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Quando, Criminal minds

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rabb-it
view post Posted on 11/8/2010, 21:44 by: rabb-it




Capitolo 27



Ricordava ogni cosa.
Era tutto lì davanti a lui. Il carcere a vita lo attendeva, probabilmente anche una serie di psichiatri a scandagliare la sua mente per capire cosa fosse scattato, per giustificare gli omicidi.
All’inizio pensava con gratitudine dell’agente che lo aveva fermato, ma era prima.
Prima di sapere.
Prima di capire che una delle persone da lui uccise voleva fare quello che si era ripromesso lui quando aveva iniziato a raccogliere informazioni dagli schedari dove lavorava.
Come ha fatto a sfuggirmi quel dettaglio? La fretta, ho letto solo che era prossimo alla scarcerazione e non ho badato a tutto l’insieme.
E la gratitudine se ne era andata.
Era meglio se mi avesse lasciato morire.
Ora sarebbe dovuto vivere con il senso di colpa.
Poteva farcela per quello che riguardava le prime quattro vittime, sapeva che il suo avvocato gli avrebbe consigliato di dimostrarsi pentito per tutti i suoi delitti, ma lui si pentiva solo dell’ultimo.
Era l’unico vero senso di colpa.
Ricordava come tutto era iniziato. Una mail mandata per errore, una minuscola al posto di una maiuscola e una delle sue fotografie della sua infanzia con Julie era finita nella casella di posta sbagliata. O era quella giusta?
L’uomo risponde che la donna non lo interessa, ma il bambino sì.
Va a controllare cosa ha scritto nella mail. Era uno dei soliti scherzi con Julie, lei gli aveva domandato se aveva qualcuna delle loro fotografie, e lui le aveva mandato quella con scritto semplicemente: Interessa il soggetto?
Non c’erano intenti malevoli, ma l’indirizzo era sbagliato.
Erano mesi che era schifato da alcuni dei casi di cui si occupavano nello studio per cui lavorava.
Aveva fatto delle indagini e scoperto che l’uomo aveva precedenti. Voleva incastrarlo.
Poi quando si stava avvicinando il momento in cui avrebbe dovuto rivolgersi alla polizia, la scoperta.
Hunt non era il cognome dei genitori adottivi, era anche il suo, quelli erano i suoi zii.
Suo padre era stato ammazzato da un colpo di fucile alla gola.
Julie era stata aggredita e per difenderla un suo amico aveva sparato all’aggressore colpendolo alla gola, forse mirava alla spalla o alla testa, non lo sapeva e non glielo avrebbe chiesto mai.
Non poteva essere solo un caso, era un segno.
Era stato allora che aveva deciso, non ci sarebbe stato arresto per una persona che era pronta a distruggere la vita di un bambino.
Indagine, sentenza, condanna.
Cinque erano state le vittime riconosciute al padre, cinque sarebbero state le persone che lui avrebbe costretto a rivelarsi per i mostri che erano.
Un mostro ucciso per ogni vittima.
Invece ne mancava uno.
Ma quello era meglio non dirlo allo psichiatra.
Avevano già abbastanza dati sui suoi disturbi senza che intuissero che per lui la storia non era ancora finita.
Se in prigione gliene fosse capitata l’occasione, non si sarebbe tirato indietro.
Ma se avessero saputo, lo avrebbero per sempre tenuto in isolamento.
Il marito di Julie gli aveva messo a disposizione un avvocato, lui aveva rifiutato, avrebbe preso un legale d’ufficio, non poteva permettere che la famiglia di Julie si indebitasse per aiutarlo, era stato perentorio.
“Occupati di tua figlia, io so cavarmela da solo.”

Solo, era così che si sentiva.
Anche quando non lo era, come in quel caso.
Stavano rientrando dall’ultimo caso.
Era stato il loro primo caso senza JJ.
C’erano state altre occasioni in cui lei non li aveva seguiti nei casi, rare, forse due.
E per ora la sensazione era di estraneità, come se non fosse ancora accaduto niente, come se nel rientro in ufficio l’avrebbero trovata per il briefing sui prossimi casi, come sempre.
Ed invece no.
Non si era ancora parlato di un nuovo addetto alle comunicazioni con la stampa, per ora svolgevano lui e Rossi l’incarico lasciato vuoto, cercando di non pensare che lei se la sarebbe cavata molto meglio. Era naturalmente portata per la diplomazia.
Il talento non lo impari, è innato.
E lei in quel campo era la migliore.
Reid era di fronte a lui, pareva perso nei medesimi pensieri, ma non osò far domande.
Ognuno di loro era affezionato in maniera diversa a JJ, per tutti loro l’assenza aveva avuto un peso.
Forse per Reid maggiore che per altri, era stato a lei che si era confidato dicendole che aveva fatto del male a Derek, e gli aveva permesso di capire cosa forse era accaduto prima di ritrovarlo a LasVegas.
Derek li raggiunse con dei caffè per tutti.
Spesso nei rientri si mettevano ognuno per conto proprio, lui a sistemare i rapporti, Derek ad ascoltare musica, Reid magari faceva qualche solitario, Emily e Rossi giocavano a carte.
Quel giorno no.
Lui era seduto nei sedili doppi, aveva a fianco Rossi e di fronte Derek e Reid, Emily era nel sedile di fianco ai loro, al di là del corridoio del jet.
Guardava Reid e Derek con un espressione serena in volto, come felice di vederli ancora insieme.
E nello stesso tempo aveva uno sguardo triste.
Spesso sedeva di fronte a lei JJ e chiacchieravano.
Quel posto vuoto e silenzioso pareva fare un baccano indicibile nella sua testa.
JJ ci manchi era stampato sui volti di ognuno.
“Avete saputo di Julie Green?”
Era stato Derek ad interrompere il silenzio.
Un cenno di diniego da parte dei presenti e lui iniziò a spiegare.
“Sembra che la terapia sperimentale a cui l’avevano sottoposta stia facendo effetto, forse potrebbe riprendersi. Anche se mi domando… io ci ho messo mesi e sono stato in coma solo una settimana, potrà tornare come prima.”
“No.”
Tutti guardarono stupiti Reid e la concisione della risposta, era la prima volta da quando lo conoscevano che non partiva per la tangente con spiegazioni sulla chimica del cervello, o al sua fisiologia per spiegare il concetto, solo un no.
“Dai Spencer, potrebbe anche farcela.”
“Non ho detto che non potrà avere di nuovo una vita normale, ho solo detto che non potrà tornare come prima.”
Sintetico. Anche troppo.
“Ehy… sono io quello che si è fatto una settimana di coma e sarebbe dovuto cambiare, mica tu? Dove hai messo Spencer Reid?”
Sorrisero tutti alla battuta, tranne il destinatario dell’ironia.
“Dai Reid, scherzavo, ok?”
“Sì… era che pensavo a quando ti sei svegliato ed ho detto a JJ che mi avevi guardato malissimo.”
“Animo… ti ho spiegato, mi ricordavo degli incubi come se fossero cose accadute.”
“Ma sì, ho capito. Incubi.”
“Però caspita se sembrava vero!”
“Ah grazie…”
“Sapete, quando morì Haley facevo spesso lo stesso sogno, salivo le scale vedevo lei a terra, scorgevo le scarpe di Foyet sbucare da sotto la tenda e facevo fuoco.
Solo che stavolta lui era morto. Niente inseguimento, niente lotta.
Però quando voltavo il corpo c’era Jack, lo teneva all’altezza del petto e con una mano premuta sulla bocca così lui non aveva potuto gridare aiuto, lo avevo ucciso.
Ed ogni volta che capitava questo incubo, per quanto razionalmente sapevo bene che Jack stava bene, dovevo accertarmene. Passavo spesso il resto della notte a guardarlo respirare e a chiedermi cosa avrei fatto se…
I primi giorni, settimane, era stato più facile, lui voleva stare con me e averlo a fianco nel lettone era utile per calmare l’ansia, ma poi quando ricominciò a dormire nella sua cameretta, mi ritrovavo ad alzarmi e lo raggiungevo, ripetendomi quanto fossi stupido.
Ed erano solo incubi.”
Derek restò stupito della confidenza, era certo che a malapena con lo psicologo addetto alle valutazioni del personale lo avesse confidato.
Doveva essersi preoccupato parecchio per lui, quando aveva saputo che credeva che Reid lo avesse torturato. Forse si spiegava meglio la sua reticenza a farlo tornare in piena attività.
Hotch colse lo sguardo stupito di Derek, non era tipo da confidenze personali, ma aveva la sensazione di essersi liberato di un peso.

Continua...

Capitolo 28



Peso, costrizione, obbligo.
Sinonimi.
Aveva bisogno di una pausa. Era passata un altro mese, nell’ultima settimana era stata assegnata loro una nuova addetta alle pubbliche relazioni della squadra.
Doveva essere presente, il capo non può assentarsi.
Ma un capo deve saper delegare e lui in quel momento doveva prendersi una pausa, era troppo che rimandava. Gli era necessaria.
Derek aveva già ampiamente dimostrato di essersi ripreso, poteva lasciargli l’incarico per qualche giorno. Aveva fatto presenti le sue intenzioni a Rossi, che gli aveva chiesto se aveva già una meta.
“Devo portare Jack a trovare una persona, ha una promessa anche lui da mantenere e me lo ha detto giusto l’altra sera.”
“Così piccolo ed ha già i suoi giri di amicizie, caspita.”
Aveva scosso la testa sorridendo dell’uscita del collega, se avesse saputo dove sarebbe andato forse non sarebbe stato così divertito, ma Jack aveva veramente qualcosa da fare. Un appuntamento preso quasi 14 mesi prima, quando c’era ancora la sua mamma.
Sapeva che doveva accontentarlo, era un piccolo legame con il ricordo di sua madre, un modo perché il suo ricordo fosse collegato a cose felici.
E in quel posto lui ed Haley con Jack erano sempre stati felici, anche dopo il divorzio.
Una settimana.
Senza pensare al lavoro, tranne forse i primi momenti, quelli delle spiegazioni.
L’ultima volta che li aveva visti, anche se non ricordava con precisione, era stato al funerale di lei, i primi momenti non sarebbero stati facili, ma sarebbero passati e sarebbero andati oltre.
Lo doveva a Jack. Ad Haley.
A se stesso.

Derek rimase di stucco, non si aspettava di nuovo l’incarico di capo, anche se solo per una settimana. Era comunque felice di poter mantenere la promessa che gli aveva fatto mesi prima.
“Se in qualche modo potrò aiutarti a passare più tempo con Jack ci sarò.”
Ecco il momento era arrivato.
Sapeva che potevano chiamarlo in caso di necessità, ma sperava che riuscissero a non disturbarli.
Era conscio e consapevole di quanto importi non solo la qualità del tempo che si passa con i propri figli, ma anche la quantità.
Sarebbero state giornate preziose per Jack, per sapere che lui non veniva dopo il lavoro.
“Andrà tutto bene, anche per la novellina, meno pressione. Potrà ambientarsi.”
“Io non le faccio pressioni!”
“Certo come no, Hotch… l’hai chiamata JJ questa mattina.”
“Ok la pausa mi serve.”
Derek temeva che la sua uscita lo facesse irritare, invece lo aveva visto divertito.
Cosa preoccupante.
Sì la pausa gli serve.
Ma era contento che l’avesse presa bene.

Uno squillo.
Un secondo, la cornetta che viene sollevata.
“Ciao, sono Hotch, mi chiedevo se io e Jack possiamo passare a trovarvi, lui mi ha parlato di una promessa che avrebbe fatto ad Elise.”
Rimase in ascolto della risposta, l’espressione seria in volto.
“No, non porterei mai Jack con me in quel caso. Ma se preferisci che non vengo capisco.”
Dall’altro capo della cornetta dovette arrivare una replica ironica, il volto si distese in un accenno di sorriso.
“Va bene, allora ci vediamo domani. Ciao.”

Continua...


Edited by rabb-it - 12/8/2010, 12:32
 
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