglie, poi Peter tornò al presente. “Adler ha intenzione di ucciderci tutti e tre. Spero che tu non abbia dato ad Alex quello che voleva o siamo spacciati.”
“Veramente l’antenna gliel'abbiamo portata. Alex sa cosa rischiava in caso contrario.”
“Pensa davvero di cavarsela, vendendoci?”
“Non proprio...”
E mentre Neal spiegava a Peter cosa aveva in mente Alex, altri a pochi chilometri di distanza stavano iniziando capire qualcosa del movente di Adler. Grazie a Sara erano risaliti al cognome di un ufficiale nazista che era fuggito dalla Germania alla fine della seconda guerra mondiale.
Era un radarista, un uomo a cui Adler dava la caccia da tempo. Arrivato negli Stati Uniti era sparito.
Non c’erano tracce di lui dopo il passaggio da Ellis Island. Tappa obbligata per gli immigrati in arrivo negli USA, era sparito magari protetto dai servizi segreti per le informazioni che forse aveva rivelato.
Il nazista pareva avere qualche legame con Adler, il cui nonno era sepolto in Argentina sotto falso nome.
JJ aveva scoperto il collegamento grazie al suo nuovo lavoro, lei e Sara si erano passate le informazioni come se avessero sempre lavorato insieme. Entrambe sapevano bene come si raccolgono informazioni e scartabellando gli archivi di Ellis Island insieme a Reid avevano trovato molto in fretta i dettagli che mancavano.
Avevano collegato un uomo che era morto da dieci anni con quello sparito, combaciava con la fotografia segnaletica che avevano loro. Il suo cognome era Hunter ed aveva lasciato una sola partente in vita: sua nipote Alexandra.
“Pensate sappia che Adler sta cercando suo nonno da una vita?”
Chiese Reid guardando le carte davanti a lui.
“Non saprei, magari non sa nemmeno che il nonno era un ufficiale tedesco.”
“Dovremmo sentire che ne dice Moz, lui è quello che la conosce meglio... dopo Neal.”
JJ notò l’esitazione nella voce della donna, non doveva avere grande simpatia per quella Hunter.
“Chiamiamo Rossi, lui ed Emily sono con lui.”
Riferirono a Rossi, ed anche agli altri che avevano unito alla telefonata in conferenza, e insieme ascoltarono la reazione di Moz. A quanto pare nemmeno Neal poteva sapere niente di questa storia, non conosceva Alex così a fondo come credeva.

Continua...
 
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view post Posted on 14/3/2011, 16:08




Peter ascoltava Neal elencargli il piano, ma nella sua mente sentiva ancora l’eco della parole di Adler di poco prima, e si chiedeva come avrebbe fatto a spiegargli che se lui non fosse andato all’hangar forse Kate non sarebbe morta. A livello razionale sapeva bene che non era colpa sua se Adler l’aveva uccisa, ma non si sentiva molto razionale e sapeva nemmeno Neal lo sarebbe stato, si trattava di Kate e il buon senso del giovane quando si parlava di lei… entrava in sciopero.
“Peter mi stai ascoltando?”
L’uomo cercò rapidamente una scusa per non dire la verità.
“Mi domando se ci sta ascoltando anche Adler.”
“Quindi non ascoltavi. Ti ho appena spiegato che non può, abbiamo posizionato un marchingegno di Moz che disturba le comunicazioni, almeno fino a che dura la batteria, gli uomini di Adler sono sordi a quello che ci diciamo.”
“Ok, ero distratto. Cosa dicevi di Alex che mi ha fatto rapire?”
“Un rapimento alla volta.”
Peter tirò un involontario sospiro di sollievo, perlomeno non gli aveva domandato cosa lo avesse distratto. A Neal non sfuggì il gesto, ma non ne comprese la ragione e visto che Peter non voleva parlarne lui evitò di insistere. Una cosa alla volta, prima usciamo da qui.
Adler e i suoi uomini entrarono nella stanza.
“Neal che piacere rivederti.”
“Non intendo mentire dicendo altrettanto.”
“È passato tanto di quel tempo. Vedere che le mie speranze in te sono state ben riposte mi riempie di gioia.”
“Hai ucciso Kate!”
“Oh ma come Peter non te lo ha detto? È stata tutta colpa sua, sarebbe bastato che vi avesse lasciati andare via e non sarebbe accaduto niente. Kate è morta perché lui è arrivato all’hangar.”
“Tu hai premuto il detonatore, lo avresti premuto per entrambi invece che per lei sola, se non fosse stato per Peter. L’unico assassino qui sei tu.”
Sentenziò Neal con rabbia.
Peter lo guardò sopreso, non aveva preso in considerazione l’ipotesi che Neal avesse già capito come erano andate le cose ed Adler gliene aveva solo dato la conferma. No, il buon senso stavolta non era andato a farsi un giro, perlomeno non quello di Neal.
Il quale sentiva la rabbia verso Adler montargli dentro, aveva capito cosa fosse preso a Peter prima, Adler aveva cercato di farlo sentire in colpa per la morte di Kate e non sapeva come dirglielo.
Non sono così stupido Peter. Pensò il giovane.
“Cosa vuoi? Ora hai il tuo frattale, puoi lasciarci andare.”
“Mi prendi per stupido? Ora tu mi aiuterai. E non per salvare Peter e Alex, non c'è niente di più triste di un truffatore che tenta di truffare se stesso. Tu vuoi sapere quanto me cosa nascondeva il carillon.”
Peter guardò Alex, la donna era alle spalle di Adler e non distoglieva lo sguardo da Neal. Come se solo da lui dipendesse la riuscita del loro piano. E probabilmente era vero.
Neal replicò, la voce era quasi un sussurro, come se si vergognasse: “Lo ripeto, cosa vuoi?”
“Mi serve uno scassinatore, per una cassaforte molto particolare imbottita di tritolo.”
“Forse era meglio un artificiere allora.”
“Sempre spiritoso Neal, mi era mancata la tua prontezza di spirito, dico sul serio.” disse Adler con una risata. Maligna.
“Non capisco, se hai già quello che cerchi a cosa ti serve l’antenna?”
“Per evitare che mi rintracciate, siete arrivati anche troppo vicini. Volevo evitare sorprese mentre lavorerai per me.”
Peter sperò che il piano di Alex funzionasse. O non avrebbero avuto speranze. Sempre che lei non fosse in combutta con Adler, per quanto Neal avesse asserito il contrario lui non si fidava. Non completamente almeno.
“Per prima cosa mi serve che vi facciate un bel pisolino. Non voglio che sappiate dove vi sto portando.”
Prese una bottiglia con del liquido ambrato. Ne riempì a metà dei bicchieri che uno dei suoi uomini gli mise davanti con un vassoio. Tre bicchieri.
“Tè freddo e… altro. Abbastanza per mettervi KO per una mezz’oretta almeno, non di più. Forza.”
“No!” disse Peter “Non giocheremo a questa partita. Mi hanno drogato a sufficienza in questi giorni.” Terminò guardando storto Alex.
“Oh ma stavolta anche lei prenderà la stessa cosa.”
“Ma io…” tentò di dire la donna.
“Tu farai come dico.” Intimò Adler voltandosi nella sua direzione con uno sguardo che non ammetteva repliche.
Neal prese in mano uno dei bicchieri. Adler ha ragione: voglio sapere. E lo sa bene.
“Non farlo…” iniziò a dire Peter quando si accorse di cosa stava per fare.
Troppo tardi. Aveva bevuto, con una smorfia di disgusto per il sapore che non doveva essere dei migliori.
“Preferisce restare qui, agente Burke?”
Domandò Adler facendo un cenno ad uno degli uomini armati.
“Hai detto che devo scassinare una specie cassaforte piena di tritolo, mi darai una mano tu?”
Disse Neal all’indirizzo di Adler.
“No, ti aiuterà Peter, io starò al sicuro dietro un vetro antisfondamento, ma se lui preferisce farti fare da solo, non sarà colpa mia… stavolta.”
L’allusione ad un’altra esplosione andò a segno, Peter colse anche l’implicita minaccia del cenno all’uomo con la pistola al suo fianco. Era pronto ad ucciderlo subito. Forse per guadagnare tempo era meglio dare retta a Neal, che si era seduto sulla panca nella cella, coi primi sintomi dell’effetto del narcotico.
Alex imitò i due uomini. Dovunque sarebbe andato Neal lei intendeva seguirlo. Era evidente che Adler non si fidava di lei ed aveva la netta sensazione che se non avesse accettato sarebbe finita male, molto male.

Derek riagganciò dopo la miniconferenza con JJ e gli altri. Diana e Jones erano di fronte a lui. E nessuno dei tre si decideva a parlare per primo. Pochi istanti e fu lui a sbloccare la situazione.
“Rossi ha detto dove dirigerci. La traccia lasciata da Neal era chiara, almeno secondo lui. Per voi ha senso? Resta l’incognita Alex. È complice di Adler o di Neal in questa sciarada?”
“Temo che lo scopriremo solo quando li troveremo.” Disse Jones.
“Quel Caffrey mi piace sempre meno. E se fosse d’accordo con loro?”
“Derek, capisco la tua sfiducia nei suoi confronti, credimi non sai quanto. Ma di una cosa sono certa e la penso come Moz: Non metterebbe mai in pericolo Peter.” Fu Diana questa volta ad intervenire.
“Perché ti fidi così tanto? Tieni molto a lui.”
“Non farmi il profilo agente Morgan, non mi fido di lui. Mi fido del suo affetto per Burke.”
“Dettagli.” Obiettò Derek.
Jones osservava lo scambio tra i due colleghi ricordando come lui quanto Derek si ponesse i medesimi quesiti, ma che Morgan mettesse in dubbio le capacità della collega non gli andava giù.
“Non credo che ora importi come mai ci fidiamo o meno di Caffrey, il fatto è che non abbiamo altre piste a parte quella trovata da Moz. Cosa pensa di trovare Adler?”
“Altri tesori trafugati dai nazisti, mi pare logico.”
Replicò Derek dandò un occhiata alla cose che avevano catalogato fino a quel momento, c’erano opere dal valore di svariati milioni. E chissà cosa altro poteva esserci, o almeno Adler sperava ci fosse in quello che potevano trovare grazie all’antenna di Moz.
Presero l’auto e lasciarono il molo, altri uomini avrebbero provveduto a portare al sicuro il materiale recuperato. Loro avevano una diversa missione. Raggiungere il luogo segnalato dai colleghi. Prima che fosse troppo tardi.

Hotch era negli uffici, aveva aggiornato il capo di Peter sugli ultimi fatti e poi aveva parlato con la moglie di Peter Burke. Aveva scoperto come Neal avesse salvato la vita a suo marito mesi prima. Aveva compreso come mai la donna si fidasse tanto di quel truffatore; non giustificava Burke, ma lo capiva. Avere qualcuno che ti protegge le spalle in caso di necessità è importante, anche quando non ti puoi fidare al 100% di quel qualcuno.
“Neal è migliore di quello che lui stesso immagina, solo che non lo sa.”
“Mi auguro che lei abbia ragione. Dico davvero, a volte è… difficile fidarsi. Se non impossibile.”
“Lo so. E nemmeno Peter si fida sempre, però a volte bisogna rischiare.”
“Non so se ci riuscirei.”
Elizabeth gli sorrise. “Perché non conosce Caffrey, ne ha visto solo la fedina penale. Non l’uomo.”
Hotch stava per obiettare che invece era proprio aver intuito l’uomo dietro la fedina penale a dargli poca fiducia, ma si fermò in tempo. Non era proprio il caso di contestare le convinzioni della signora Burke sull’animo di Caffrey. Almeno non fino a che il marito non fosse stato sano e salvo.
E forse anche dopo, Peter Burke e Neal Caffrey non erano un suo problema, lui doveva solo aiutare la liberazione di un agente federale, non monitorarne il comportamento. Anche se a volte era una cosa di cui la loro unità si preoccupava. Fare rapporto sui colleghi era fastidioso, ma a volte necessario. Sperava non toccasse a lui ed alla sua squadra. Stava iniziando a provare simpatia per Burke, saputo quanto metteva sotto torchio Caffrey, non gli sarebbe piaciuto dovergli fare rapporto.
“Forse ha ragione, suppongo che lavorandoci insieme Peter abbia avuto modo di capirlo molto più a fondo che non da un dialogo di poco più di mezz’ora.”
“Che idea se ne è fatto?”
“È un impulsivo. Non ama il gioco di squadra e non si fida del prossimo. È un egocentrico, narcisista, ma a modo suo sensibile.”
“Caspita… forse lo conosce meglio di quello che credo.”
“Si tratta del mio lavoro, valutare il prossimo.”
“E di mio marito che opinione si è fatto?”
Hotch finse di cercare qualcosa sul palmare, un attimo per raccogliere le idee.
“Ecco… io…”
“Va bene, non voglio obbligarla a fare il profilo ad un collega.”
Il sospiro di Hotch le strappò una risata.
“Era così evidente?”
“Solo un po’.”
Elizabeth era grata ad Hotchner per averla tenuta aggiornata, mentre era nell’ufficio di Peter aveva fatto qualche domanda per sapere chi erano questi agenti provenienti da Quantico. Non aveva scoperto molto, erano venuti come favore a Diana e poco altro.
L’agente Hotchner era il caposezione, lo stesso ruolo che suo marito aveva in quell’unità White collar, Hotch lo ricopriva nell’unità crimini comportamentali, similitudini. Ma non era a lui che si era rivolta Diana, lei aveva contattato una delle donne dell’unità con cui era amica da prima di diventare un’agente. Se aveva capito bene lei aveva domandato aiuto per restringere il campo di ricerca di Adler. Fino a che era rimasto nascosto nell’ombra era difficile da trovare, ma quando aveva iniziato ad uccidere, o ad ordinare omicidi le cose erano cambiate.
Non era più solo ricercato per crimini finanziari, la frode per cui era sparito oltre un lustro prima con svariati milioni di dollari. Ora era sospettato di almeno due omicidi e di altrettanti tentativi.
E del rapimento di un agente. Suo marito.

Continua…
 
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16 replies since 29/1/2011, 01:25   227 views
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