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Quando, Criminal minds

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rabb-it
view post Posted on 27/5/2010, 18:51




Autore:Rabb-it
Titolo:Quando
Rating:?giallo?
Categoria:Angst
Avvertimenti:alcune descrizioni sono un po' forti, credo.
Personaggi: il team.
Spoilers:Alcuni dettagli della quinta serie
Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note: Ho deciso alcuni mesi fa che dovevo far tribolare un poco alcuni soggetti... le mie prime lettrici!


Se desiderate lasciare un commento, questo è il link.
Grazie.



Quando
Prologo



Il dolore era molto forte.
Partiva dal piede destro, saliva lungo la gamba e dall’inguine si irradiava al resto del corpo.
Voleva gridare, ma non gli usciva un suono.
Era in un bagno di sudore e si dibatteva stretto da delle cinghie, queste ultime lo bloccavano ad una specie di lettiga.
Ogni suo tentativo di liberarsi aumentava il dolore, ma non poteva fermarsi, doveva sbrigarsi prima che tornasse, tornava sempre.
I ricordi dei suoi ultimi giorni erano confusi, stava lavorando, era stato impegnato come al solito.
Poi a casa, ma non rammentava di esserci entrato, quindi lo avevano catturato prima che rientrasse.
Poteva anche essere stata una persona sola, non ricordava di aver lottato, ma un ago, sì, ricordava un ago.
Lo avevano anestetizzato con qualcosa, ma chi e perché?
Ne rammentava la presenza durante la prigionia.
Ad ogni risveglio lui tornava.
Intorno a se solo l’oscurità. Poi quei passi. Lenti, misurati, non affannati di chi deve brigarsi, ma passi di chi ha tutto il tempo che gli serve per completare l’opera cominciata forse da ore, o da giorni.

Eccoli di nuovo, stava tornando. Nemmeno questa volta era riuscito a liberasi.
La porta sul fondo che si apre, lasciando entrare un piccolo spiraglio di luce, questo si allarga piano fino a diventare un cono che illumina per intero la stanza spoglia.
Un piccolo stanzino senza finestre. Ecco spiegato il buio, ed eccolo che ritorna non appena la persona chiude la porta dietro di se.
Per un secondo la sua ombra si era stagliata sul cono, una figura alta e longilinea.
Si avvicina, non ne vede il volto.
Non lo ha mai visto.
Ne lo ha mai sentito, fino a quel momento.

Poche parole, ma sufficienti a raggelargli il sangue nelle vene.
“Vorrei tanto sentirti dire un’altra volta che non sono normale, sai? Dai fallo ancora, che aspetti!”
Poi di nuovo il silenzio, la sola presenza, e un nuovo dolore prende il sopravvento, non è fisico questa volta.
Una domanda aleggia muta negli occhi spalancati di Derek Morgan:
Quando è successo? Quando abbiamo perduto Reid senza rendercene conto?


Era al suo fianco, e gli stava facendo qualcosa, il dolore pulsante al piede aumentava con il passare dei minuti, gli sembrava bruciasse, ma non riusciva ad identificare con certezza cosa succedeva, doveva essere la droga che gli era stata somministrata.
Abbastanza forte da intontirlo e vanificare i suoi tentativi di liberarsi, ma non tanto da non fargli sentire il dolore.
“Cosa ti è successo Spencer? Questo non sei tu!”
Per diversi minuti nessuna risposta, poi tre parole.
“Ne sei sicuro?”
E riecco il silenzio, carico di un orrore mai provato per Derek.
Poteva anche accettare che un soggetto ignoto, un criminale a cui dava la caccia, prima o poi lo avesse alla sua mercé, era un eventualità che sapeva poteva verificarsi, ma dal suo amico no, non poteva aspettarselo nemmeno nel peggiore degli incubi.
Eppure stava succedendo.
Cercò di farlo parlare, ma non ottenne che mutismo.
Mentre il dolore saliva di nuovo d’intensità, sentiva che stava per perdere conoscenza un’altra volta.
Ci sarebbe stata una fine?
Lo avrebbero trovato gli altri?
Gli altri.
Come potevano trovarlo? Di sicuro Reid partecipava alle sue ricerche, e di certo faceva in modo che non si avvicinassero a scoprirlo.
Ma cosa è successo dal nostro ultimo caso?


Un ricordo lo distolse per un secondo dal dolore, impedendogli di perdere di nuovo conoscenza.
Erano in uno dei tanti uffici dove avevano studiato i profili, stavano indagando su un truffatore che dalle truffe era passato agli omicidi.
Dovevano controllare dei file d’archivio, Reid pareva trovare la cosa divertente e non aveva saputo resistere dallo stuzzicare l’amico.
“Non mi dire che la cosa ti piace?”
“Adoro i documenti ben ordinati.”
“Mai fare una cosa normale tu, vero?”

Ma non può essere, non per una facezia simile!

Non poteva credere che per quella sciocchezza Reid fosse uscito di senno in quel modo.
Gliene ho dette anche di peggiori, si scherza. Non ci credo che è stato quello.
E glielo disse.
Lo sentì ridere.
“Dillo ancora forza, io e le cose normali non siamo compatibili, su che le cose normali lo sai solo te come sono!”
Poi una sferzata, con la forza di un maglio il dolore lo colpì un’altra volta, stavolta era all’inguine e si irradiava lungo l’addome.
Perse i sensi, con nelle orecchie quella risata. E quella frase.

E il dolore pareva andarsene insieme alla conoscenza, almeno quello meramente fisico.
E la domanda di prima tornò, un attimo prima dell’oblio.

Quando?




Primo capitolo



Quando si svegliò nuovamente non era da solo.
Ma erano certamente delle allucinazioni causate dalle droghe.
Non poteva spiegarsi in altro modo la presenza di sua madre e delle sue due sorelle al suo fianco.
“Resisti Derek, non arrenderti, devi lottare.”
“Puoi farcela non ti lasceremo solo.”

Ecco l’inconscio al lavoro. Mi manca solo che passi Penelope, la mia consolazione divina ed ho fatto l’ein plein.

E l’inconscio doveva proprio lavorare di gran lena, visto che non aveva fatto in tempo a formulare il pensiero sull’informatica più simpatica di tutta Quantico, ed eccola.

“Avanti Derek, un Dio greco scolpito nella cioccolata non può farsi battere in questo modo! Lotta!”

“Penelope è Reid, avverti gli altri!”
Sapeva di essere irrazionale a parlare ad un allucinazione, ma non aveva potuto trattenersi.

Sto impazzendo.

Ma si sentiva anche stranamente rasserenato da quelle presenze che si alternavano nel delirio.
Come se potessero trasmettergli la loro energia solo nel ricordo.
Riprovò a liberarsi, ma le cinghie parevano ancora più strette della volta precedente.
E di nuovo il dolore.
Pulsante, lancinante, feroce.
E Reid, di nuovo presente.
“Siamo ancora nella situazione di ieri.”

“NON ASCOLTARLO!”
Gridò Penelope.

Una luce lo colpì dolorosamente, dovette chiudere gli occhi.
Vedeva dei lampi, probabilmente continuava ad accendere e spegnere la torcia proprio di fronte a lui.
Che cosa crede di fare?
I lampi continuarono a lungo, e lui serrava sempre più forte gli occhi, mentre sentiva una lama penetrargli nelle carni, e tornava il dolore.
Cosa mia sta facendo? Basta… basta!
Poi di nuovo il buio, forse la pace.

“Reagisci Derek!”

No, quella non era la pace.
Quella voce fredda, perentoria, secca.
Quello era Hotch.
Il suo capo.
Il sergente di ferro come si era definito una volta.
Quello che non aveva esitato a dirgli che non avrebbe fatto il suo nome per una promozione se non avesse imparato a fidarsi maggiormente dei suoi colleghi.
Dio se lo aveva odiato.
Quanta voglia di rispondergli male, ma aveva ingoiato il suo orgoglio quel giorno.
Lo avrebbe tirato fuori più avanti, in quel momento decise di non reagire d’impulso e fece bene.
Passata la prima furibonda irritazione si ritrovò ad analizzare le ragioni di Hotch, continuava a non condividerle, ma sapeva che c’era un fondamento di verità in quello che gli aveva detto.
Anche se i modi lasciavano a desiderare.
Ma quello era Hotch, prendere o lasciare.

Che ci fai nel mio inconscio? Diamine, preferivo mia madre e le mie sorelle lo sai? Di gran lunga!

Un riso nervoso gli salì in gola.
Ed apostrofò a male parole l’allucinazione che aveva davanti a se.
“Senti, per venire qui a darmi il tormento senza nemmeno renderti utile è meglio se sparisci. Almeno Penelope mi fa sorridere. Intima a Reid di stare zitto, o ci prova, ma te: reagisci!
Ma va a fan brodo va… non lo vedi che sono legato? LE-GA-TO… chiaro il concetto? Sono in trappola!
Fammi un favore: evapora agente speciale supervisore Hotchner!”

E nel dirlo aveva serrato i pugni, e stretto la mascella.
Mentre lo faceva sentì una fitta e perse di nuovo conoscenza.
Ma ebbe la sensazione, un secondo prima di svenire, che le cinghie si fossero allentate.
Se Reid non se ne fosse accorto forse la volta seguente sarebbe riuscito a liberarsi.
La rabbia verso Hotch a qualcosa era servita.

Forse.

Secondo Capitolo



Forse era successo qualcosa, mentre era privo di conoscenza.
Quello era stato il pensiero di Derek quando aprendo gli occhi vide che era in un posto diverso, luminoso, caldo, accogliente.
Non aveva idea di quanto tempo fosse passato, ma dovevano averlo liberato, era la sola spiegazione logica.
Non sentiva più le cinghie, era steso su un morbido letto.
Il dolore alla testa lo obbligò a distogliere lo sguardo dalla luce che entrava dalla finestra alla sua destra, ma lo sforzo era superiore alle sue forze.
Si limitò a chiudere gli occhi, per riaprirli appena sentì un singhiozzo.
Sua madre era lì a fianco.

Appena lo vide muoversi la donna premette il pulsante di chiamata che era poggiato sul cuscino.
Piangeva, e gli carezzava il viso.
“Derek, va tutto bene, stai calmo, è finita!”
Cercò di risponderle, ma la voce non gli usciva.
Voleva capire cosa fosse avvenuto, come avessero fatto a trovarlo.
L’arrivo dell’infermiere e del dottore obbligò la donna ad allontanarsi dal capezzale del figlio.
Il medico gli pose delle domande, non ne capiva il senso.
Era agitato.
Voleva alzarsi, voleva capire, troppe cose gli stavano affollando la mente, era confuso.
Poi sbarrò gli occhi, fermo sulla porta vide Reid.
Voleva gridare.
“È stato lui!”

Ma rimase una voce del suo pensiero.
Il suo panico venne frainteso.
“Signor Morgan si calmi, presto riuscirà di nuovo a parlare normalmente, ora ci permetta di visitarla”.
La testa prese a pulsargli dolorosamente, Reid era calmo e tranquillo, Derek lo guardò fisso con astio.
Vide un’espressione di stupore sul volto del suo aguzzino.
Come se non si aspettasse quella sua reazione.
Cosa credeva, mi fossi scordato quello che ha fatto?

Reid si morse lievemente il labbro inferiore, nervoso ed impacciato.
Si ricorda ed è furioso.
Cosa mi aspettavo?Veramente credevo che avrebbe scordato ogni cosa?


Continua...

Edited by rabb-it - 16/12/2011, 01:02
 
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rabb-it
view post Posted on 13/7/2010, 14:30




Terzo capitolo



Cosa era successo?
Era la domanda che assillava Derek, se avevano trovato dove Reid lo teneva nascosto dovevano anche aver scoperto cosa gli aveva fatto, era impossibile che lo lasciassero libero di circolare.
A meno che non sia riuscito a farmi trovare senza far sapere che era grazie a lui che sto in queste condizioni, ma pensa veramente di cavarsela?
Da quando si era ripreso dalla sedazione , era stata fatta per calmarlo la sera prima, non aveva aperto gli occhi temeva che lo sedassero nuovamente, però il dolore era atroce.
Diverse volte era stato tentato di gridare, ma doveva aspettare.
Attendeva che a trovarlo passassero Hotch o Garcia a cui fare domande.
Loro avrebbero impedito al medico di sedarlo.
Appena avesse sentito le loro voci, e non quelle di sua madre e delle sue due sorelle, allora avrebbe aperto gli occhi.
Le sentiva parlare e la loro vicinanza era rasserenante, sapeva che non poteva accadergli niente di male.
“Ha dormito?”
“Tutta la notte, lo hanno sedato dopo che al risveglio era troppo agitato, dicono che sia normale con quello che ha passato, più tardi dovrebbe essere più calmo, poi con quelle bruciature la sedazione era il minimo.”
“Ti hanno spiegato cosa è successo?”
“No, so che erano in servizio, mi ha telefonato il suo capo e sono corsa in ospedale, Scusate se non vi ho avvisate subito, ma sono andata nel pallone quando ho sentito che era ferito gravemente.”
“Mamma non ti preoccupare, ci ha chiamato JJ quando ha capito che eri venuta da sola, l’importante è che lui stia bene, il resto non ha alcuna importanza.”
Lottava Derek, contro la voglia di dire loro che erano state la sua ancora di salvezza, che senza di loro non avrebbe resistito, temeva che come prima non gli uscissero le parole, che lo addormentassero di nuovo, non poteva permetterlo.
Poi quelle voci.

“Posso entrare?”
“Vieni, vieni dentro, credo che si stia per svegliare, il dottore ha detto che l’effetto sarebbe durato circa dodici ore e ne sono passate quasi tredici, penso proprio che a breve riaprirà gli occhi.”
“Che splendido suono quella parola, riaprirà gli occhi, voglio esserci, e dirgliene quattro per lo spavento che ci ha fatto prendere.”
“Concordo, sentirà le sue.”
“Le nostre vuoi dire.”
Gli scappò da ridere, aprì gli occhi e si trovo davanti Penelope, Rossi e JJ, dietro di loro in silenzio e serio come al solito Hotch, ma gli vide un accenno di sorriso quando i loro sguardi si incrociarono.
E gli sentì dire una sola parola: “Bentornato.”

Reid non c’era.
Lo sfiorò l’idea che fosse in carcere, ma poi gli venne in mente che lui non aveva ancora detto cosa aveva fatto, che fosse scappato?
Sillabò a fatica il nome dell’ex-amico: “R-e-i-d?”

Fu Penelope a rispondergli.
“Non è qui.
Ci ha detto cosa è successo, ora stai tranquillo.”

Derek sbarrò gli occhi per lo stupore.
Poi tentò ancora di parlare.
“T-u-tt-o?
“Sì ci ha raccontato ogni cosa, e capisco la tua rabbia ieri, ma adesso non pensarci, devi rimetterti e non serve che ti angusti, è stato un incidente.”
Alla parola incidente Derek si infuriò.
Ma le parole gli si accavallarono di nuovo nella mente, l’ansia stava riprendendo il sopravvento un’altra volta.
Incidente col cavolo!
“Calmati Derek, non risolvi niente agitandoti, a quello che è capitato penseremo poi, d’accordo?”

Era stato Rossi a parlare, notando l’agitazione crescente del collega.
Poi anche sua madre.
“Derek, se rimani calmo ti riprenderai prima, ascoltaci.”

Il tono supplichevole della madre ebbe effetto.
Qualsiasi cosa abbia detto Reid io ora non posso spiegarmi, devo calmarmi, devo.
E con la calma arrivò anche il raziocinio.
Indicò il gesto di scrivere, e gli vennero passate carta e penna.
Iniziò a scrivere, ma si rese conto che la sua mano non eseguiva quanto il suo cervello le ordinava, vedeva davanti a se degli scarabocchi scomposti.
Penelope gli tolse i fogli dalle mani, quando vide che stava diventando frenetico nel cercare di scrivere.
“Derek è una cosa passeggera, già non avevi una gran grafia prima, il coma ha lasciato il segno, abbi pazienza, vedrai che andrà meglio. Ti prego, guardami, andrà meglio.”
“C-o-…”
Non riuscì a terminare la parola.
“Sì Derek, sei rimasto in coma qualche giorno, ci hai fatto temere il peggio. Mi hai fatto invecchiare di dieci anni, minimo.”
L’ultima parola la donna l’aveva detta sorridendo all’indirizzo dell’amico, era in ansia all’idea che i danni cerebrali fossero peggio di quanto pronosticato dal medico, data la scarsa profondità del coma, non voleva che anche lui indugiasse sui suoi stessi pensieri.
“Ora devi riposare, domani andrà meglio!”

“Q-u-a-n-d-o?”

“Quando? Quando è successo? Pochi giorni fa, non temere non hai perso il superbowl!”
Fu la battuta di Rossi per stemperare l’atmosfera.
Non avrebbe voluto, non capiva ancora se aveva solo sognato quello che gli aveva fatto Reid o se era riuscito a farlo passare per un incidente, ma l’umorismo del collega ebbe la meglio e gli rispose con un sorriso tirato, o almeno lui credeva di avergli fatto un sorriso, gli era venuta una smorfia sgemba.
Come non aveva il controllo delle mani, aveva anche dei problemi ai muscoli facciali, ma il medico aveva detto che erano cose di lieve entità recuperabili con alcune sedute fisioterapiche, se l’umore reggeva.
Però non ne era consapevole e gli amici risposero al sorriso come se egli avesse fatto uno dei suoi soliti sorrisi, senza fargli capire quanto fossero sconvolti.

Continua...

Quarto capitolo



Sconvolti.
Non c’era un altro termine per definire come si sentiva la squadra dopo gli ultimi avvenimenti.
L’idea che Reid avesse mentito e che ci fosse dell’altro dietro a quanto era capitato a Derek li lasciò senza parole.
Si era capito dalla reazione scomposta di Derek che non era stato un semplice incidente, ma cosa mai poteva essere capitato?
Nessuno di loro era stato presente ai fatti, cosa poteva aver fatto infuriare così tanto Derek, e quando sarebbe stato in grado di spiegare loro l’accaduto?
Ognuno di loro stava vagliando delle ipotesi, ma erano meramente campate in aria senza sapere la versione di Derek.
Reid aveva detto quel mattino che non li avrebbe accompagnati all’ospedale, ritenendo che Derek fosse ancora furioso con lui per l’accaduto, e li invitò a non difenderlo dall’ira dell’amico – lasciate che si sfoghi – aveva detto.
Entrarono negli uffici di Quantico, aspettandosi di trovarlo dietro alla sua scrivania nell’open space, ma non c’era.
Non c’era nemmeno la sua fedele tracolla marrone.
Non c’era niente di suo nell’open space.
Il suo spazio alla scrivania era svuotato, ripulito.

Hotchner lo chiamò immediatamente al cellulare per delle spiegazioni, ma ricevette l’atono messaggio di cellulare spento o non raggiungibile.
Ordinò, anzi, intimò a Penelope di scovarlo.
“Qualsiasi cosa sia successa va chiarita, non può comportarsi in questo modo!”

Penelope si infilò rapidamente nel suo ufficio pieno di schermi e di tastiere ed iniziò la ricerca del genietto di Quantico.
Non è assolutamente da Reid un comportamento del genere, cosa gli sta succedendo? Derek è il suo migliore amico!

Rossi osservò la donna al lavoro per qualche istante, ricordava bene cosa le aveva detto una volta, aveva appena rintracciato un sospetto, e collegato i complici solo grazie alle sue ricerche e gli era uscito spontaneo un “Spero di non dovermi mai nascondere da te!”
Ecco Reid si è ficcato in un bel guaio se non ha pensato alle conseguenze del suo gesto.
Andarsene senza spiegazioni.
Giovane, sarà meglio che tu abbia una buona spiegazione, l’umore del supervisore è… da graticola!

JJ andò nel suo ufficio, rimase qualche istante assorta davanti alla fotografia del figlioletto, proprio la sera prima poco prima di andarsene a casa Reid, anzi Spence, si era fermato un po’ a parlare, rimirando proprio quella fotografia.
Il ricordo si fece strada prepotente.
Spencer teneva un gomito posato sulla scrivania e con una mano si tormentava i capelli, con la mano libera girellava la fotografia di Henry sovrappensiero.
“Stanco? Dai Derek si è ripreso, vedrai andrà tutto bene.”
“Non lo so, sai era uno sguardo pieno di odio quello che mi ha lanciato, ricorda bene cosa ho fatto, è solo colpa mia se è in quel letto.”
“Vedrai che domani sarà più calmo, oggi si era appena svegliato, dagli tempo.”
“Meglio che andiate solo voi domani, così non si agiterà inutilmente vedendomi.”
“Spence…”
“Dammi retta, andrò a trovarlo quando starà meglio, e potrà farmela pagare.”
“Non fare così, non lo hai fatto apposta, gli incidenti succedono.”
“Non lo so, forse volevo davvero fargli male!”
“Spencer Reid, non dirlo nemmeno per scherzo.”
“Sai…”
“Cosa?”
“Niente, vai a casa da Henry, da un abbraccio al mio figlioccio da parte mia.”
“Potresti anche venirlo a trovare, stasera mi sa che non è il caso che resti da solo, sei troppo giù.”
“No, sto bene, davvero, ora mi passa. Devo solo riposare un po’. A domani.”

E invece era sparito.
A che domani ti stavi riferendo, Spence?

Emily si mise seduta alla sua scrivania, osservava quello spazio vuoto con mille domande che le ronzavano nella testa.
Erano andati da soli a controllare la casa del sospettato.
Avevano comunicato la loro posizione.
Poi i contatti persi fino alla chiamata di Reid dall’ospedale.
Angosciato, continuava a ripetere che era solo colpa sua.
Ma colpa sua di cosa, gli incidenti accadono… o non era stato un incidente.
Perché ora è sparito, sembra una fuga, cosa è successo in quella casa?
Reid dove sei?

Nessuna risposta dal cursore che continuava a lampeggiare sullo schermo del suo pc.

Un cursore simile lo stava osservando Hotchner, era arrivato in fondo alla mail che Reid gli aveva inviato prima di sparire.
Non credeva ai suoi occhi.
Non poteva aver scritto Reid quelle righe.
Non il Reid che conosceva da oltre sei anni, da quando facevano squadra con Gideon.
Ricordava bene il ragazzino, anche se aveva già 24 anni era difficile non prenderlo per tale, che si domandava un po’ seccato perché Gideon lo chiamava sempre dottor Reid quando lo presentava e non agente, e lui che gli aveva spiegato che voleva che la gente lo prendesse sul serio e non per un ragazzino imberbe.
Non poteva essere stato lui a scrivere quelle frasi, alcune totalmente prive di senso.
O forse il senso lo avevano, mancava giusto la versione di Derek e il puzzle sarebbe stato completo.

La sola idea di dove portava quel puzzle sembrava una pazzia.

Continua...


Quinto capitolo



Pazzia… era quindi arrivata?
Il tanto temuto spauracchio della genetica, quella malattia materna da cui sperava di scampare, al diavolo il calcolo statistico.
Non aveva altra spiegazione per quello che era successo.
Aveva ferito un amico.
Doveva venire a patti con quello che aveva fatto, ma come poteva farcela quando lui per primo non se ne capacitava.
Quando quella mattina aveva visto Hotch e Rossi li aveva spediti da Derek, gli altri non erano nemmeno saliti in ufficio, e mentre loro erano fuori aveva scritto quelle febbrili veloci righe ad Hotchner.
Non sapeva nemmeno se andavano bene come dimissioni, non era stato molto professionale, aveva scritto quello che sentiva esplodergli dentro, il senso di colpa lo stava distruggendo.
E c’era solo un posto dove poteva andare.
Un rifugio per un po’, solo un poco, sapeva bene che lo avrebbero trovato in fretta, ma aveva una mattinata di vantaggio, qualche ora di pace.
Ma era pace quella?
Non ci sta peggior giudice della nostra coscienza era stato scritto, mai cosa fu più vera, non c’erano posti dove nascondersi da se stessi.
E lui lo sapeva meglio di molti altri.
La sera prima tornato in ufficio, dopo quell’occhiata raggelante da parte di Derek, avrebbe voluto confidarsi con JJ, lei avrebbe capito.
Quasi sicuramente.
O almeno lo avrebbe rassicurato, già… per quello aveva taciuto.
Non voleva sentirsi dire che non era colpa sua, che era stato un momento di follia, che potevano aiutarlo.
No, non poteva confidarsi con JJ, ne con gli altri.
Aveva faticato persino a mettere giù l’accaduto davanti al monitor, senza nessuno che gli badava, non avrebbe mai potuto affrontarli a viso.
Cosa avrebbe fatto quando lo avrebbero costretto a farlo non lo sapeva, non ancora.
Voleva solo ritardare il momento, posticipare l’inevitabile confronto.
Non riusciva a pensare lucidamente, l’unico sprazzo di lucidità in quelle ore era consistito nello spegnere il cellulare, ben sapendo che trovandolo acceso Garcia lo avrebbe rintracciato appena glielo avessero chiesto, e pagare il biglietto in contanti, per non lasciare tracce con la carta di credito.
L’unica traccia che poteva aver lasciato era il prelievo fatto poche ore prima, ma l’aveva fatto vicino agli uffici, ed ora ne era ben lontano.
Appoggiò la testa indietro, facendo un profondo respiro.
In quel momento uno scoppio ed uno scossone, il pullman su cui era seduto si inclinò pericolosamente di lato, avevano forato ed erano finiti nel fossato al lato della strada e le zolle erbose stavano andando troppo velocemente nella direzione del suo finestrino.
O perlomeno quella era la sua percezione, anche se sapeva bene che stava avvenendo l’opposto, era il finestrino che stava per schiantarsi sul terreno.

Finirà dunque tutto così?
In un incidente su un pullman diretto a Las Vegas?


Continua...



Sesto capitolo


Las Vegas.
Gli era venuto in mente di colpo, Reid non poteva che andare da sua madre, a cercare quel conforto di cui aveva bisogno in quel momento.
Solo lei poteva aiutarlo a rimettere ordine nella babele di pensieri che si accavallavano nella mente del giovane.
Dopo che era stata accusata di complicità nell’occultamento di un omicidio su cui avevano indagato tempo prima, era stata ricoverata nella casa di cura dove era ospite da anni, incarcerarla era fuori questione, lei non aveva fatto niente di male, testimone incolpevole della vendetta di un padre, e madre angosciata che potesse accadere la stessa cosa al figlio.
Il crollo sarebbe arrivato negli anni, privando di fatto Reid dell’infanzia, anche grazie alla collaborazione o per meglio dire all’assenza del padre, che abbandonò moglie e figlio per non saper reggere al segreto che custodiva con la moglie.
Ed il piccolo Spencer pagò il prezzo della debolezza del padre, se il detto le colpe dei padri ricadono sui figli ha un senso, nella famiglia Reid era questo.
Non dovevano cercarlo, sapevano già dove si era diretto, lo disse al resto della squadra, Penelope disse che il suo nome non appariva in nessun volo diretto là.
Stava proprio scappando da loro, non aveva preso l’aereo per lasciare meno tracce possibile, ma come poteva pensare che non avrebbero capito.
Dette voce al suo pensiero.
Ed ebbe la risposta che sperava di non sentire.
“Vuole che lo troviamo, non sta scappando da noi, ma da se stesso.”
“Lo so, è questo che mi spaventa, più di quello che forse è successo a Derek.”
“Ma cosa è successo? Alla fine sappiamo solo che hanno catturato il soggetto ignoto, ormai ben poco ignoto. Che Derek è rimasto ferito, cosa sconvolge tanto Reid?”
Hotch prese un foglio e lo passò a chi stava alla sua destra, che terminato di leggere lo dava al collega a fianco.
Era lo stampato della mail di Reid.
Vide lo stupore sui volti dei colleghi, si domandò se anche lui alla prima lettura non avesse trattenuto lo sconcerto per quelle righe.
No, non lo aveva fatto, ma non c’erano stati testimoni.

La prima a riprendersi fu JJ.
“Ma siamo sicuri che lo ha scritto Reid, voglio dire…”
“Non sembra proprio farina del suo sacco, è un delirio!”
“Non ci credo, non può averlo fatto.”
“Io invece temo di sì. Ha semplicemente avuto un crollo nervoso, sappiamo quante poche ore di sonno aveva accumulato in questi mesi, sappiamo quanto è stato sotto pressione, solo non vi abbiamo dato peso, perché lui è Reid.”
“Semplicemente? Ti sembra una cosa semplice questa…è una follia.”
“La follia lo spaventava a morte, per via della madre…”


L’ultima frase era stata di Garcia, che ancora ricordava come una volta il genietto di Quantico, come lei lo chiamava, le avesse confidato che c’era una componente genetica nella schizofrenia. Vi aveva letto tutta l’angoscia di un figlio che spera che le statistiche negative non lo riguardassero.
Quelle righe scomposte mettevano veramente paura.
Ma continuava a ripetersi che non dormiva che poche ore da almeno una settimana, da quando Derek era stato ricoverato, e forse aveva solo bisogno di riposare per trovare lucidità.
Non poteva e non voleva credere che fosse impazzito.
Nessuno di loro era disposto ad arrendersi, non volevano perderlo.

Il foglio stava al centro del tavolo, a debita distanza da ognuno di loro, come se cercassero di non vederlo, ma le parole scritte la sopra martellavano nella loro mente una dopo l’altra.

Colpa era la più ricorrente.

“Cosa farai?”
Era stato Rossi a parlare, dopo alcuni minuti di totoale silenzio, rivolto ad Hotchner.
“Per prima cosa voglio vederci chiaro, questa è una cosa che resta all’interno della squadra fino a che non sapremo i dettagli, da entrambi, di cosa è accaduto.
Dobbiamo andare da Reid, prima che si cacci in guai peggiori nelle condizioni di stress in cui evidentemente si trova.”
“Meglio levarla di torno allora.”
Disse l’agente anziano ficcando quel foglio malefico nel tritadocumenti, tra gli sguardi di approvazione di tutti i presenti.
“Sì, per ora è meglio così. Andiamo a Las Vegas, purtroppo dovremmo usare i mezzi tradizionali, non credo di poter spiegare l’utilizzo del jet senza un caso in corso in quella zona.”
“E il fiato della Strauss sul collo è l’ultima cosa che ci serve.”
“A lei penso io.”
Disse JJ battagliera.
Hotch abbozzò un sorriso stanco e tirato.
“Il problema verrà dopo, quello che scopriremo potrebbe non piacerci, dobbiamo esserne preparati.”
“Mi rifiuto di crederci fino a che non saranno tutti e due davanti a me a dirmi cosa è capitato!”
Replicò l’altrettanto combattiva Penelope.
“Concordo, mi rifiuto di pensare il peggio di Reid, nonostante quello che ha scritto lui stesso, evidentemente non era in se quando ha scritto quella mail.”
Emily non era stata da meno.

Rossi si volse verso Hotch e con un occhiata gli fece intendere che davanti a tre donne così decise non aveva nessuna intenzione di continuare ad insistere sul fatto che Reid poteva aver sbroccato, ci teneva alla pelle lui.
“Probabilmente hanno ragione.”
Hotch ricambiò lo sguardo.
“Me lo auguro.”




Dai rottami dell’autobus chi non era ferito avevano aiutato gli altri ad uscire dalle lamiere.
Per fortuna non si era incendiato, e non c’erano state vittime, solo feriti lievi.
Uno dei contusi era Reid.
Era seduto insieme agli altri a bordo della strada quando un paramedico lo fece accomodare su di una barella e poi su un ambulanza.
In stato confusionale non si accorse nemmeno che la sua tracolla era rimasta sul pullman, con i documenti, la pistola l’aveva lasciata a Quantico.
Perse conoscenza mentre lo portavano all’ospedale, e per la prima volta da quasi una settimana il suo cervello conobbe un po’ d riposo, forzato.

Continua...

Settimo capitolo



Forzato, si sentiva come un condannato ai lavoro forzati.
Quella era la sensazione mentre faceva fisioterapia.
Era passato il logopedista per aiutarlo a capire come mai non riusciva a parlare, gli aveva detto che con degli esercizi avrebbe ripreso normalmente a dialogare con il prossimo, ma non doveva avere fretta, come per le mani, il loro controllo pareva ancora sfuggirgli.
D’accordo era passato un solo giorno da quando aveva iniziato gli esercizi, ma lui con la pazienza e la calma aveva un contenzioso aperto e poi non se la poteva prendere calma.
Non capiva quello che stava succedendo.
Ora forse un minimo di libertà da quella prigione in cui il suo cervello lo aveva rinchiuso.
Garcia gli aveva portato il portatile, se fosse riuscito a farsi obbedire almeno un minimo dalle dita, avrebbe digitato quello che sentiva l’impellenza di chiedere e dire.
Ma le dita collaboravano a fatica, e persino le lettere sulla tastiera parevano sgorbi sconosciuti delle volte.
Tutto ciò era snervante.
La sua mente recepiva tutto, analizzava le stranezze che vedeva, i sorrisi tirati di Penelope e l’assenza degli altri, la sua voce che si abbassava al telefono, allontanandosi per non farlo sentire.
Era tentato di scagliare a terra il portatile, per avere la sua attenzione, ma il cervello gli funzionava ancora abbastanza per fargli intendere che se le disintegrava il portatile la prossima cosa ad essere polverizzata sarebbe stato lui.
Meglio trattenersi.
E digitare faticosamente una dopo l’altra le lettere.

xcosa sai, io mon do più cosa ticotdo e cosaa ho innaginato menyre ero in xoma, eid perché se ne è andato con aria colpevole, cosa è succesfdo?

Due sole righe e stava sudando.
Le mani gli tremavano per lo sforzo.
Era terrorizzato all’idea che quello fosse il suo futuro, dicevano di no, che era un blocco temporaneo, ma non sapeva se poteva crederci o se volevano solo che si aggrappasse alla speranza di non essere rimasto invalido permanentemente.
Spinse via il carrellino dove era posato il portatile, stando però attento a non esagerare.
Si afferrò le mani stringendo forte le dita incrociandole.
Ecco quello riusciva a farlo.
Per il resto si sentiva totalmente impotente.

Penelope, era uscita un secondo per non stargli addosso immaginando che lo snervasse sentirsi osservato, entrò nella stanza mentre stava strizzandosi le dita con rabbia,
“Derek, no! Ti prego, ti farai male.”
Corse a separare quel groviglio di dita, lo vide piangere ed ingoio le sue di lacrime, non se le poteva permettere, doveva essere forte per il suo amico, aveva bisogno di lei.
Gli terse la fronte dal sudore e passo anche ad asciugargli il resto del volto, senza aggiungere una parola, buttò uno sguardo al video e tradotta la richiesta tra gli errori di digitazione, prese a raccontargli cosa sapeva.

“L’ultimo caso che ricordi con precisione?”
Fece l’elenco dei loro ultimi casi i dettagli salienti, quando ricordava ancora bene faceva un segno affermativo, ma l’ultimo era nebbia totale.
Prese a spiegargli.

Avevano dovuto dividere la squadra, c’erano due piste probabili, e forse anche un complice.
Lei coadiuvava la squadra da Quantico, Hotchner era con Prentiss a verificare la prima pista, JJ era con Rossi a controllare quella che dava più noia dal punto di vista dei media, che ignoravano del complice, quello di cui si stavano occupando lui e Reid.
Ad un certo punto avevano perso i collegamenti, c’era stato un black out dei ripetitori a Washington, e lei aveva dovuto aspettare che trovassero modo di mettersi in contatto per vie tradizionali, i cari vecchi telefoni a filo.
Poche ore, ma per molti fu il caos, per fortuna anche per il soggetto ignoto e il suo complice, che finirono nella rete , catturati proprio da Derek e Reid, ma quando fu tutto finito e tornarono i contatti loro due erano introvabili, almeno per mezza giornata, poi rintracciarono Reid, era in ospedale ci aveva portato Derek.
Non sapevano cosa fosse accaduto, ma lui era gravemente ferito alla testa, aveva un piede rotto e svariate ustioni di media entità alle gambe.
Reid continuava a ripetere che era stata tutta colpa sua.
E non avrebbe mai mollato il suo capezzale, continuando a supplicarlo di mettersi a prenderlo in giro.

“Fine del riassunto, ti ricorda qualcosa?”

Un cenno di diniego fu la sola risposta.
Lui ricordava giorni e giorni di torture, ma se era rimasto in coma una settimana forse la cosa si spiegava.
Specialmente se Reid gli dava il tormento per farlo svegliare.
Era stato un sogno, era successo un incidente, di cui Reid si addossava la colpa, Dio sapeva perché.
Era stato un incidente, tutto si spiegava.
Reid non lo aveva torturato.

Il sollievo era tale che non si domandò la ragione di quell’esagerato senso di colpa, non gli interessava, era troppo contento che i suoi ricordi fossero solo incubi.
Penelope notò il cambiamento nell’espressione di Derek, forse non ricordava, ma di certo non era più furibondo con Reid, qualsiasi cosa avesse fatto non doveva essere grave.

Le cose si sarebbero aggiustate.

Continua...

Ottavo capitolo



“Aggiustate, può stare tranquillo sono tutte integre le sue ossa.”
Con quella frase un medico del pronto soccorso dei sobborghi di LasVegas lo aveva dimesso.
Sperava che la sua conoscenza medica fosse migliore di quella della lingua, ma si sentiva quasi bene, quindi era ottimista sulla diagnosi, sperando gli avessero fatto delle lastre mentre dormiva e non si fossero affidati alla mera osservazione.
Aveva dormito come un sasso tutta la notte, e nessuno lo aveva disturbato.
Una volta sveglio l’amara sorpresa, niente documenti, niente soldi, niente cellulare.
Poco male, si disse che avrebbe solo dovuto trovare un telefono e chiamare…
…i fatti degli ultimi due giorni gli piombarono addosso mentre accendeva il cervello, al secondo caffè offerto da una delle infermiere presenti in pronto soccorso, aveva staccato dal turno e si era intenerita a vedere quel giovane un po’ trasandato con l’aria di non sapere dove stava e come ci era finito.
Chi posso chiamare? Ho rotto i ponti con tutti.
Sono solo.

Per la prima volta da una settimana vedeva con nitidezza cosa aveva combinato la settimana precedente.
Come se stesse osservando tutto dall’alto, uno dopo l’altro gli avvenimenti che lo avevano portato a quel punto si dipanarono davanti a lui.
Mentre in tutta la settimana, con la preoccupazione per la vita di Derek aveva guardato solo il presente, atterrito dal futuro, ora dava uno sguardo al passato.
Era ad un passo dalla dissociazione, ma stavolta a differenza del giorno prima non ne era spaventato, aveva capito che si era fatto travolgere e non aveva ragionato lucidamente, non stava impazzendo era solo troppo stanco.
Troppo concentrato sul qui ed ora per capire il prima e il poi.

Prima.

Lui e Derek avevano appena consegnato ai poliziotti di Albuquerque i due pericolosi serial killer che avevano inseguito per tre stati, i contatti con Garcia non erano ancora stati ripristinati, ma avevano sentito David ed erano d’accordo che ognuno sarebbe rientrato con i suoi mezzi, riunione il mattino seguente a Quantico per stendere i rapporti, Hotchner per una volta aveva concesso mezza giornata di pausa, più per le distanze reciproche che per reale desiderio.
Derek lo aveva convinto a starsene a zonzo per una sera, avrebbero preso il volo all’alba e sarebbero stati a Washington in tempo per fare rapporto.
Era indeciso, ma l’amico aveva fatto un paio di battute sul fatto che non si godeva la vita e non gliela voleva dare vinta.
Maledizione, avessi dato retta al mio lato petulante e preciso tutto questo non sarebbe accaduto.
Promemoria, non dare mai più retta a Derek… se me ne darà l’occasione.

Ovviamente per prendersi pausa dovevano essere irreperibili, e visto che il capo ha detto pausa non ci sta niente di male a spegnere i telefoni.
E così andarono a zonzo in quel del Nuovo Messico, niente follie particolari, mezza giornata libera passata a non pensare.
Almeno per Derek, lui continuava a stressarsi ed a stressare con quello che forse potevano fare se rientravano prima.
Ad un certo punto Derek non potendone più lo aveva preso a male parole, niente di che lo prendeva spesso in giro per il suo carattere strano.
Ma qualcosa gli fece saltare i nervi.
Un riferimento involontario a disturbi mentali, che a Morgan non sarebbe mai uscito se avesse pensato a cosa stava dicendo, ma era parecchio su di giri e a volte le parole escono prima che si abbia il tempo di pensarle, specie se si ha bevuto, e Reid si tramutò in una furia.
Una furia che contro un colosso della stazza di Derek Morgan avrebbe avuto l’effetto di una tempesta in un bicchiere d’acqua, un po’ d’acqua sul piano d’appoggio si asciuga e via.

Ma gli imprevisti a volte ci mettono lo zampino e proprio nel momento in cui Reid lo colpiva, Derek stava spostando il peso da un piede all’altro, già malfermo per la sbronza che si era preso, venne colto di sorpresa dalla reazione scomposta di Reid, erano nei pressi di una scalinata, Spencer senza rendersi pienamente conto di quello che stava accadendo vide l’amico rovinare giù.
Sì sentì nitidamente il crak di un osso spezzato, forse più di uno.
In fondo alla scalinata c’era uno di quei baracchini di hot dog, il baracchino rovescio addosso alle gambe di Derek parte del contenuto.
Quello che si sarebbe dovuto risolvere con una risata da parte di Derek mentre respingeva il colpo di Reid, a cui era scemata di botto tutta la furia, stava diventando una tragedia, mentre il sangue formava una pozza a lato della testa di Derek.

Ricordava di aver gridato, chiamato i soccorsi, tamponato la ferita alla testa, preso dell’acqua per spegnere le ustioni.
Al pronto soccorso, richiesto anzi ordinato, le lezioni involontarie di Hotch erano state apprese per semplice osmosi, che gli fossero fatte TAC e elettroencefalogrammi.
Poi i contatti con gli altri, lui che non riusciva a spiegare coerentemente l’accaduto, loro che sapevano solo che c'era stato un incidente, e lui che non ce la faceva a spiegare che dalla scalinata ce lo aveva spinto lui e non era caduto da solo per la sbronza.

I giorni passati al suo capezzale, accorgersi di quando l’antidolorifico smetteva di fare effetto e ordinare che gliene dessero ancora, pretendere di essere presente ad uno degli elettroencefalogrammi per vedere le reazioni nervose quando gli parlava.
Lo scoramento all’idea che poteva non svegliarsi mai più.
Penelope che lo sgridava di farsi sentire da Derek a dire certe cose, Hotch che gli ordina di reagire e Derek che dopo una settimana in cui rispondeva solo agli stimoli dolorosi, facendo presagire il peggio, reagisce, serrà i pugni, stringe la mascella e non è una questione nervosa, è una reazione alle parole di Hotch.
Il risveglio, l’afasia e quello sguardo.
Di odio.

Lo avrebbe affrontato, ora era lucido, aveva riposato.
Era stato un incidente.
Un maledetto, stupido incidente.
Davide aveva atterrato Golia, ma senza volerlo.
Ed ora forse lo avrebbe aiutato a rialzarsi.
Se glielo avesse permesso.

Continua...


Nono capitolo



Permesso?
Domandò JJ, aprendo la porta dopo aver bussato alla stanza di Diane Reid; la donna era seduta sulla poltroncina davanti alla finestra, un immancabile libro in mano, alzò la testa ed osservo confusa la persona davanti a lei, domandandosi dove l’aveva già vista quella biondina simpatica che le sorrideva senza entrare nella stanza.
“Entri pure”
Poi vide la donna mora alle sue spalle, e ricordò, erano colleghi di suo figlio.
Si alzò in piedi.
“Voi lavorate con il mio Spencer, gli è forse successo qualcosa?”
Domandò la donna, ora non solo confusa, ma anche un po’ spaventata.
JJ le si fece incontro rassicurante.
“No, non gli è successo niente.”
“Lei è una pessima bugiarda lo sa? Cosa è capitato?”
Emily e JJ si scambiarono un’occhiata, meglio dirle la verità, o almeno una sua parte.

Iniziò Emily.
“Si è assentato senza permesso dal lavoro. Speravamo fosse qui.”
“Le dispiace se lo stiamo ad aspettare un poco? Vorremmo evitargli guai con il nostro superiore.”
“Ma lui sta bene?”
“Sì, ha solo voluto staccare un poco la spina, e davamo per scontato che si sia diretto da lei.”
“E siete preoccupati, perché non è da lui andarsene senza dire niente.”
Riprese JJ.
“Esattamente, ma risolveremo tutto, vedrà.”
“Spencer è fortunato ad aver dei così buoni colleghi.”
“Siamo noi quelli fortunati ad averlo come collega ed amico.”

Diane si rimise seduta, riprese in mano il libro che aveva poggiato sul bracciolo della poltrona e tornò a leggere.
Come se avesse bisogno di estraniarsi dalla realtà che la circondava.
Forse erano i farmaci, forse la malattia, ma JJ ed Emily avevano la netta sensazione che di lì a poco avrebbe anche potuto ritornare a domandare a loro cosa ci facevano nella sua stanza.
Dimentica di quanto appena avvenuto.
Si misero sedute ad aspettare.
Con in testa un solo pensiero, che la parola che avrebbero usato per Spencer non sarebbe mai stata fortunato.


Fortunato?
Doveva sentirsi fortunato.
Quello che gli avevano appena detto i medici mandava Derek su tutte le furie, ma sapeva che gli stavano solo dicendo la verità.
L’ennesima visita.
L’ennesimo parere.
“È stato fortunato giovanotto!”

Una gran voglia di dirgli che era un uomo fatto da un pezzo, e che giovanotto proprio non gli si addiceva.
Una gran rabbia di non farcela ancora a superare l’afasia.
Sapeva che per pochi millimetri la sua lesione poteva essere irreversibile, ma gliela stavano ripetendo troppe volte quella parola. Ormai la odiava.
Un'altra volta e sarebbe sbottato, anche se non sapeva bene come.
Pareva però che i medici ne avessero avuto a sufficienza per quel giorno, erano salvi.
Fuori loro dentro Penelope.
“Ho sentito gli altri, Reid non è dalla madre, tu non hai idea di dove potrebbe essere?”
Gli aveva spiegato che se ne era andato, senza dirgli della lettera, e che erano andati a cercarlo.
Derek cercò di pensare dove poteva essersi diretto Reid, ma anche a lui veniva in mente solo la madre.
“P-o-l…”
Lo sconforto.
“Sì, Rossi ed Hotch si stanno dirigendo dalla polizia, io devo controllare se ci sono stati incidenti.”
Una fitta colse Derek, forse lo scuotere la testa non era stata una buona idea, Penelope se ne accorse e lo aiutò a stendersi.
Le rivolse uno sguardo colmo di gratitudine, e lei gli sorrise… e fu così che li sorprese Kevin.

“Permesso?”
“Ciao Kevin, non mi avevi avvisato che saresti venuto.”
“Non sapevo di doverlo fare. Scusa.”
“Kevin… non ora… ti prego.”
Derek osservò lo scambio in silenzio.
Sapeva che Kevin era geloso della sua amicizia con Garcia, gelosia insensata, ma comprensibile.
I doppi sensi che si scambiavano continuamente lui e la donna avrebbero messo a dura prova chiunque, e mesi prima avevano anche condiviso una stanza anche se lui aveva dormito sul pavimento.
Ma da quel momento era diventato molto vigile nei suoi confronti.
Per un attimo non era più nella stanza con i due che si scambiavano occhiate ansiose, si rivide in Alaska mentre consolava Penelope di quello che aveva dovuto sopportare in quei giorni, vedersi morire una persona davanti, senza il filtro che di solito le forniva stare dietro agli schermi.
Forse la gelosia di Kevin non era per niente insensata, da fuori il rapporto tra lui e Penelope poteva benissimo dare da pensare.
Tornò a presente e ricambiò il saluto dell’uomo.
Che dopo i normali convenevoli di una visita in ospedale fece capire alla sua donna che le voleva parlare un attimo da solo.
Uscirono dalla stanza.

“Ho fatto la ricerca che hai chiesto, un incidente vicino Las Vegas, la polizia ha i suoi effetti personali.”

Continua...

Decimo capitolo



“Effetti personali? Va bene, ho capito.”
Hotch riagganciò e voltandosi verso il collega spiegò quello che Garcia gli aveva appena comunicato.
“Ha detto che nella stazione di polizia dove ci stiamo dirigendo hanno registrato la presenza di alcune cose di proprietà del dottor Spencer Reid, in seguito ad un incidente in cui è stato coinvolto un autobus.”
“E gli ospedali?”
“Ha verificato, non risulta ricoverato da nessuna parte, forse perché privo di documenti.”
“Dannazione!”
Non servivano altre parole per spiegarsi a vicenda la frustrazione all’idea che gli fosse capitato qualcosa, non bastava Derek in ospedale. Ora forse anche Reid.
Arrivarono alla centrale di polizia e fu con somma sorpresa che videro Spencer scendere da un automobile.
Non li aveva visti, stava ringraziando l’infermiera che lo aveva accompagnato fino a lì a riprendersi la tracolla.
“Sei stata molto gentile, se aspetti un attimo posso almeno pagarti i caffè che mi hai pagato prima.”
“Non è necessario, eri in difficoltà, e mi hai fatto pensare a mio marito. Ti somiglia sai, lui ora è via in missione e vorrei che se ha bisogno ci fosse qualcuno ad aiutarlo, riguardati e salutami Washington D.C., siamo stati stanziati lì per anni prima di venire ad ovest.”
“Grazie ancora, e buona fortuna.”
La donna gli sorrise, ricambiando l’augurio, e se ne andò.
Avrebbe preso un autobus per raggiungere sua madre, o noleggiato un auto, per prima cosa doveva farsi ridare le sue cose.
Si voltò nella direzione dell’ingresso e… a momenti andò a sbattere contro Hotch fermo esattamente dietro di lui.
Rossi era un paio di passi indietro.
“…Hotch… io…”

“Tu… ci devi un paio di spiegazioni, ma prima… come stai?”
Chiese l’agente notando ecchimosi e tagli sul volto del giovane.
“Non è nulla, il pullman su cui stavo si è rovesciato e… non mi ricordo con esattezza mi sono svegliato in ospedale questa mattina. Hai letto la mail?”
“Quale mail?”
Gli disse Hotch con un aria fintamente stupita.
Rossi non batté ciglio, mentre Hotch proseguiva.
“Ah dici la bozza del rapporto sui fatti della settimana scorsa che mi hai inviato per sbaglio prima di correggerla?”
“Ecco… io… una volta mi hai detto che se avessi messo in pericolo la squadra mi avresti licenziato. E io ho messo Derek in pericolo, lo ho quasi ucciso!”
“Quella volta mi riferivo ben ad altro, e spero che non sia questo il caso. Eravate in azione tu e Derek quando lo hai messo in pericolo?”
“No, ma lo ho spinto io dalle scale da cui è caduto, Hotch!”
“Volevi ucciderlo?”
“NO! È stato un dannato incidente, non mi ero accorto del pericolo della scalinata e gli ho dato uno spintone, io…”

Reid si fermò, notando come Rossi stesse sogghignando, dopo che Hotch aveva posto quella domanda assurda, poi guardò meglio il suo superiore e vide che pure lui tratteneva a stento un sorriso.
“Tu… mi stai prendendo in giro!”
“Solo un po’. Le spiegazioni ce le dovrai dare sul serio, ma sul fatto che con Derek fosse capitata una tragica fatalità in cui eri più coinvolto di quanto avessi ammesso con noi, mi era già venuto in mente, anche per una cosa che mi ha detto JJ mentre stavamo venendo qui. Andiamo a prendere le tue cose.”

I due uomini si voltarono e presero a salire i tre gradini che portavano alla porta, Reid rimase un istante ad osservarli, erano corsi lì a cercarlo.
I suoi amici.
Si guardò un attimo in giro, come stupito che ci fossero solo loro due.
Hotch e Rossi si accorsero di non averlo alle spalle.
Lo guardarono osservare in giro.
“Sono da tua madre, quando ci hanno detto che non eri da lei, noi ci siamo diretti qui. Con l’aiuto di Garcia.”
Disse Rossi.
“Da mia madre…”
“…sai com’è dovevano salvarti dalle ire del tuo superiore.”
Terminò Hotch, ridendo apertamente.

Reid non sapeva se era più sconvolto all’idea che sua madre ora si stava sicuramente preoccupando per lui, o se a sconvolgerlo fosse il fatto che in poco più di un paio di minuti aveva assistito a ben due momenti di umorismo targati Hotchner.
E Rossi sembrava stupito quanto il giovane.
Una volta passi, ma due nello stesso giorno sono da annotare sul calendario.
Istintivamente ad entrambi venne in mente di domandare al capo se stava bene, ma se lo tennero per se. Va bene che era di buonumore una volta appurato che Reid stava bene, però meglio non approfittarne.

Reid raggiunse gli uomini in cima alle scale ed entrarono nella centrale, dove riprese possesso della sua tracolla.
Poco dopo uscirono e si diressero verso la macchina che avevano preso a noleggio quel mattino, non era uno dei loro comodi suv neri, quelli erano forniti quanto erano in servizio, ora erano decisamente fuori servizio, e si erano arrangiati con gli autonoleggi.
Reid osservò per qualche istante la vettura grigia davanti a lui.
“Vi ho messi nei casini con il vicedirettore?”
“No, per quello che ne sa lei stiamo tutti a casa per qualche giorno in pausa, dopo l’incidente di Derek è la prima volta che gliene abbiamo chiesto il permesso, non ha fiatato.”
“Strano.”
“Diciamo che un nostro comune amico vi ha messo una buona parola.”
“Dice chi penso io?”
Domandò Reid voltandosi verso Rossi.
“Non saprei, preferisco non sapere i dettagli dei loschi maneggi del nostro capo.”
Rossi si riferiva al loro collega, una specie di leggenda dell’Effebiai, a cui Hotch aveva dato una mano, e che era in ottimi rapporti con la Strauss, a differenza loro.
Il capo in questione scosse piano la testa, evitando di rispondere ad entrambi.
E la tenne bassa, per non far vedere che stava di nuovo ridendo.
Si era sentito teso per tutta la giornata, e nel momento in cui si era trovato Reid malconcio, ed aveva capito che stava meglio, aveva sentito la tensione sciogliersi.
Poi sarebbero arrivati i problemi, con le spiegazioni e i chiarimenti, ma ora si godeva l’attimo di pace.

Continua...

Undicesimo capitolo



Pace.
Era la parola conclusiva del libro che stava leggendo.
Ora avrebbe dovuto metterlo via, ed affrontare di nuovo quelle donne.
L’ansia di quello che poteva essere capitato a Spencer non le aveva dato tregua un solo istante, ma il libro le aveva evitato conversazioni imbarazzanti. I libri erano il suo filtro sul mondo.
Almeno quando non c’era in ballo la vita di suo figlio.
Lei sapeva bene di essere la madre schizofrenica di un agente dell’efbiai, sapeva quanto il lavoro importasse per suo figlio.
Era stato il più giovane agente assunto all’agenzia, era stato il più giovane in un sacco di cose il suo Spencer.
Era dovuto crescere in fretta, anche a causa sua, e non solo per il Quoziente Intellettivo altissimo.
Aveva dovuto prendere decisioni dolorose da solo, senza un padre; ora pareva che solo non fosse più.
La cosa la rasserenava. Almeno in parte. Era complicato a volte, essere lei.

Alzò lo sguardo sulla donna bionda che le era vicina, quella che per prima era entrata nella stanza.

“Non dovreste chiamare gli altri e domandare loro se hanno scoperto qualcosa?”
JJ rimase stupita, credeva che non avesse nemmeno visto Hotch e Rossi che erano rimasti fuori dalla porta e si erano diretti alla polizia appena avevano capito che Spence non era lì con la madre.
Lei ed Emily avevano fatto un cenno, per non mandare troppo in ansia la donna, ma lei li aveva visti.
Il tempo di riprendersi dallo stupore per il silenzio della donna, durante l’ora che avevano passato in sua compagnia, e il telefono di JJ prese a squillare.
Poche parole, un sorriso.
E potè tranquillizzarla.

“Lo hanno trovato, sta bene, stanno venendo qui.”
Le passo il telefono.
“Spencer? Stai bene tesoro, cosa è capitato? Va bene, ne parleremo poi. Sì, sto tranquilla, ora.”
Sorrise serena.
Ora che aveva sentito la sua voce l’ansia che l’attanagliava si era disciolta, evaporata.
Adesso sì che l’ultima parola del libro aveva senso anche per lei.
E poco importava di non sapere cosa era successo, l’importante era che stesse bene.
Il resto sarebbe venuto poi. E forse nemmeno l’avrebbe riguardata.

Ridiede il telefono a JJ e andò a mettere il libro nel suo posto sulla piccola libreria.
Emily rimase a guardarla senza una parola.
Domandandosi come avesse fatto a tenersi per se i dubbi e le domande, visto che si era accorta anche degli altri.
A volte era difficile capire a cosa stesse pensando il genietto, ora sapeva da chi aveva preso.
Imperscrutabili Reid.
Guardò JJ e le due donne si scambiarono un sorriso di sollievo all’idea di stare per risolvere tutto.
Forse.

Continua...

Dodicesimo capitolo



Forse era il caso di prendersi una pausa.
Era il pensiero dell’agente Hotchner, mentre osservava il figlio correre avanti alla ricerca del dolce in compagnia dei cugini.
Jessica e il marito stavano finendo di fare la spesa, il suo contributo era stato un po’ scarso.
Troppo preso dal pensiero della discussione di quel mattino per concentrarsi su dettagli culinari come abbinamenti tra il pesce e un buon vino bianco.
E non riusciva a non pensare ai risvolti peggiori del suo mestiere, tenendo costantemente d’occhio Jack, ma non voleva trasmettergli ansia, per cui lo lasciava allontanare.
Con dentro il terrore peggiore di qualsiasi genitore, decuplicato dal fatto di conoscere per lavoro alcune tra le peggiori aberrazioni del genere umano.
No, gli serviva una pausa, doveva staccare o Jack sarebbe cresciuto nel terrore e quello Haley non glielo avrebbe perdonato.
Ma dopo quel mattino la pausa era ancora lontana.
Non dopo quella lite.
Troppe cose erano state dette, c’erano dei punti che dovevano essere chiariti prima che potesse lasciare la squadra per qualche giorno.

Erano passati quasi tre mesi dall’incidente di Derek.
E Derek voleva tornare in azione.
L’afasia era alle spalle, aveva ritrovato coordinazione ed aveva superato brillantemente i colloqui con lo psicologo per l’abilitazione al servizio.
I mesi di terapia riabilitativa e il riposo avevano dato i suoi frutti, ma lui quel mattino gli aveva impedito di tornare al lavoro.
E l’uomo si era infuriato, erano settimane che si sentiva pronto e non si aspettava un rifiuto da parte sua, e non glielo aveva nascosto.
Erano volate parole grosse.
A causa dell’esplosione di rabbia di Derek aveva chiuso il discorso con una semplice frase:
“Se un semplice -stai a riposo ancora una settimana- ti scatena in questo modo, forse dovrei pensare che sei stato un ottimo attore nei colloqui con lo psicologo.”
Ma Derek Morgan non ci stava a vedersi etichettato come impulsivo e rimandato a casa in silenzio, ed aveva esagerato.
“Strano, sullo psicologo avevo fatto un discorso simile a Dave quando TU volevi rientrare dopo poco più di un mese, dall’aggressione di Foyet, e si è visto il risultato!”
Un silenzio di gelo era sceso nello studio.
Per alcuni lunghi interminabili minuti rimasero fermi ed immobili, consapevoli del peso delle parole dette.
Hotch prese una busta che era sulla scrivania ed iniziò ad aprirla con il tagliacarte, il rumore era appena percettibile, ma in quel silenzio veniva ingigantito a dismisura.
“…io…”
Iniziò Derek leggermente imbarazzato, cosciente di essersi fatto prendere dall’ira per la mancata riammissione in servizio. Non capiva le ragioni di quel suo costante ostruzionismo.
Era da quando era rientrato a mezzo servizio, che si sentiva sotto esame, non ne poteva più.
“Tu, hai solo detto la verità, avrei dovuto prendermi più tempo, ma Foyet non me lo ha lasciato, e non voglio che tu ripeta il mio errore.”
“Io non sono stato aggredito.”
“Ti ci è voluto un mese intero per spiegarci gli incubi in cui vedevi Reid torturarti, non serve una laurea per dirti che certe cose non si superano facilmente.”
“Ma io so che non lo ha fatto.”
“È stato comunque lui la causa del tuo ricovero, del coma, della riabilitazione. Dovrete lavorare insieme, e io non ve lo lascerò fare fino a che non sarò completamente certo che vi siete lasciati l’esperienza alle spalle.”
“Sta alle mie spalle da un pezzo, solo tu sembri non accorgertene e vorrei capirne la ragione. È per quello che gli ho detto quando ero ubriaco? Mi ha detto che nemmeno se lo ricorda!”
“Una settimana Derek, stai fuori dall’azione un’altra settimana, poi ne riparleremo!”
“E poi ce ne sarà un’altra ed un’altra ancora. IO STO BENE MALEDIZIONE!”
Ed era uscito sbattendosi la porta alle spalle.
Senza dargli il tempo di replicare, non che avesse altro da dirgli per placarlo, anzi, forse era stato un bene.
Erano stati tutti alla larga dal suo ufficio.
Probabilmente davano ragione a Derek e credevano che stesse esagerando.
Forse non avrebbero condiviso i modi e i toni, ma certamente il concetto sì, e visto con distacco non sapeva dargli torto nemmeno lui.
Quando Erin Strauss gli aveva offerto il prepensionamento era stato tentato di buttarla fuori da casa sua a calci, il suo autocontrollo l’aveva salvata, anche se era certo che la donna non se ne era resa conto.
Capiva bene la frustrazione di Derek, ma era altrettanto sicuro di essere nel giusto ad agire in quel modo, chissà… magari anche la Strauss lo era quel giorno.

Pessimo paragone.
Tornò al presente. Vide Jessica voltarsi ansiosa. C’erano entrambi i suoi due figli con lei, ma dov’era Jack?
Un gelo improvviso calò su di lui.
Jessica mormorò alcune parole.
Ne percepì solo alcune, come se non fosse lì, come aveva potuto distrarsi al punto di perdere di vista il suo bambino.
Scaffale dolci…in fondo…
Una voce dall’altroparlante scandì il suo nome.
“Jack Hotchner è alla cassa 14 ad aspettare il suo papà.”

La cassa 14 venne raggiunta in un baleno.
Jack era voltato verso la cassiera che si era messa davanti a lui accovacciata e gli stava facendo vedere i tasti del microfono, lei lo indicò al bambino, che si voltò sorridente ed era abbastanza vicino per farsi sentire a rispondere.
“Sì, lui è il mio papà”
Il cuore riprese i suoi battiti normali, ringraziò la donna che si era occupata di avvertirli, poi osservò Jack guardarsi in giro.
Sembrava cercasse qualcuno, non badò a sua zia Jessica a pochi metri da loro.
Il suo sguardo scorreva lungo gli scaffali, mentre gli occhi gli si riempivano di lacrime.
“Jack, cosa è successo?”
Il bambino deglutì un paio di volte, poi spiegò.
“Non ho più visto i cuginetti e non eravate dove vi eravate fermati prima, così sono venuto dalla cassiera ed ho chiesto di chiamarti. Ma…”
Le lacrime ora scorrevano sulle piccole guance del bambino, senza che Hotch avesse idea di cosa gli fosse capitato, erano trascorsi pochi minuti, meno di cinque, cosa poteva essere accaduto in quel breve lasso di tempo per spaventarlo tanto?
Lo strinse a se. E il piccolo mormorò qualcos’altro.
“…aveva detto che c’era la mamma…Voglio la mamma!”
Nascose il volto stringendosi forte al suo babbo e pianse tutte le lacrime di rabbia all’idea che la sua mamma non era arrivata lì a consolarlo.
Hotch notò il pallore sul volto della cassiera.
“…Oddio… è colpa mia, ho visto che vi avvicinavate – disse indicando anche Jessica – e gli ho detto che stavano arrivando mamma e papà….oddio mi dispiace.”
Jack continuava a singhiozzare inconsolabile.
Hotch disse alla cassiera che lei non poteva sapere, e che la sua era stata una frase normalissima.
Jessica si avvicinò per prendere il piccolo, ma lui fece segno di no con la testa e si strinse ancora di più al padre.
Il marito di Jessica disse che avrebbero portato la spesa a casa ed avrebbero iniziato a preparare la cena, come concordato, intanto che lui stava un poco con Jack.
Un cenno di assenso fu la sola risposta di Hotch.
Se non mi fossi perso a pensare al lavoro, se fossi stato più presente, se… Calmati.
Si impose.
Il suo bambino aveva bisogno di lui, ora doveva trovare le parole giuste, per calmarlo e per fargli capire che sua madre avrebbe fatto qualsiasi cosa per essere lì con lui.
Andarono a sedersi su di una panchina, appena fuori dal centro commerciale c’era un piccolo parco.
Rimasero seduti lì a lungo, padre e figlio a parlare, di Haley, del fatto che avrebbe voluto essere lì, ma non poteva, di come viveva nei loro ricordi.
Ad un certo punto al suo piccolo ometto venne in mente una cosa.
“Credo che la signorina alla cassa si sia spaventata. Sai è stata tanto gentile, mi diceva che non dovevo preoccuparmi, che saresti arrivato subito.”
“Forse sì, ma credo abbia capito che non volevi spaventarla.”
“Però le dovrei dire che ora sto meglio.”
“Vuoi rientrare per dirglielo?”
Era orgoglioso di lui, passata la burrasca si preoccupava per gli altri, come sarebbe stata fiera Haley di vederlo.
“Sì, poi andiamo a cenare con gli zii, però!”
E si diresse a passo spedito verso l’ingresso del centro commerciale.
Hotch fece appena in tempo a seguirlo, non era certo tipo da lunghi tentennamenti suo figlio, altro moto di orgoglio. Altro ricordo agrodolce di cosa lui ed Haley avrebbero voluto per Jack. Serenità e sicurezza.

La cassiera era ancora alla cassa numero 14, dava l’impressione di aver pianto anche lei, e videro che staccava dal turno.
“Signora, sto bene.”
Disse semplicemente Jack arrivandole vicino.
“Oh, ciao piccolo. Felice di rivederti.”
Lanciò un occhiata ad Hotch, colma di scuse.
“Doveva succedere prima o poi, meglio che sia accaduto quando io ero presente, due assenze sono peggio di una.”
“Lo so bene. Auguri, per tutto.”
La frase era stata accompagnata da un lampo di dolore che passo fugace nello sguardo.
Tese la mano ad Hotch, la strinse, poi si abbassò a dare un buffetto sulla guancia a Jack.
“Un bravo ometto, è venuto subito alla cassa a dire di chiamarla, a volte ci arrivano piccini in lacrime da cui facciamo persino fatica a ad ottenere il nome tanto sono spaventati. Lui no, preciso e convinto: mi chiamo Jack potete dire al mio papà di venire qui?”
“Ed eccomi, così la prossima volta imparo a non perderlo di vista.”
“Credo sia scientificamente impossibile non perderli mai di vista, parola di ex-babysitter!”
“Ora capisco la pratica!”
“Sissignore, consumato mestiere.”
“Il mio papà invece cattura i cattivi!” Intervenne Jack con orgoglio.
“Un poliziotto, ora si capiscono un paio di cosette.”
“Già una specie, ma non fanno corsi per imparare a fare i genitori.”
“Sa cosa diceva sempre mio padre? Coi figli se fai sbagli, se non fai sbagli! Si va a tentativi.”
“Questa è saggezza, forse i corsi li dovrebbe tenere suo padre, ho idea che avrebbe il tutto esaurito.”

Continua...


Capitolo 13



“Esaurito, io ti dico che è esaurito!”
“Non si chiama più esaurimento Derek…”
“Senti chiamalo come ti pare, non ha ragioni per non farmi tornare in servizio, non di logiche almeno. Ho passato i test. Ho di nuovo il totale controllo dei miei riflessi. Trovami una sola ragione logica per non riammettermi in servizio.”
“Ti fidi di Hotch? Io sì, e se ritiene che ti serva una settimana di riposo extra io fossi in te ne approfitterei.” Disse Rossi.
“Oh ma lo sto facendo, mi sto prendendo la prima sbronza da quando mi hanno dimesso due mesi fa. Non è approfittarne questo? Ah… tenete me e Reid lontani dalle scale, grazie.”
“Non fa ridere per niente.”
Fu il lapidario commento di Spencer, ma non aveva finito.
“Forse è per questo che Hotch non vuole che torni in servizio, ha capito che sei ancora arrabbiato con me e vuole che prima lo ammetti.”
Derek non era così ubriaco da non percepire l’ansia nella voce dell’amico.
“Vuoi sapere con chi sono veramente arrabbiato? Con l’idiota che si specchia al di là del bancone –disse indicandosi con il bicchiere di birra mezzo vuoto che aveva in mano- che non è stato attento a dove metteva i piedi e a cosa diceva la lingua. Devo essermi impegnato parecchio per farti irritare al punto di spintonarmi, ma non vuoi dirmi cosa ho detto di tanto terribile. E non ci credo che non te lo ricordi. Dici che è stato un incidente, dimmi cosa ti ho detto.”
Emily e Rossi osservarono in silenzio lo scambio tra i due, la donna aveva notato l’uomo che stava bevendo da solo, e senza esitazione aveva avvertito gli altri di raggiungerla.
Rossi era arrivato per primo, ed insieme avevano cercato di calmare l’ira dell’uomo, poi era arrivato Reid.
Penelope non era ancora arrivata, JJ stava entrando in quel momento nel locale.
In tempo per vedere Reid cercare una risposta plausibile su quello che era capitato.
Lui non era sicuro che conoscere i dettagli avrebbe migliorato l’umore di Derek.
Forse avrei solo dovuto dargli ragione, quando diceva che Hotch era irragionevole e lasciar cadere il discorso, ma ora è tardi. Mi ha messo con le spalle al muro.
In senso solo metaforico, per fortuna.
“Era una cosa sciocca, fossi stato più riposato non me la sarei presa tanto.”
“Visto che te la ricordi. Sputa il rospo!”
“Derek, lascialo stare, non siete stati abbastanza male in questi mesi, perché rivangare?”
“Perché voglio sapere. Cosa sa Hotch che io ignoro. Perché io davvero non me lo ricordo! Maledizione. Perché tu ad Hotch lo hai detto, vero?”
Spencer si concentrò su una goccia di condensa che stava scivolando lungo il suo bicchiere di analcolico.
Come ogni persona in cura per una dipendenza doveva evitare gli alcolici, che possono causarne di altro tipo.
In quel momento sentiva un gran bisogno di qualcosa di forte, ma sapeva che non poteva.
Deglutì un paio di volte.
Poi fissò Derek, a lungo, e prese a parlare.
“Sì, Hotch lo sa. Ho dovuto dirgli tutto. E gli ho chiesto di non dirtelo, visto che non ricordavi mi sembrava la cosa migliore. Eri ubriaco e io ti avevo irritato, come so fare sempre molto bene. Te ne sei uscito con una cosa che mi ha fatto infuriare. Ma onestamente preferirei dimenticarmela pure io.”
“Dopo che me l’avrai detta ce la potremo dimenticare entrambi.”

Emily fece un cenno agli altri e si allontanarono di qualche metro, per lasciare a Reid la privacy necessaria, il barista era impegnato altrove e il locale era semivuoto.
Osservarono Derek trasalire mentre Reid spiegava.
Scosse la testa come incredulo davanti a quello che gli stava dicendo Spencer.
Non erano certi che entrambi avrebbero dimenticato, ma almeno non ci sarebbero state zone d’ombra, che sembravano irritare profondamente Morgan.

Arrivò Penelope, che vedendoli discosti dai due uomini capì al volo la situazione ed andò nella loro direzione.
“L’ennesimo chiarimento? Quando finirà questa storia?”
“Quando Hotch farà tornare Derek in servizio attivo, non prima, penso.”
“Non saprei, forse lui esagera, ma un pensierino a mandare in vacanza Hotch io ce lo farei. In questi mesi la mancanza dell’appoggio di Derek si è fatta sentire, e non dimentichiamoci che un certo vicedirettore non perde occasione per rimarcarlo. E per distaccare JJ presso altre unità, come non fossimo già abbastanza sotto organico.”
Emily e Rossi non potevano essere più chiari.
I bastoni tra le ruote all’unità la Strauss li aveva sempre messi, ma negli ultimi due mesi si era applicata parecchio, JJ sospirò pensando a quello che sapeva, e che non poteva ancora condividere con gli altri.
Era una situazione insostenibile.
Troppe crepe nell’unità da quando c’era stato l’incidente.
Dovevano trovare una soluzione.

Derek sì alzò dal suo posto al bancone ed uscì all’aperto.
Reid lo seguì, facendo cenno agli altri di rimanere dov’erano.
Li osservarono parlarsi ancora concitatamente dalla finestra. Erano un po’ in ansia, ma Reid era parso tranquillo del fatto suo.
Videro Derek portarsi una mano davanti agli occhi. Reid gliela fece abbassare.
Scuotendo la testa davanti alla caparbietà del giovane, Derek lo strinse a se in un abbraccio fraterno.
Forse il chiarimento c’era stato, forse la fine della storia era arrivata.

SPOILER (click to view)
E invece no! Continua... :B):
 
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rabb-it
view post Posted on 14/7/2010, 02:42




Capitolo 14


Arrivata, era a casa. Finalmente.
Stava uscendo dall’ufficio quando aveva ricevuto la chiamata di Emily, aveva avvisato Will che avrebbe fatto tardi, lui le aveva detto di non preoccuparsi.
Ma appena le cose erano state chiarite tra Derek e Spence li aveva salutati e se ne era corsa a casa.
Non solo per la voglia di rivedere marito e figlio, ma anche per non poter essere sincera con loro e non aver voglia di mentire. L’avevano salutata tutti sorridendo.
Solo Garcia l’aveva guardata un po’ in modo strano.
Come se sapesse perché scappava.
E non sarebbe nemmeno strano, lei sa spesso quello che succede. Quasi come Rossi, sono i migliori informatori sulle voci di corridoio, da sempre. Ma forse stavolta aspettano che ne parli io.

Will stava preparando Henry per cenare, seggiolino agganciato alla tavola e pasto in tavola.
“Ciao, mi spiace. Crisi in corso.”
“Tranquilla, abbiamo appena preparato, vieni a sederti. La crisi riguarda le ultime novità? Se la sono presa a male?”
“No, non lo sanno ancora, il vicedirettore deve ancora parlarne con Hotch. E non ho avuto il coraggio di dirlo io per prima.”
“Sai che a saperlo da lei la prenderanno peggio. Dovresti prepararli alla cosa.”
“Non ce la faccio Will, ne abbiamo passate troppe. Mi sembra di tradirli. Sono anche loro la mia famiglia per certi versi.”
“Lo so, e per questo penso che dovresti prendere tu la decisione di informarli che stai per...”
Lei lo interruppe irritata.
“… non voglio, so che devo farlo d’accordo, ma non ci riesco.”
Lui le prese una mano e giocherellò con l’anello che la donna portava al dito.
“Potrebbero anche finire con l’essere contenti per te.”
“So che lo saranno, ne sono certa, ma fino a che la Strauss non ufficializzerà la cosa con Hotch, io preferirei non ne sapessero niente. Anche se…”
Le strinse un poco la mano, come ad invitarla a continuare.
“…anche se penso inizino a girare le prime voci.”
“Fermale sul nascere, al diavolo il vicedirettore, sono più di sei anni che lavori con loro, non si meritano di saperlo da pettegolezzi.”
“Hai ragione. Domani parlerò con Hotch.”
Ecco lo aveva detto, domani, era decisa.
Si sentiva già più leggera.
Iniziarono a cenare, ridendo con il loro bambino.
Sereni.

L’indomani JJ bussò con decisione all’ufficio della Strauss.
“Si accomodi, ho visto il suo messaggio, è una cosa molto urgente?”
“Vorrei mettere al corrente i miei colleghi, o perlomeno il supervisore Hotchner di quello che sta per succedere, non intendo mancarle di rispetto, ma la situazione per me sta diventando insostenibile.”
“Non le avevo detto chiaramente che ne avrei parlato io? Entro la settimana terremo la riunione in cui spiegherò ogni cosa.”
“Lei era stata chiarissima, sono io che preferirei potergliene parlare prima che lo sappiano dalle voci che stanno già iniziando a girare.”
“Capisco, va bene, lo dica pure all’agente Hotchner. Ma non agli altri. Le voci sono solo voci, fino a che non vengono confermate.”
Salutò ed uscì.

Una mezza vittoria. Toccava accontentarsi.
Era intenzionata a dirlo in ogni caso a Hotch, ma era meglio poterlo fare senza disobbedire ad un ordine diretto.
Entrò nell’open space, si diresse al suo ufficio, prese alcune cartelline che doveva far approvare ad Hotch, erano il suo alibi per andare in ufficio senza destare domande.
Sorrise ai colleghi che incrociava.
Un'altra bussata, stavolta meno decisa.
Hotch era al telefono, le fece cenno di entrare.
Terminò la conversazione e prese le cartelle che lei gli porgeva.
“Hotch, dovrei parlarti di una cosa, se hai un momento.”
“Certo dimmi.”
L’uomo firmò rapidamente e chiuse i fascicoli, e lei ebbe tutta la sua attenzione.
“Ecco sai che da qualche tempo il vicedirettore mi manda anche a seguire altre unità. Nella prossima riunione… ecco… io…”
Hotch fraintese la sua esitazione.
“Vuoi che le parli e le chieda di smetterla? È nelle mie intenzioni. Non ha senso che ci privi di un elemento della squadra per le sue lotte contro di me.”
“Hotch… no. Non farlo. È diverso.”
“JJ… spiegati meglio.”
“Mi ha proposto per un nuovo incarico, questo prevede che io segua le varie squadre solo dagli uffici, sai cosa vuol dire…”
“Una promozione! Congratulazioni JJ!”
L’uomo si alzò in piedi e le porse la mano per congratularsi.
Lei ricambiò la stretta, Hotch l’aveva presa bene.
“Non so… mi sembra di abbandonarvi. Non è ancora ufficiale fino alla riunione, ha presentato domanda di prepensionamento la persona che gestiva il livello superiore e la Strauss ha fatto il mio nome per il posto vacante.”
“Sei la persona giusta, certo per noi sarà un bel guaio. Ma sono contento per te.”
“Il fatto del guaio, prima quando hai detto che la Strauss mette i bastoni tra le ruote, confesso che questa promozione mi sembra più un dispetto a voi che un premio a me… avrò un sacco di grattacapi in più”
“Sui grattacapi non so darti torto, ma il dispetto no. Doveva scegliere un sostituto ed ha scelto la migliore, non è così autolesionista il vicedirettore.”
“Mi ha chiesto di dirlo solo a te, voleva dirlo lei nella riunione, ma io non ce la facevo più a sentire gli altri che…”
Sì fermò rendendosi conto che lui forse tutte le lamentele degli altri non le conosceva.
Lui si rese conto che c’era qualcosa che JJ non voleva dire, e non indagò. Sospettava potesse entrarci la lite del giorno prima con Derek e preferiva non avere conferme.

Un toc toc alla porta.
Rossi che entra.
“Le voci di corridoio sono vere allora? Stai per mollare l’unità.”
“Dave, ma come…”
“La porta era aperta e tu non hai parlato a bassa voce nel farle le congratulazioni, sto nell’ufficio a fianco te lo ricordi?”
JJ guardò Hotch che fissava Rossi come se volesse capire da dove gli arrivava tutta quella comaritudine.
“Prossima volta chiuderò la porta, altro che voci di corridoio. Comunque sì a breve ci lascia, ma se va avanti così potrebbe anche andare al posto della Strauss.”
“Uh dimmi dove si firma per la petizione: Voglio JJ direttore.”

JJ scosse il capo ridendo per la solerzia con cui Dave aveva raccolto l’idea balzana di Hotch.

Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 24/7/2010, 16:16




Capitolo 15


“Hotch, abbiamo un problema.”
Hotch stava entrando nel suo ufficio, Dave era seduto sul divanetto all’interno, una serie di cartelline in mano, ed un aria lugubre sul viso.
“Uno solo?”
“Sai non sono sicuro che la versione umoristica del mio capo mi piaccia, proprio per niente!”
“Rientro ora da una riunione, in cui la sola bella notizia era la meritata promozione di JJ, per cui ora potremo finalmente informare gli altri, ufficialmente.”
“Cosa ti fa pensare che lo siano già in via ufficiosa?”
“Lo sai vero che non dovresti fare domande di cui non potrebbe piacerti la risposta.”
“Ma il motto da avvocato non era: Non fare domande di cui non sai la risposta?”
“Ah era una domanda retorica, non avevo colto. Qual è il problema?”
Dave ritornò serio di colpo, come se per alcuni secondi avesse scordato la ragione per cui da oltre due ore si rileggeva la serie di rapporti che mostrò al collega.

“Quattro uomini assassinati, tutti con condanne per abusi su minori adolescenti. Tutti usciti di prigione dopo la condanna da poche settimane. Nel corso degli ultimi mesi.”
“Maledizione, il classico giustiziere…”
“Forse, li uccide con un colpo di fucile alla gola.”
“Scusa ma è come… No dai non può essere.”
“Ti ricordi vedo.”
“Siamo rimasti in contatto.”
“Lo so, io sono persino andato al battesimo dei suoi figli.”
“Senti, il fatto che vengano uccisi con una fucilata non vuol dire niente. Hai fatto verificare dove stava quando ci sono stati gli omicidi?”
“Sì, non ho coinvolto Garcia per evitare domande, l’ho chiamato con la scusa di voler passare dalle loro parti, chiacchierando ho scoperto che negli ultimi mesi va via da casa per convegni. E sì, era nelle città dove si sono verificati tre dei casi. Se non ci fossero state queste coincidenze non avrei pensato che…”
“Io non riesco a crederci, dopo tutti questi anni, ce ne saremmo accorti.”
“E come? Per una visita una volta l’anno o anche meno? Comunque anche io non ci voglio credere, ma dobbiamo indagare e sai che nessuno collegherà mai… la scena del crimine primaria.”
“Era stata legittima difesa.”
“Che io ho coperto, devo sapere.”
“Troveremo il colpevole.”
“Non dare per scontato che non sia lui.”
“E tu non dare per scontato il contrario. Come lo spieghiamo agli altri?”
“Direi di non influenzarli con quello che sappiamo noi, iniziamo ad analizzare i delitti, e poi decideremo, mano a mano che le cose verranno fuori. Io andrò a trovarlo, e indagherò meglio su…un suo eventuale alibi.”
“Credi sia saggio, sa che lavoro fai. Se è lui mangerà la foglia.”
“Dopo la mia telefonata se non vado mangerà l’intero albero, devo farlo. E poi, in mia assenza sarà più facile spiegare se ce ne fosse la necessità. Mi eviterò le occhiatacce.”
“Dave, era stata la decisione più giusta vista la situazione.”
“Per chi? Per lui, o per la mia carriera?”
“Per entrambi, e lo sai.”
“No, non lo so. Sai vero che stavolta non potrai lasciare Derek fuori?”
“La settimana non è terminata, forse dovrei farlo.”
Dave si prese qualche secondo per cercare una frase che non facesse infuriare il suo capo.
“Senti, lui e Reid si sono chiariti giorni fa, deve poter tornare in attività, o chiederà di andare con un’altra unità, sicuro di voler rischiare di perdere un altro agente?”
“JJ per questa volta verrà ancora con noi, se quello che temiamo fosse vero, con i media ci servirà tutto l’aiuto possibile, si scatenerà un inferno.”
“Volendo essere ottimisti. Rimetti Derek in servizio attivo, digli che hai cambiato idea. Se ti chiede come mai, ma non lo farà, puoi sempre dire che solo gli idioti non mutano mai opinione su una cosa e tu non sei un’idiota.”
“Chi è che esagera con il senso dell’umorismo adesso?”
“Vantaggi dell’anzianità di servizio.”
Continua...

Capitolo 16


Anzianità di servizio.
Le ultime parole che aveva detto ad Hotch gli riecheggiavano nella mente.
Da diverse ore ormai. Si stava dirigendo dalla persona di cui aveva parlato con lui.
Ricordava bene quando loro due si erano incontrati.
Hotch all’epoca era un giovane che aveva lasciato la procura legale e si stava facendo le ossa nel bureau, lui era già l’agente anziano allora.
L’agente anziano con uno scheletro nell’armadio.
Di cui Hotch era venuto a conoscenza, ma aveva capito.
E gli dava ragione ora come allora, solo lui non era più tanto sicuro di meritarsela quella ragione.
A meno che…
…Non sia la ragione degli asini o dei folli e io devo solo scegliere in che categoria mettermi.
I ricordi.
Alcuni anni prima di quell’incontro lui stava inseguendo un soggetto ignoto che abusava di minorenni adolescenti. C’era una lunga scia di omicidi che portavano tutti la medesima firma.
Un maschio ed una femmina. La bambina veniva molestata, ed uccisa, il bambino solo – per modo di dire – ucciso.
Erano riusciti a capire dove si stava nascondendo, grazie alle sue ultime vittime, la bambina aveva permesso la fuga del bambino. Si era salvato. Ma lei era morta.
Lui si sarebbe suicidato tempo dopo, il senso di colpa era stato più grande dell’aiuto che non avevano saputo dargli. E la morbosità della stampa per il superstite non aveva certo aiutato.
Aveva trovato l’abitazione. Ma lui non c’era.
Lo aveva cercato nei paraggi, poi un colpo.
Era stato un singolo colpo di fucile. Si diresse nella direzione da cui proveniva lo sparo, sembrava lontano. Nella boscaglia.
Una piccola capanna, ed eccoli.
Un bambino, teneva stretta tra le braccia una bambina, impedendole di guardare dove invece lui stava fissando.
Davanti a loro un fucile a terra, dello stesso tipo che aveva lui, poco discosto un uomo si teneva convulsamente le mani sul collo cercando di fermare l’emorragia.
Ma era troppo tardi, il proiettile gli doveva aver lacerato la carotide, roteò gli occhi all’indietro e soffocò nel suo stesso sangue.
Si assicurò che i bambini non fossero feriti, la bambina credette che a sparare fosse stato lui, teneva gli occhi chiusi da prima che il suo compagno di sventura facesse fuoco. E lui le aveva poi impedito di guardare.
Dave in una frazione di secondo prese una decisione. Proteggerli.
Si prese la responsabilità della morte dell’assassino. O il merito. Erano settimane che la stampa li tormentava perché non fermavano quel folle.
Come avrebbero distrutto la vita di quei bambini con la loro morbosa curiosità sui dettagli se avessero saputo che era stato il ragazzino a sparare?
Li avrebbero aiutati lo stesso, ma senza la stampa a fare da cassa di risonanza.
Avevano bisogno di tranquillità.
Li avrebbe protetti. Lo fece. Ma non potè mai avere la certezza di non averlo fatto anche per se, per non far sapere che non era arrivato in tempo.
Se il bambino non gli avesse sparato forse sarebbe scappato ancora.
Quello gli diceva per rincuorarlo del fatto che aveva preso la decisione giusta nel fare fuoco.
I bambini andavano da uno psicologo infantile, c’erano due rapporti all’Efbiai, uno ufficiale, con la versione data da Dave e confermata dai bambini, l’altro ufficioso.
Con la versione di Dave e del ragazzino.
Quando lo psicologo gli aveva spiegato che secondo lui il ragazzo non gli diceva tutto, Dave aveva iniziato ad andarlo a trovare.
Per aiutarlo a scendere a patti con quello che era successo, per farsi dire quello di cui non voleva parlare con un estraneo. Con il tempo si era creato un rapporto di fiducia e stima reciproca, i genitori del ragazzo erano grati a Dave che aveva evitato che il figlio finisse sulle prime pagine della cronaca.
Il ragazzo era cresciuto, aveva studiato veterinaria.
La frase preferita: Più conosco l’uomo e più mi piacciono gli animali.
Hotch gli sentì dire esattamente quella frase, una volta che era passato a salutarlo, e si incuriosì.
Quando trovò il suo nome inerente a quei vecchi casi, mise alle strette il suo istruttore, sui rapporti tra di loro.
Venendo meno alla prima regola dell’Unità.
Mai farsi il profilo a vicenda.
Ma forse anche Dave aveva bisogno di sapere che non aveva sbagliato.
Voleva un altro parere.
Hotch fece il suo lavoro di profiler con discrezione, in qualità di ex-procuratore poteva essere a conoscenza di alcuni dettagli e il ragazzo, ormai un giovane uomo, non si sorprese alle sue domande.
Rispose ad Hotch, domandando in seguito a Dave come mai ci erano voluti tanti anni perché qualcun altro a parte lui gli ponesse delle domande su quella vecchia storia.
E Dave si limitò a spiegargli che l’Efbiai non ci teneva a far sapere che se non era per un dodicenne un pericoloso killer poteva essere ancora a piede libero.
La risposta lo aveva soddisfatto e non sarebbero più tornati sull’argomento.
A volte si domandava se non avesse sbagliato nel tenere i contatti, come rivangare sempre una vecchia ferita. Ma aveva visto che aveva creato un rapporto amichevole anche con Aaron, una delle persone più schive e restie al dialogo che lui conoscesse, chi si somiglia si piglia, anche in amicizia.
Poi lui aveva lasciato il bureau, era in pensione, portava il suo cane da caccia a visitare da lui, e la bozza del suo primo libro in veranda, chissà se qualcuno aveva mai notato che parlava di se in terza persona quando descriveva la fine di quel particolare SI?
Sì che lo avevano notato, e lo avevano definito un borioso pompato ed altre cose poco simpatiche.
Nessuno che pensasse che era in terza persona perché non era stato lui ad ucciderlo.
Meglio così.
Dopo le settimane di interrogatori a San Quintino, era passato a trovarli, e gli era stata messa a disposizione la stanza per gli ospiti e gli avevano chiesto se avrebbe fatto da padrino per il loro bambino.
La moglie sapeva quanto fosse importante il legame con Dave. Le aveva detto tutto.
“Non posso certo chiederle di sposarmi e tenermi un segreto del genere. Non credi?”
No, non poteva.
Aveva ragione Aaron, erano solo coincidenze la sua presenza in alcune delle città colpite dal soggetto ignoto attuale.
Deve essere così.


Continua...
 
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rabb-it
view post Posted on 25/7/2010, 14:35




Capitolo 17



“Così posso rientrare? Che cosa…”
La domanda rimase sospesa, l’occhiata di Hotch era molto esplicativa, non fare domande.
“… abbiamo?”
Hotch fece finta di non essersi accorto dell’esitazione ed invitò l’uomo a raggiungerli in sala riunioni.
Rossi non c’è. Ma forse ci raggiungerà al jet, non sarebbe la prima volta.
Si disse Derek.
Gli altri si scambiarono delle occhiate rapide e furtive, finalmente Derek tornava in squadra a tutti gli effetti, e non solo come consulente in contatto da Quantico.
“Abbiamo un probabile giustiziere da identificare. Le vittime…”
La vittimologia era anche troppo evidente.
Tutti pedofili, tutti condannati.
“I sei anni sono passati… ma la penso come allora.”
Fu una delle frasi che uscì detta a Reid.
Emily domandò a cosa si riferisse.
“Sei anni fa andammo a New York, la vittimologia non era evidente come questa volta, ma presto apparve chiaro che il nostro SI voleva farsi giustizia da se. Io dissi che doveva esserci un processo. Un addetto al tribunale mi dette sei anni di questo lavoro, per iniziare a pensare che forse aveva ragione.”
Hotch ripensò per qualche istante al caso a cui si riferiva Reid, anche lui aveva un ricordo personale.
Stava parlando della cosa con Jideon, se avesse mai pensato di farsi giustizia da solo, e lui gli aveva detto che quello avrebbe voluto dire che invece di entrare lui nella testa dell’SI era successo il contrario.
Quello che è successo a me con Foyet, ad un certo punto… lui è stato dentro di me.
Raddrizzò la testa con un profondo sospiro. Nello sguardo un profondo disgusto alla sola idea di paragonarsi a quel mostro. Ma non ci sta accusatore più feroce della coscienza che alberga nel cuore di ognuno. Mai citazione fu più azzeccata.
Riprese il controllo, di se stesso e della conversazione.
“Concentriamoci su questo caso. Stessa vittimologia, identico modus operandi, città differenti.
Come rintracciarlo?”
Nessuno parve essersi accorto del momento di estraneità avuto dal loro capo, iniziarono a fioccare ipotesi.
Dal rappresentante spesso in giro, al free lance che gira l’intero paese.
Ma tutti concordi su una cosa.
Di sicuro aveva avuto in passato un’esperienza traumatica, o l’aveva avuta qualcuno della sua famiglia, e su quello incentrò le ricerche Garcia. Oltre che su ferite da arma da fuoco alla gola, precisazione di Hotch. Non spiegò come mai, sperava ci fosse almeno un caso simile. Se lo augurava per Dave, ma anche per se stesso, pensare di aver sbagliato così tanto a giudicare una persona proprio facendolo di mestiere era preoccupante.
La donna si mise subito al lavoro.
Intanto loro si dirigevano nella città dell’ultimo delitto.

Una volta al jet fu chiaro a tutti che Rossi era assente, ma stranamente Hotch non ne aveva ancora spiegata la ragione.
Mentre erano in volo lo videro concentrato sui rapporti, e nessuno osò far domande.
Per i primi minuti almeno.
“L’assenza di Rossi? Questa mattina era in ufficio, poi è uscito di filato prima che ci riunissimo, è successo qualcosa?”
Hotch smise di leggere e portò la sua attenzione sui colleghi.
JJ lo guardava sicura che avrebbe dato loro delle spiegazioni.
“Dave è andato a controllare una cosa, non sappiamo se inerente al caso o meno, e non vogliamo portarvi fuori strada nello stilare il profilo di questo SI.”
“Un vecchio caso?”
“Esattamente.”
La domanda di Derek non poteva essere più perfetta, gli permetteva di dire la verità senza omettere dettagli. Certo se si fosse limitato a quella domanda.
“Se sospetta di qualcuno dovremmo saperne di più, non credi?”
“Non è ancora un sospetto. Per adesso è solo una coincidenza.”
Si appoggiò allo schienale ed alzò le mani, i palmi in avanti ad altezza del busto, a chiedere una tregua, quando si accorse che Derek aveva altre domande.
L’uomo rimase di stucco. Hotch non era tipo da gesticolare, la cosa doveva essere proprio grave per agitarlo a tal punto.
Decise di rimandare il resto delle domande, in fondo era appena tornato in servizio attivo; meglio non irritare il capo.

JJ lesse i comunicati stampa sul caso, nei primi due casi nessuno aveva colto un nesso, erano avvenuti ad un certa distanza sia di tempo che di luogo, ma al terzo avevano iniziato a mettersi in allarme, come l’Efbiai, ed al quarto caso niente li aveva fermati.
Stavano nascendo i primi comitati di difesa del assassino, alla frase: “Finalmente qualcuno difende i nostri bambini.”
Era una situazione difficile, la pietà verso le vittime, quando queste prima sono state carnefici, è spesso assente. E non è difficile comprenderne la ragione. Ma aveva ragione Reid, non si può farsi giustizia da soli.
Non senza rimanerne in qualche modo sconvolti. Aveva visto lo sguardo assente di Hotch alla riunione mentre Reid parlava di farsi giustizia da sé, non serviva un profiler per capire a cosa era andato a pensare.
L’idea che quello sarebbe stato il suo ultimo caso con la squadra le metteva ansia.
La sua promozione era effettiva, aveva ricevuto le congratulazioni da tutti, un ultimo caso e poi le loro strade si sarebbero separate.
Si sarebbero incontrati ancora, mai più lavorando insieme però.
Aveva un sapore amaro questa promozione.

Emily osservò lo scambio tra Hotch e Derek, le scappò un mezzo sorriso, le sembravano tornati i vecchi tempi, il gesto delle mani in avanti di Hotch la diceva lunga sul suo nervosismo.
Il sorriso le morì sulle labbra quando incrociò lo sguardo triste di JJ, proprio non sembrava una persona che era appena stata promossa di grado. E la capiva benissimo.
Erano stati anni intensi, lavoravano con delle belle persone, era un peccato doverci rinunciare.
Ma rifiutare una promozione? Derek lo aveva fatto una volta, ma era diverso.
Lui all’epoca era in rotta con Hotch – ma guarda che caso strano – e voleva anche dimostrargli che sarebbe stato capace di cambiare. Non troppo però.
JJ invece non aveva niente da dimostrare a nessuno di loro, nessun conto in sospeso.
Sembrava passata una vita. Erano stati solo pochi anni. Riportò l’attenzione sui rapporti, doveva esserci qualcosa in quelle vittime che aveva fatto scattare il soggetto ignoto, dovevano scoprirlo.
Prima possibile.

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rabb-it
view post Posted on 27/7/2010, 14:54




Capitolo 18



“Possibile? Dave Rossi è veramente passato da queste lande?”
“Smettila di fare lo spiritoso, sapevi che sarei passato.”
“No, avevi detto che forse saresti passato, ma la certezza di un tuo arrivo ce l’ho avuta solo quando ti ho visto scendere dall’automobile.”
Disse l’uomo, invitando l’amico ad entrare in casa.
“Non è stagione di caccia, cosa ti porta da queste parti?”
“Ehy, un interrogatorio? Non si può voler staccare un poco dal lavoro e passare da un amico? O a trovare il mio figlioccio? A proposito come stanno i ragazzi?”
“Stanno bene, ora sono a scuola. Anne è di sopra a riposare.”
“Non sta bene? È successo qualcosa di cui non ti andava di parlare per telefono?”
“No, sta bene, solo che questa notte sono stato chiamato una mezza dozzina di volte, ed ogni volta lei si svegliava con me. Dovrei imparare a dormire nella stanza degli ospiti quando sono di turno alla notte.”
“Ma un veterinario chiamato di notte? Credevo capitasse ai medici…o agli agenti.”
“Capita anche ai veterinari, fidati, anche se di solito non con la frequenza di stanotte, sei chiamate sono effettivamente un record.”
“Tu non sembri stanco però.”
“Tutta apparenza, in realtà sto dormendo in piedi, a proposito vuoi un caffè? Se preferisci andarti prima a cambiare la stanza è a tua disposizione.”
“Credo approfitterò un attimo del gabinetto. Tu scalda quel caffè, arrivo subito.”
E così dicendo l’uomo si diresse verso la stanza per gli ospiti che ben conosceva, avrebbe voluto chiedergli dove era stato tre giorni prima, ma sapeva che troppe domande in una volta lo avrebbero insospettito.
Se non era lui non voleva fargli capire che lo avevano sospettato.
Se era lui, non voleva nemmeno pensarci.
Si sciacquò le mani a lungo, pensando a come andare in argomento.
Scusa hai un fucile per caso? Non mi sembra l’approccio giusto.
Forse ho trovato.

Mentre David Rossi si arrovellava per trovare un modo discreto di impicciarsi della vita privata del suo amico, quest’ultimo leggeva il giornale mentre si scaldava il caffè.
Un aria seria in viso, la netta sensazione che Dave non fosse passato per caso.
Il giornale portava la data del giorno precedente, e uno dei titoli in grassetto citava.
“Finalmente qualcuno protegge i nostri bambini!”
Senti l’acqua scorrere in bagno e mise il giornale sul tavolo in bella vista.
Poi versò il caffè nelle tazze.
Ed aspettò, per vedere se la sua sensazione era pura paranoia o meno.

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Capitolo 19



“Meno male che siete arrivati.”
Furono accolti con quell’esclamazione dall’investigatore incaricato delle indagini, che li aveva chiamati appena intuito il collegamento con il precedente caso.
Non era certo la prima volta che i poliziotti locali coglievano bene l’arrivo dell’Efbiai, ma forse tanta sollecitudine nei loro confronti era più la fretta di scaricare loro la patata bollente, per molta parte dell’opinione pubblica fermare questo giustiziere non sembrava una necessità, se lo facevano i federali, la polizia locale non poteva che essergliene grata.
I malumori della gente si sarebbero dirottati su di loro e non sui poliziotti di quartiere.
Tanto sollievo pareva strano anche per un’altra ragione, chi uccideva poteva anche essere nella polizia, visto che conosceva i precedenti penali delle vittime che sceglieva.
Ma le diverse città, stando al profilo geografico su cui stava lavorando Reid, la rendevano una probabilità remota.
Ma da tenere comunque in considerazione.
I punti in comune tra le varie vittime erano la recente scarcerazione e il reato commesso, e c’erano molti modi in cui uno poteva scoprire determinati dettagli, ma il più semplice era avere accesso ai dati sui processi. Che non era cosa poi così facile se non si aveva a che fare con l’ambiente penale.
Quindi una delle probabilità vagliate era che, come nel caso di New York di sei anni prima, questo individuo avesse libero accesso a dati sensibili sui detenuti.
Troppa gente da controllare, ma contavano di scremare di molto la lista grazie ai dati raccolti da Garcia.
Il dettaglio della fucilata al collo suggerito da Hotch fece scoprire a Garcia due casi, un seria killer fermato molti anni prima da un giovane David Rossi, e un ex secondino assassinato nello stesso modo.
Il secondino aveva lavorato in un carcere minorile, ed era stato processato per molestie su minori, uscito assolto dal processo, per sospetta intimidazione dei testimoni, era stato freddato dal padre di uno dei ragazzini.
Che ora stava scontando una pena per omicidio, quindi non poteva essere lui il soggetto ignoto.
“Praticamente quel secondino era come l’aguzzino di Sleepers, gli avrei sparato anche io al posto del padre.”
“Garcia…”
“Scusa Derek, ma certe cose mi fanno andare in bestia, era evidente che i testimoni avevano paura e lo hanno assolto. Capisco il padre, non lo giustifico, ma lo capisco. Posso?”
“Va bene, ma non quando sei in vivavoce.”
“Capito.”
“Comunque è strano, salta fuori il nome di Rossi e lui non è lì con voi, Hotch cosa dice?”
“Che è andato a controllare il vecchio caso, cosa sai dirmi sulle vittime e sui parenti?”
“Tre superstiti, oh no… solo due, il primo si è ucciso pochi mesi dopo il fatto.
Un ragazzo e una ragazza, oramai adulti, pensi che Dave sia andato a controllare se erano in zona ai momenti dei delitti?”
“Tu puoi verificare?”
“E me lo domandi? Sto già cercando. OhOh…”
“Che succede?”
“L'uomo aveva un giro di conferenze per la clinica veterinaria presso la quale lavora. In tre delle città.”
“Ecco cosa è andato a controllare Dave, e la quarta.”
“No sulla quarta niente, ma non è molto lontano da dove abita, se non ha un alibi…”
“Potrebbe essere il nostro uomo, trovo strana la reticenza di Hotch e Dave a parlarne, è chiaro che è un sospettato.”
Emily fecce un cenno a Derek, ma era tardi, Hotch era entrato nella stanza ed aveva sentito le ultime frasi.
“Perché non abbiamo ancora un profilo preciso, e la persona che tu e Garcia avete trovato corrisponde solo per una parte. La sua presenza in città può essere una mera coincidenza, prima di rivangare vecchie ferite io e Dave vogliamo essere certi che… non abbia un alibi.”
A nessuno di loro sfuggì l’esitazione.
Dave non era andato solo a controllare un eventuale alibi, era anche là per arrestarlo nel caso i loro dubbi trovassero conferma.
Da solo.
“Hotch, ma è una pazzia, dov’è finito il lavoro di squadra?”
“Derek, cosa sappiamo del nostro SI? Che sa cosa sono quelli che uccide, e quando escono di prigione li va a cercare. Ora secondo te come fa un veterinario ad avere certe informazioni? Se lo scopri insieme al fatto che era nelle città allora diventa un sospettato. In caso contrario, aspetto notizie di Dave.”
“Innocente fino a prova contraria, hai ragione.”
“Esattamente.”

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Capitolo 20



“Esattamente come mai con un caso del genere in corso a meno di trenta miglia da qui, tu sei passato da me?”
Con quella frase Sam mise fine al silenzio con cui Rossi aveva reagito quando sedendosi al tavolo per bere il caffè aveva visto il giornale e il titolo ben evidente che stava in prima pagina.
Dave guardò fissò l’uomo di fronte a lui.
Non riusciva a non pensare che si erano fatti giocare da Foyet che non conoscevano, era parso solamente una vittima. E lui non voleva pensare che l’affetto che provava per il ragazzino spaventato che si ricordava decenni prima lo portasse a sottovalutare qualsiasi segnale.
Ma davanti a lui non c’era un ragazzino, c’era un uomo con una domanda.
E non aveva distolto lo sguardo da lui nemmeno per un istante.
Impossibile mentirgli.
“Esattamente per quello che pensi. Ma avrei preferito non pensassi…”
“…che mi reputeresti capace di un assassinio? Troppo tardi, era meglio se me le facevi al telefono le domande. Ti saresti risparmiato il viaggio.”
“Sam… dov’eri tre giorni fa, verso le 22.”
“Non so se devo rispondere, potrei ficcarmi nei guai in assenza di un alibi, e non immaginavo me ne servisse uno. Forse dovrei chiamare un avvocato.”
“Non sei in arresto e non sono qui in veste di agente, sono tuo amico e spero di sbagliarmi.”
“Ti sbagli. Io non c’entro niente. Tre giorni fa verso le 22 ero impegnato, ma la mia unica testimone è mia moglie, temo potrebbe non essere attendibile in quanto tale, vero?”
Un involontario sospiro di sollievo distese le spalle di Dave, si fidava, voleva credergli.
Ma aveva ragione, sua moglie come alibi non era un granché, sarebbe stato meglio se fossero stati a cena fuori, in presenza di testimoni.
Ma rimanevano le altre tre città.
“Sam, ci sono stati altri delitti.”
“Lo so ho letto il giornale, quello che mi incuriosisce e sapere come mai hai pensato a me, insomma ci saranno decine di persone che girano per le medesime città.”
“Sui giornali cosa dicono degli omicidi?”
“Uccisi con un colpo di arma da fuoco.”
“Un fucile per la precisione.”
“Uh… inizio a capire, fammi indovinare: alla gola?”
“Era meglio se non indovinavi, ma sì. Alle conferenze a cui sei stato…”
“… quando terminavano me ne rientravo a casa, niente prenotazione in albergo o altro, viaggiavo di notte.”
“Dannazione!”
“Dave? Ma credi veramente che mi sia messo a giustiziare la gente? Pensavo che un po’ mi conoscessi.”
“Sai come si dice: non si conosce mai veramente nessuno fino in fondo.”
“Dimmi che è ironia targata Rossi. Non ho ucciso nessuno, l’unico fucile che possiedo è quello che a volte dobbiamo usare per iniettare l’anestetico. E non spara da almeno sei mesi. E se posso faccio a meno di prenderlo in mano, tranne che per la manutenzione per tenerlo in funzione.”
“Io ti credo, va bene? Ma sicuramente finirai tra i sospettati, ci metteranno poco a… Sam? Che ne è stato di Julie, la hai più sentita?”
“No, ci siamo persi di vista.”
A Dave venne un colpo.
Così concentrato a pensare a chi materialmente aveva sparato, da scordarsi che erano in due e che la seconda poteva aver reagito allo stress in modo diverso.
Doveva chiedere a Penelope dove poteva essere quella donna oggi.
Vide Sam scuotere la testa.
“Che c’è?”
“Se non sono io è lei? Andiamo, ci avete fatti seguire da degli psicologi per anni, non credi che qualche disturbo si sarebbe manifestato già da un pezzo?”
“Sam, ognuno reagisce allo stress in modi e tempi differenti, e se non hai più avuto contatti non puoi sapere come sia andata la sua vita finora.”
“No, non posso, ma dubito che sia passata da pacifista convinta, che non ammazzava nemmeno le zanzare ad omicida seriale.”
“Nemmeno le zanzare? Sul serio?”
“Quasi, va bene forse le zanzare le uccideva senza pietà, ma dubito oltre. Odiava le armi, più di me.”
“Era solo una bambina, quando la conoscevi tu.”
“Non mi importa, non è stata lei.”
“Cosa ti rende tanto sicuro?”

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Edited by rabb-it - 13/8/2010, 16:03
 
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view post Posted on 29/7/2010, 14:16




Capitolo 21


“Sicuro non ci sia altro?”
“Sì, per risalire alle vittime e ai loro precedenti in tutti e quattro i casi solo queste erano le strade.”
Hotch era con Reid davanti all’ipotetico profilo, e tutte le strade avevano in comune uno studio legale. Su cui era meglio indagare.
Squillò il cellulare. Era Dave.
“Ciao, novità?”
“Ciao, ha un alibi per l’ultimo delitto, sarà imbarazzante verificarlo, ma gli credo. Sugli altri non può era in viaggio per rientrare a casa, in auto, mi serve Garcia.”
“Sanno già del vecchio caso, chiamala e dalle i dettagli che ti servono per la ricerca.”
“Sanno tutto?”
“No.”
“Farò controllare anche Julie Green, non ho minimamente pensato a lei.”
“Quando pensi di raggiungerci?”
“Pensavo di dirigermi nella città del primo omicidio, per vedere se trovo qualcosa.”
“Va bene, mando Morgan e Prentiss sulla seconda e vado con Reid alla terza, JJ terrà a bada la stampa, sperando che non ci sia un quinto delitto.”
“Sarebbe utile se la smettessero di scarcerare certi individui.”
Hotch non rispose all’ovvietà del collega, era veramente difficile non pensare che forse lo si poteva lasciare fare, cercava di ripetersi la frase di Gideon.
“Vorrebbe dire che è stato il soggetto ignoto ad entrare nella mia testa e non io nella sua, e questo non va bene.”
“Hotch tutto bene?”
Era stata JJ a parlare, lo aveva visto assentarsi di nuovo. Ed era al telefono, cosa gli stava succedendo?
“Sì, sto bene. Devo solo… recuperare concentrazione.”
“Sai continuo a domandarmi, e se uno di questi vermi che ora noi stiamo cercando di salvare un domani dovesse fare del male ad Henry. Li facevo anche prima di essere madre certi pensieri, ma ora Henry non è più solo un ipotetico figlio che avrei potuto avere un giorno, è il mio bambino e farei qualsiasi cosa per difenderlo. Non riesco ad essere obbiettiva.”
“Ti capisco, ricordo che quando Jack era appena nato la mia paura maggiore era che tu ci presentassi un caso che coinvolgeva bambini, ma poi è successo ed abbiamo lavorato comunque. Dobbiamo farlo. Grazie JJ.”
“E di cosa?” Sorrise la donna. Che aveva colto benissimo lo stato d’animo del suo capo.
Lo vide trasalire.
Poi prendere il telefono e chiamare in fretta qualcuno.
“Garcia controlla se Julie Green ha avuto un figlio nell’ultimo anno.”
“Stavo appunto facendo una verifica proprio su di lei, come mi è stato chiesto da Rossi, e sì: è diventata madre l’anno scorso, una bambina. Ma come lo sapevi?”
“Una madre farebbe qualsiasi cosa per difendere il proprio figlio. Verifica dove stava nei giorni dei delitti.”
“Hotch, non poteva stare da nessuna parte. È in coma dal momento del parto a causa di un aneurisma.”
“Dannazione, un altro vicolo cieco.”
Hotch e JJ misero al corrente gli altri di quello che avevano scoperto.
Emily pose una domanda.
“Abbiamo pensato al marito di Julie? Voglio dire lei gli avrà detto qualcosa di quello che le era capitato, forse lo stress di seguire la moglie in coma ed una bambina piccola…”
“Se segue la moglie e la figlia difficilmente ha tempo per organizzare una cosa complessa come controllare le scarcerazioni.”
La interruppe Derek.
“E se non agisse da solo?”
Ad Hotch continuava a venire in mente la particolarità della ferita.
Uno sparo in gola, soffocare quegli uomini nel loro stesso sangue, era una firma.
Mandò Derek ed Emily nella seconda città come detto a Dave e si diresse con Reid nella terza, lasciando JJ alla stampa.
Sapeva che se la sarebbe cavata, ma mentre usciva non riuscì a fare a meno di pensare che nei prossimi casi la sua assenza sarebbe pesata come un macigno, come era successo mentre era a casa in maternità, ma da quella sarebbe rientrata, era stata una cosa breve, ora sarebbe stato un addio.
E non gli piaceva la cosa, per niente.

continua...

Capitolo 22




“Niente, è solo una sensazione.”
Quello aveva risposto Sam a Dave quando gli aveva chiesto come mai era tanto sicuro dell’innocenza di Julie.
Anche lui a volte si affidava a delle sensazioni, e in quel momento aveva la netta sensazione che Sam gli stesse nascondendo qualcosa. Ma non aveva modo di andare a fondo, una volta parlato con la moglie di Sam, il colloquio imbarazzante cui aveva accennato ad Hotch, si diresse dove era stato commesso il primo delitto, mentre aspettava le informazioni che aveva chiesto a Garcia.
Aveva trovato un pieno di carburante fatto con la carta di credito da parte di Sam che lo posizionava ben distante dal luogo del secondo delitto, quindi lui non era.
Julie non poteva essere; il destino, o chi per lui, sembrava avere qualcosa contro quella giovane donna. Non bastava il trauma che aveva subito da bambina, no ci voleva anche l’accanimento .
Aveva ragione Pennac: Se Dio esiste, sarà bene che abbia una buona scusa.

“Niente, per il momento non abbiamo novità rilevanti da riferirvi.”
Era stata la risposta di JJ all’ennesimo giornalista che insisteva per avere maggiori dettagli sulle indagini.
La squadra al completo era sparpagliata, come mesi prima.
A lei non restava che aspettare notizie, aveva contattato il marito di Julie Green, che stava per arrivare a parlarle, dovevano sapere cosa sapeva di quello che era capito alla moglie quando era bambina.
Spero che non sia lui, per la moglie, per la bambina. Ma dobbiamo esserne certi.

“Niente, non sono state rilevate impronte utili per un identificazione.”
Aveva detto Reid leggendo il rapporto sul caso mentre stavano guardandosi intorno nel vicolo dove era stato ritrovato il corpo della seconda vittima.
“Lo so, volevo controllare una cosa.”
Hotch raggiunse la strada, da dove era non poteva vedere Reid, che si era messo esattamente dove l’uomo era caduto quando era stato colpito.
Osservò i palazzi che circondavano la zona, possibile che nessuno si fosse affacciato quando avevano sentito lo sparo?
Tutti con la televisione o la radio ad alto volume, o menefreghismo? Forse non voglio sapere la risposta. Nemmeno i miei vicini si sono accorti di quello che era accaduto a me, e c’era stato uno sparo ed una lotta. Strano pensare che non avessero sentito niente.

“Niente, cosa potevamo sperare di trovare?”
“Non lo so, ma si doveva tentare.”
Emily era scontenta quanto Derek della strana situazione, avevano molti elementi in mano per un profilo, ma c’era qualcosa che ancora non tornava.
Tutti gli uomini sono stai portati in vicoli nascosti, cosa spinge una persona a fidarsi di un estraneo fino a seguirlo in un vicolo.
No… non può essere! È troppo orribile anche solo pensarlo.
“Derek? E se usasse un bambino come esca?”
“Dici che potrebbe usarlo per attirarli qui, poi li uccide, avendo la conferma che sono pronti a farlo ancora.”
Non è migliore di loro. Ma lo sapevamo già.

Niente, i dati sullo schermo erano chiari. Penelope continuava a cercare.
Non c’era niente che collegasse le vittime, reati a parte.
Non si conoscevano, non erano stati nelle stesse carceri, solo quello studio legale era il punto in comune, ma erano stati avvocati diversi lo studio aveva molte filiali, a seguire le varie pratiche.
Come trovare dei punti di contatto? Come ha fatto l’SI a scoprire tanto su di loro?

Continua...

Capitolo 23



Loro non potevano fermarlo.
Sapeva che sarebbero arrivati con le domande.
Non potrò continuare a lungo, ma un ultimo bersaglio ancora.
Un altro colpo di fucile e non sarebbe importato il poi, una volta raggiunto il suo scopo.
Un verme in meno.
Avrebbero capito troppo tardi dove cercare, e cosa.
Non mi fermeranno!
Quelli erano i pensieri nella mente dell’unsub che stava pulendo con cura un fucile, lo aveva smontato e ne stava lubrificando le singole componenti, smontare e rimontare, non era difficile, quando sapevi come farlo.
Inserì le pallottole, un sonoro clack risuonò nella stanza, quando fece scattare l’arma.
Era tempo di agire. Prima che capissero. Ora.

Rossi ispezionò la prima scena, parlava al telefono con Garcia di quello che la donna aveva trovato sui dipendenti di quello studio legale.
Nessuno con precedenti, o con storie di abusi alle spalle, ma sapevano bene che non tutte le vittime denunciano i loro carnefici e sono anche quelli che imparano meglio a fingere che non sia successo niente.
“Qualsiasi riferimento a nostri conoscenti ed amici è puramente casuale.”
E lo donna non gli chiese se stava parlando del suo amico, o se si riferiva a Derek; era meglio non approfondire certe volte. Forse si riferiva ad entrambi, forse a nessuno dei due ed era veramente solo un discorso generico.
“Vorrei capire quale può essere il legame, che deve essere qui, davanti a me. Un momento!”
“Che succede?”
“Uno dei segretari dello studio della seconda città ha cambiato nome. E lavora nell’altro ora, nell’ultima città.”
“E negli altri due? C’è stato per qualche ragione?”
“Aspetta… era stato nella prima proprio lo scorso anno, aveva sostituito una collega in maternità.”
“Julie!”
“Esatto… poi ha cambiato nome ed è prima andato nella terza, per due settimane in prova.”
“E infine nell’ultima! Forse lo abbiamo trovato.Controllami una cosa per favore.”
“Cosa?”
Sentì l’esitazione nella voce dell’agente. Poi la richiesta.
“Verificami se ha qualche contatto o parentela con Sam, so che mi nasconde qualcosa, ma non capisco cosa.”
Era tentata di chiedergli come mai non lo aveva messo alle strette, ma poi si disse che non doveva essere facile quando conosci uno dei sospettati e non vuoi crederci.
Ricordava come l’aveva ripugnata fare ricerche su Derek anni prima, non doveva essere meglio per Rossi sospettare di una persona a cui era affezionato.

Hotch ricevette sul cellulare gli aggiornamenti di Garcia, chiamò Derek ed Emily per metterli al corrente, era meglio andare subito a prenderlo, prima che capisse che erano sulle sue tracce.
Non era ancora chiaro come mai avesse scelto proprio quel modus operandi.
Forse avrebbero capito quando lo avessero avuto di fronte.
Ma in casa non c’era.
C’erano però i suoi effetti personali.
E una fotografia, Julie Green che sorrideva mentre scompigliava i capelli ad un ragazzino, che non voleva essere fotografato e distoglieva lo sguardo.
La foto era pulita come ogni cosa in quella casa, un piccolo appartamento con camera da letto, salottino con angolo cottura e bagno.
Chi era il ragazzino della fotografia? Era lui o era qualcuno a lui caro?
E soprattutto: dove era andato adesso?
Continua...

Capitolo 24



“Adesso posso andare?”
L’uomo aveva guardato impaziente JJ al telefono ed appena lei aveva riagganciato le aveva fatto la sua domanda.
Aveva passato l’ultima ora a rispondere alle sue domande, la donna gli era parsa molto gentile e partecipe della sua situazione, l’aveva vista intenerirsi davanti a sua figlia che gorgheggiava nel passeggino, ma era stata anche implacabile e decisa nel porre le domande.
Sapeva bene su cosa stavano indagando, era su tutti i giornali.
E le aveva detto quello che lui sapeva, sì era al corrente della tragedia accorsa a sua moglie quando era piccola, ne avevano parlato, lo aveva superato e no, lui non si era messo a fare il vendicatore solitario, aveva una bambina di cui occuparsi non avrebbe mai corso il rischio di farle perdere anche il padre.
Le sue risposte parevano averla soddisfatta, stava per congedarlo ed ecco una telefonata, gli aveva chiesto scusa e domandato di aspettare un momento, e si era messa a parlare con quello che sembrava essere un collega.
Lei rinnovò le sue scuse e gli chiese se aveva mai conosciuto un certo Ronald Hunt.
“Certo che conosco Ronnie, è mio cognato.”
“Cognato?”
“Una specie, Ronnie è stato affidato per alcuni anni ai genitori di Julie, non lo hanno adottato, ma lui e Julie sono rimasti in contatto e lei lo ha sempre considerato un fratellino minore. No senta, lui… No, non può essere.”
“Sapeva cosa era accaduto a Julie?”
“Lo ha saputo lo scorso anno, mi ha sentito parlare con la persona che era con lei quando è successo tutto. Sembrava tranquillo, un po’ scosso, ma tranquillo.”
“Ha parlato con Sam Richards?”
“Sì, lei voleva sapere come stava, e io l’ho rintracciato. Poco prima che lei entrasse in coma è venuto a trovarci e si sono parlati. Julie voleva sapere una cosa.”
“Cosa?”
“Ecco… non ho capito molto bene.”
“Dobbiamo sapere cosa si sono detti Sam e Julie, qualcosa che deve aver sconvolto suo cognato.”
“Io non sono certo di aver capito cosa si siano detti, lei gli ha chiesto se era stato lui a farlo, lui ha detto solo che non aveva importanza. Allora lei ha insistito dicendogli che voleva essere sicura di ringraziare chi le aveva salvato la vita e permesso di diventare madre. E lui ha semplicemente fatto segno di sì con la testa, ma non ha più parlato. Tranne prima di salutarla. Non sono certo di aver inteso, e non voglio mettere Sam nei guai.”
“Lo ha più rincontrato?”
“No.”
“E suo cognato?”
“Mi ha sentito parlare con lui quando lo stavo salutando, e ha colto il dettaglio del fatto che grazie a lui Julie non era stata violentata, ho dovuto spiegargli. Non ho avuto tempo per vedere come l’avesse presa, pochi giorni dopo condizioni di mia moglie si sono aggravate e lei e la piccola hanno assorbito tutte le mie attenzioni.”
“La ringrazio, ora la lascio andare, se dovessi ancora aver bisogno…”
“…ha il mio numero, chiami pure, ma spero che vi sbagliate su Ronnie.”
JJ non rispose, doveva ancora chiarire alcune cose, anzi la squadra doveva farlo, ma era fin troppo facile unire i vari fatti. E quelli inchiodavano Ronnie.
E mettevano Sam in una posizione quantomeno curiosa.
Perché non ha detto a Dave che il marito di Julie era al corrente dei fatti?
E perché dire che aveva sparato lui, i rapporti parlavano di un solo colpo sparato da Rossi.
Dave… cosa nascondi?

Dave era alle prese proprio con quello che aveva cercato di tenere nascosto.
Aveva raggiunto Hotch e gli altri all’abitazione di Ronald Hunt, poi Torrence.
Garcia aveva scoperto che Torrence era il cognome della madre dell’uomo, mentre Hunt era stato il nome della prima famiglia che lo aveva avuto in affidamento, sul padre ancora nessuna notizia, ma stava cercando.
I Green erano stati gli ultimi ad occuparsi di lui prima della maggiore età, e i soli con cui avesse tenuto dei contatti, la sua sola famiglia era Julie. E quello che le era successo doveva averlo sconvolto in qualche modo.
Aveva anche scoperto che il solo legame tra Sam e Ronnie era sempre lei, Julie.
Stava mettendo Hotch al corrente di quanto scoperto, e lui aveva chiamato JJ per dirle di chiedere al marito di Julie se conosceva Ronald.
Quando aveva riagganciato Derek aveva chiesto a Dave cosa gli faceva sospettare di Sam, che sì aveva visto uccidere un uomo, ma gli pareva poco per essere sospettosi.
E Dave gli aveva spiegato cosa non c’era nei rapporti dell’efbiai.
Derek rimase senza parole, aveva capito che Rossi e Hotch nascondevano qualcosa, ma non immaginava una notizia del genere, perlomeno non da uno come Hotch.
Non si conosce mai qualcuno fino in fondo.
Mentre l’uomo rimuginava Hotch si rivolse a Rossi e gli domandò come Sam avesse preso le sue domande.
“Penso che – deluso - sia il termine più adatto. Non credo potrò tornare a trovarli molto presto.”
Continua...


Capitolo 25



Presto arriverà. Esattamente come gli altri quattro.
Si aspetta di trovare una preda ed invece troverà una pallottola. Non meritano pietà.
Nessuno di loro ne merita. Nessuno.

L’uomo fece un ultima verifica al fucile che teneva in mano.
Era pronto.

Derek aveva messo il computer, trovato nell’appartamento, a disposizione di Garcia, lei lo stava scandagliando in remoto da Quantico alla ricerca di qualcosa che li mettesse sulle tracce di Ronald.
E trovò qualcosa, un indirizzo mail tramite il quale Ronald aveva contattato le sue vittime.
Presentando loro un ragazzino.
Derek fissò Emily.
“Avevi ragione.”
Lei guardò le mail trovate da Garcia e la foto del ragazzino.
“Quasi, non usa un bambino come vittima, usa sue fotografie di quando era piccolo.”
Gli disse indicando la fotografia di lui che avevano visto appena entrati.
“Almeno quello… un bambino come ulteriore vittima non avrebbe collimato con il profilo di giustiziere a chi fa loro del male.”
“Non è cambia molto le cose, sapevamo che uccide chi considera colpevoli.”
“Almeno sappiamo che tende loro una trappola, guarda… le mail non sono solo alle quattro vittime, alcuni lo hanno coperti di insulti e minacciato di denunciarlo.”
“Avrebbero dovuto farlo.”
“Sei appena uscito di prigione ed un tale ti manda fotografie di un bambino, sicura che la prima reazione sia correre alla polizia?”
“Forse no. Insomma fa dei test in cui mette alla prova gli ex carcerati, se questi accettano è la loro condanna a morte.”
“L’ultima mail inviata?”
Chiese Derek all’informatica che stava seguendo interessata lo scambio tra i due profiler.
Lei mostrò l’ultima.
Poi uno dei suoi schermi mandò un bip e si aprì una scheda.
“Ho trovato il padre di Ronald, ragazzi non ci crederete.”
“Garcia, il nome.”
Quando lo sentirono gli agenti si guardarono tra di loro consapevoli finalmente di aver scoperto cosa aveva fatto scattare Ronald. Dopo tutto quel tempo.
“E poi dicono che le coincidenze non esistono.”
Scappò detto a Rossi.
“Dobbiamo scoprire dove si incontrerà con la prossima vittima, ho il sospetto che non sia scappato, ma che stia solamente portando a termine una specie di incarico.”
“E visto il padre non sorprende. Che avesse molestato anche lui?”
“Probabile.”
“Non è detto, la madre se ne andò con il figlio quando lui era ancora molto piccolo, potrebbe averlo salvato.”
“Non del tutto…”
“… no non del tutto.”

JJ intanto era alle prese con alcuni giornalisti.
“Avete novità sul caso del giustiziere?”
“Gli lascerete fare il lavoro sporco al posto vostro ancora per un po’?”
“Perché non siete intervenuti prima?”
E quelle erano solo le domande più facili.
Quelle per cui un semplice:
“Non abbiamo novità. Deve essere fermato. Siamo intervenuti quando ci hanno contattati.”
Aveva sistemato i primi, ma poi partivano con le illazioni su precedenti casi, su insabbiamenti.
E lì era difficile.
Sapeva come mai Hotch l’aveva voluta in squadra, per proteggere Rossi se fosse saltata fuori la verità su quel vecchio caso.
Perché era ovvio che Dave aveva mentito riguardo a quello che era capitato a Sam e a Julie, ma si fidava di Hothc, se lui copriva Dave doveva avere delle ottime ragioni.
Che si sarebbe fatta spiegare una volta finita quella storia.
Vide arrivare i suv dei colleghi, aspettò che scendessero e li seguì mentre entravano negli uffici della polizia, avevano un nome da controllare e da trovare, e capire dove si erano dati appuntamento Ronald e l’ultima sua vittima.
Sulle mail non era mai specificato, il luogo dell’appuntamento veniva segnalato con un biglietto lasciato in qualche bar e simili, niente telefonate rintracciabili, niente mail.

Al bar in questione erano andati Derek ed Emily, per vedere se il barista aveva notato qualcosa, o magari letto.
Niente, si era fatto gli affari suoi.
Per una volta che mi serviva un impiccione.
Pensò Derek.
Lui ed Emily perlustrarono i paraggi del bar con la squadra SWAT, avevano il sospetto fondato che potesse essere un posto nei paraggi.
Ma la ricerca non ebbe l’esito sperato. Raggiunsero gli altri alla centrale.
Vennero ragguagliati sulle domande della stampa.
Poi il capitano della polizia andò da loro.
“Abbiamo ricevuto una chiamata, un uomo ha notato un tale armeggiare con un fucile a questo indirizzo.”
Disse porgendo ad Hotch un foglietto. Poi aggiunse:
“Ho mandato là due pattuglie, mi hanno detto di averlo visto fuggire quando li ha visti, la descrizione combacia. Lo stanno inseguendo.”
Hotch fissò l’uomo per alcuni istanti prima di sbottare:
“E COSA ASPETTAVA A DIRCELO?”
I colleghi trasalirono davanti alla reazione di Hotch. Non era tipo da mettersi ad urlare.
L’uomo riprese immediatamente il controllo, e si scusò per aver alzato la voce.
Si diressero dove era stato segnalato l’ultima volta Ronald, o almeno l’uomo che corrispondeva alla sua descrizione.
Mentre cercavano di capire dove si fosse nascosto, sentirono chiaramente il rumore di un colpo di arma da fuoco a pochi metri dalla loro posizione.
Senza por tempo in mezzo corsero nella direzione dello sparo.
Una volta raggiunto il vicolo videro Ronald che teneva stretto il suo fucile.
Davanti a lui un uomo steso a terra, probabilmente morto.
“GETTI IMMEDIATAMENTE L’ARMA A TERRA!”
Era quanto stavano gridando all’uomo che pareva sorpreso per la reazione delle forze dell’ordine.
“Era necessario, cinque per cinque. Ora ho finito.”
E mise l’arma parallela al suo corpo, con la canna puntata sotto il mento, pronto a fare fuoco.
“Sappiamo di tuo padre, non devi finire come lui. Tu non hai colpa di quello che ha fatto.”
“Ma ho ucciso. Devo comunque pagare.”
“Non così. Pensa a Julie, cosa penserà se ti uccidi? Che lei per te non ha fatto niente.”
“Lo penserebbe lo stesso, non sarebbe di certo fiera di me.”
“Non lo so, hai letto i giornali, hai protetto i bambini, lei te ne sarà grata.”
“No, non lo sarà, lei odiava la violenza. Ha sempre detto che la violenza ne genera altra, non avrebbe mai fatto quello che ho fatto io.”
“No, non lo avrebbe fatto, ma se avesse saputo di tuo padre avrebbe capito, perché dovevi farlo. Metti giù il fucile.”
“No, non avrebbe capito.”

Continua...

Capitolo 26

“Capito!”
“Sicura? Io stesso facevo fatica a raccappezzarmici. Era un puzzle troppo complicato.”
“La cosa che mi sconvolge è che tutto si sarebbe potuto fermare se uno solo dei pezzi del puzzle non avesse combaciato.”
“Una serie sfortunata di coincidenze, Ronald che era profondamente disgustato da alcuni dei dossier che gli capitavano tra le mani, e l’idea di farne arrestare alcuni se cadevano nella sua trappola.
Julie che si ammala, lui che poco tempo dopo scopre chi era suo padre, e l’arresto che non gli basta più.”
“Il padre gli aveva insegnato a maneggiare le armi, vero?”
“Sì, fin da piccolo.”
“Ma il cambio del cognome, è stato quando ha scoperto chi era suo padre, giusto?”
“Sì, credeva che gli Hunt lo avessero adottato alla morte della madre, invece era uno zio, fratello del padre e lui non voleva avere quel cognome.”
“Ma perché suo zio non gli ha detto la verità?”
“Per la stessa ragione del nonno di Matt Spicer, quando gli nascose che i suoi erano stati assassinati, per non sconvolgerlo dicendogli chi era il padre, come genitore adottivo poteva dirgli che non sapeva chi fosse, come zio, era ben difficile che non lo sapesse.”
Garcia fisso a lungo Derek, sapeva quanto la morte di Spicer lo avesse lasciato sconvolto, era la prima volta che ne parlava riferendosi ad un caso.
“Ma perché poi lo hanno mandato nella casa famiglia, dove lo hanno trovato i Green?”
“Suppongo che temessero di non riuscire a tenere il segreto.”
“Così lo hanno abbandonato, senza un passato, senza le sue radici.”
“Un comportamento detestabile, ma forse credevano di fargli un favore.”
“Poveretto, non riesco a non provare pena per quello che deve aver passato, so bene che ha ucciso ed è sbagliato, ma… non riesco a non pensare anche a chi ha ucciso, gente pronta a fare ancora del male a dei bambini.”
“E se invece avesse ucciso qualcuno che come lui voleva far arrestare uno schifoso?”
Garcia si porto le mani al volto.
“L’ultima vittima.”
“Esatto, la chiamata anonima alla polizia sull’uomo armato era arrivata proprio dal telefono della sua ultima vittima, voleva farlo arrestare… non immaginava che era finito nella rete del giustiziere.”
“Ma ne parlavano tutti i giornali? Come faceva a non sospettare?”
“Suppongo che non pensasse che mettesse alla prova le vittime prima di ucciderle, deve aver pensato di dare una mano al giustiziere.”
“Ed invece… però era stato in carcere per pedofilia?”
“No, era stato accusato, ma prosciolto. L’ultima vittima era una brava persona, che non ha pensato che era meglio rivolgersi alla polizia e segnalare la mail, temeva che lo avrebbero accusato di nuovo.”
“Oddio…”
“Già, Juile aveva ragione, la violenza genera solo altra violenza.”
“Cosa gli accadrà ora?”
“Verrà processato per i cinque omicidi, il suo avvocato si appellerà ad una probabile seminfermità mentale dovuta allo stress per le cose che aveva scoperto su suo padre, e l’accusa calcherà la mano sull’ultima vittima, perché la pietà della giuria per le prime quattro sarà quasi assente.”
“Reid mi ha detto che sei stato tu a convincerlo a mettere giù il fucile, quando era praticamente pronto a spararsi.”
“Già, spero di non dovermene pentire un giorno.”
“Hai fatto la cosa giusta.”
La donna gli mise una mano su una spalla, lui la abbracciò posandole un bacio in fronte.
Erano rientrati e come prima cosa lui era andato da Garcia a sfogarsi.
Quando parlarono di Julie e del suo coma gli era difficile non pensare a quello che Penelope gli aveva detto quando si stava rimettendo dal suo.

Circa un mese fa…
Era più di un mese faceva terapie, la parola era tornata, anche se a volte incespicava ancora se era molto agitato, lo avevano dimesso e stava recuperando autonomia anche in casa sua, Reid era passato in ospedale a scusarsi di averlo spinto.
Lui gli aveva detto che manco se lo ricordava.
Penelope, JJ ed Emily erano le più assidue, nelle visite.
JJ portava Henry con se quando passava, così era impossibile per lui farle domande di lavoro, non si parla di quello che vedevano sul lavoro davanti ad un bambino di quasi due anni, sono dei piccoli registratori di tutto quello che gli capita intorno a quell’età.
O almeno era quello che gli diceva JJ quando lui le domandava qualcosa.
“No, dai, Henry è nell’età in cui inizia a ripetere tutto quello che sente, evitiamo che senta brutte cose, va bene?”
Lui sospettava che non fosse proprio vero del tutto, ma non voleva rischiare di traumatizzare il piccolino.
Stesso ragionamento quando passava Hotch. Rigorosamente con Jack, cosa anche logica visto che per lavoro stava fuori spesso almeno quando era in libera uscita lo teneva sempre con se.
Ma Hotch era passato una, forse due volte, niente in confronto alle visite quasi giornaliere di Penelope.
“Kevin rimpiangerà che io mi sia mai svegliato dal coma, se continui a passare a trovarmi.”
“Non dirlo nemmeno per scherzo! Kevin sa che ti voglio bene e… alla sua gelosia penso io… confesso che mi spiacerebbe se non lo fosse nemmeno un poco.”
“Davvero bambolina, non voglio causarvi problemi, sto molto meglio davvero.”
“Sai qual’era la cosa peggiore mentre eri la in quel letto incosciente?”
“Quale?”
“Quando ho scoperto che avevi lasciato per iscritto che se il coma durava a lungo, se fosse peggiorato, non dovevano rianimarti nel caso avessi avuto un arresto cardiorespiratorio. Tremavo alla sola idea che ti lasciassero morire.”
“Sono qui e sto bene. Quella cosa è… un assicurazione, di non finire i miei giorni attaccato ad un respiratore.”
“Quando lo hai fatto?”
“Anni fa, quando andai ad assistere un collega a cui avevano sparato alla testa, la moglie e i bambini passavano ogni giorno a trovarlo e lui era là… senza nessuna speranza di ripresa.
Era uno stato vegetativo. Non respirava autonomamente.
Un giorno chiesero alla moglie se potevano staccare il respiratore.
Fu straziante, se lui avesse lasciato indicazioni lei avrebbe solo dovuto far eseguire la sua volontà e non sarebbe toccato a lei decidere, anche se sapeva cosa suo marito avrebbe voluto.”
“E tu hai lasciato le indicazioni per un tuo eventuale incidente…”
“… non voglio costringere nessuno a dover scegliere per me.”
“Io ero atterita, se il coma fosse diventato più profondo se…“
“…Hey sono qui”
“Uno dei giorni in cui eri ancora grave mi ricordo che sentii Reid lamentarsi con uno dei medici che la situazione non stava cambiando e che era ancora come il giorno precedente. Gli urlai di smetterla di farsi sentire mentre lo diceva. E griadi a te di non ascoltarlo. JJ mi fece uscire dalla stanza, dovevano farti un elettroencefalogramma per verificare le reazioni cerebrali e mi sentivo morire.”
“Ah… ecco spiegato…”
Si bloccò preoccupato di cosa stava per dire.
“Cosa?”
Quella era Penelope avrebbe capito. Ne era certo.
“Mentre ero in coma, ecco io… ebbi una serie di incubi. In cui io ero legato su una specie di lettiga e qualcuno mi tormentava. Una volta sentì chiaramente la tua voce gridare proprio quelle parole.
E poi lampi di luce. Era l’elettroencefalogramma.”
“Chi era a darti il tormento?”
Un po’ vergognoso di quello che stava per dire l’uomo si fece coraggio.
“Reid, per quello ero sconvolto quando al mio risveglio sembravate tutti convinti che fosse stato solo un incidente.”
“Ah ecco perché Reid disse che lo avevi guardato in cagnesco al risveglio. Non era solo per lo spintone…”
“…spintone che io non rammento!”
“Eri furibondo perché ti aveva tormentato.”
La donna mise una mano davanti alla bocca per trattenere un eccesso di risa.
“Ehy, che ti ridi?”
Ma nel dirlo stava ridendo anche lui, all’idea di Reid che effettivamente lo aveva tormentato per tutta la settimana.
Solo non come ricordava.

Continua...

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Capitolo 27



Ricordava ogni cosa.
Era tutto lì davanti a lui. Il carcere a vita lo attendeva, probabilmente anche una serie di psichiatri a scandagliare la sua mente per capire cosa fosse scattato, per giustificare gli omicidi.
All’inizio pensava con gratitudine dell’agente che lo aveva fermato, ma era prima.
Prima di sapere.
Prima di capire che una delle persone da lui uccise voleva fare quello che si era ripromesso lui quando aveva iniziato a raccogliere informazioni dagli schedari dove lavorava.
Come ha fatto a sfuggirmi quel dettaglio? La fretta, ho letto solo che era prossimo alla scarcerazione e non ho badato a tutto l’insieme.
E la gratitudine se ne era andata.
Era meglio se mi avesse lasciato morire.
Ora sarebbe dovuto vivere con il senso di colpa.
Poteva farcela per quello che riguardava le prime quattro vittime, sapeva che il suo avvocato gli avrebbe consigliato di dimostrarsi pentito per tutti i suoi delitti, ma lui si pentiva solo dell’ultimo.
Era l’unico vero senso di colpa.
Ricordava come tutto era iniziato. Una mail mandata per errore, una minuscola al posto di una maiuscola e una delle sue fotografie della sua infanzia con Julie era finita nella casella di posta sbagliata. O era quella giusta?
L’uomo risponde che la donna non lo interessa, ma il bambino sì.
Va a controllare cosa ha scritto nella mail. Era uno dei soliti scherzi con Julie, lei gli aveva domandato se aveva qualcuna delle loro fotografie, e lui le aveva mandato quella con scritto semplicemente: Interessa il soggetto?
Non c’erano intenti malevoli, ma l’indirizzo era sbagliato.
Erano mesi che era schifato da alcuni dei casi di cui si occupavano nello studio per cui lavorava.
Aveva fatto delle indagini e scoperto che l’uomo aveva precedenti. Voleva incastrarlo.
Poi quando si stava avvicinando il momento in cui avrebbe dovuto rivolgersi alla polizia, la scoperta.
Hunt non era il cognome dei genitori adottivi, era anche il suo, quelli erano i suoi zii.
Suo padre era stato ammazzato da un colpo di fucile alla gola.
Julie era stata aggredita e per difenderla un suo amico aveva sparato all’aggressore colpendolo alla gola, forse mirava alla spalla o alla testa, non lo sapeva e non glielo avrebbe chiesto mai.
Non poteva essere solo un caso, era un segno.
Era stato allora che aveva deciso, non ci sarebbe stato arresto per una persona che era pronta a distruggere la vita di un bambino.
Indagine, sentenza, condanna.
Cinque erano state le vittime riconosciute al padre, cinque sarebbero state le persone che lui avrebbe costretto a rivelarsi per i mostri che erano.
Un mostro ucciso per ogni vittima.
Invece ne mancava uno.
Ma quello era meglio non dirlo allo psichiatra.
Avevano già abbastanza dati sui suoi disturbi senza che intuissero che per lui la storia non era ancora finita.
Se in prigione gliene fosse capitata l’occasione, non si sarebbe tirato indietro.
Ma se avessero saputo, lo avrebbero per sempre tenuto in isolamento.
Il marito di Julie gli aveva messo a disposizione un avvocato, lui aveva rifiutato, avrebbe preso un legale d’ufficio, non poteva permettere che la famiglia di Julie si indebitasse per aiutarlo, era stato perentorio.
“Occupati di tua figlia, io so cavarmela da solo.”

Solo, era così che si sentiva.
Anche quando non lo era, come in quel caso.
Stavano rientrando dall’ultimo caso.
Era stato il loro primo caso senza JJ.
C’erano state altre occasioni in cui lei non li aveva seguiti nei casi, rare, forse due.
E per ora la sensazione era di estraneità, come se non fosse ancora accaduto niente, come se nel rientro in ufficio l’avrebbero trovata per il briefing sui prossimi casi, come sempre.
Ed invece no.
Non si era ancora parlato di un nuovo addetto alle comunicazioni con la stampa, per ora svolgevano lui e Rossi l’incarico lasciato vuoto, cercando di non pensare che lei se la sarebbe cavata molto meglio. Era naturalmente portata per la diplomazia.
Il talento non lo impari, è innato.
E lei in quel campo era la migliore.
Reid era di fronte a lui, pareva perso nei medesimi pensieri, ma non osò far domande.
Ognuno di loro era affezionato in maniera diversa a JJ, per tutti loro l’assenza aveva avuto un peso.
Forse per Reid maggiore che per altri, era stato a lei che si era confidato dicendole che aveva fatto del male a Derek, e gli aveva permesso di capire cosa forse era accaduto prima di ritrovarlo a LasVegas.
Derek li raggiunse con dei caffè per tutti.
Spesso nei rientri si mettevano ognuno per conto proprio, lui a sistemare i rapporti, Derek ad ascoltare musica, Reid magari faceva qualche solitario, Emily e Rossi giocavano a carte.
Quel giorno no.
Lui era seduto nei sedili doppi, aveva a fianco Rossi e di fronte Derek e Reid, Emily era nel sedile di fianco ai loro, al di là del corridoio del jet.
Guardava Reid e Derek con un espressione serena in volto, come felice di vederli ancora insieme.
E nello stesso tempo aveva uno sguardo triste.
Spesso sedeva di fronte a lei JJ e chiacchieravano.
Quel posto vuoto e silenzioso pareva fare un baccano indicibile nella sua testa.
JJ ci manchi era stampato sui volti di ognuno.
“Avete saputo di Julie Green?”
Era stato Derek ad interrompere il silenzio.
Un cenno di diniego da parte dei presenti e lui iniziò a spiegare.
“Sembra che la terapia sperimentale a cui l’avevano sottoposta stia facendo effetto, forse potrebbe riprendersi. Anche se mi domando… io ci ho messo mesi e sono stato in coma solo una settimana, potrà tornare come prima.”
“No.”
Tutti guardarono stupiti Reid e la concisione della risposta, era la prima volta da quando lo conoscevano che non partiva per la tangente con spiegazioni sulla chimica del cervello, o al sua fisiologia per spiegare il concetto, solo un no.
“Dai Spencer, potrebbe anche farcela.”
“Non ho detto che non potrà avere di nuovo una vita normale, ho solo detto che non potrà tornare come prima.”
Sintetico. Anche troppo.
“Ehy… sono io quello che si è fatto una settimana di coma e sarebbe dovuto cambiare, mica tu? Dove hai messo Spencer Reid?”
Sorrisero tutti alla battuta, tranne il destinatario dell’ironia.
“Dai Reid, scherzavo, ok?”
“Sì… era che pensavo a quando ti sei svegliato ed ho detto a JJ che mi avevi guardato malissimo.”
“Animo… ti ho spiegato, mi ricordavo degli incubi come se fossero cose accadute.”
“Ma sì, ho capito. Incubi.”
“Però caspita se sembrava vero!”
“Ah grazie…”
“Sapete, quando morì Haley facevo spesso lo stesso sogno, salivo le scale vedevo lei a terra, scorgevo le scarpe di Foyet sbucare da sotto la tenda e facevo fuoco.
Solo che stavolta lui era morto. Niente inseguimento, niente lotta.
Però quando voltavo il corpo c’era Jack, lo teneva all’altezza del petto e con una mano premuta sulla bocca così lui non aveva potuto gridare aiuto, lo avevo ucciso.
Ed ogni volta che capitava questo incubo, per quanto razionalmente sapevo bene che Jack stava bene, dovevo accertarmene. Passavo spesso il resto della notte a guardarlo respirare e a chiedermi cosa avrei fatto se…
I primi giorni, settimane, era stato più facile, lui voleva stare con me e averlo a fianco nel lettone era utile per calmare l’ansia, ma poi quando ricominciò a dormire nella sua cameretta, mi ritrovavo ad alzarmi e lo raggiungevo, ripetendomi quanto fossi stupido.
Ed erano solo incubi.”
Derek restò stupito della confidenza, era certo che a malapena con lo psicologo addetto alle valutazioni del personale lo avesse confidato.
Doveva essersi preoccupato parecchio per lui, quando aveva saputo che credeva che Reid lo avesse torturato. Forse si spiegava meglio la sua reticenza a farlo tornare in piena attività.
Hotch colse lo sguardo stupito di Derek, non era tipo da confidenze personali, ma aveva la sensazione di essersi liberato di un peso.

Continua...

Capitolo 28



Peso, costrizione, obbligo.
Sinonimi.
Aveva bisogno di una pausa. Era passata un altro mese, nell’ultima settimana era stata assegnata loro una nuova addetta alle pubbliche relazioni della squadra.
Doveva essere presente, il capo non può assentarsi.
Ma un capo deve saper delegare e lui in quel momento doveva prendersi una pausa, era troppo che rimandava. Gli era necessaria.
Derek aveva già ampiamente dimostrato di essersi ripreso, poteva lasciargli l’incarico per qualche giorno. Aveva fatto presenti le sue intenzioni a Rossi, che gli aveva chiesto se aveva già una meta.
“Devo portare Jack a trovare una persona, ha una promessa anche lui da mantenere e me lo ha detto giusto l’altra sera.”
“Così piccolo ed ha già i suoi giri di amicizie, caspita.”
Aveva scosso la testa sorridendo dell’uscita del collega, se avesse saputo dove sarebbe andato forse non sarebbe stato così divertito, ma Jack aveva veramente qualcosa da fare. Un appuntamento preso quasi 14 mesi prima, quando c’era ancora la sua mamma.
Sapeva che doveva accontentarlo, era un piccolo legame con il ricordo di sua madre, un modo perché il suo ricordo fosse collegato a cose felici.
E in quel posto lui ed Haley con Jack erano sempre stati felici, anche dopo il divorzio.
Una settimana.
Senza pensare al lavoro, tranne forse i primi momenti, quelli delle spiegazioni.
L’ultima volta che li aveva visti, anche se non ricordava con precisione, era stato al funerale di lei, i primi momenti non sarebbero stati facili, ma sarebbero passati e sarebbero andati oltre.
Lo doveva a Jack. Ad Haley.
A se stesso.

Derek rimase di stucco, non si aspettava di nuovo l’incarico di capo, anche se solo per una settimana. Era comunque felice di poter mantenere la promessa che gli aveva fatto mesi prima.
“Se in qualche modo potrò aiutarti a passare più tempo con Jack ci sarò.”
Ecco il momento era arrivato.
Sapeva che potevano chiamarlo in caso di necessità, ma sperava che riuscissero a non disturbarli.
Era conscio e consapevole di quanto importi non solo la qualità del tempo che si passa con i propri figli, ma anche la quantità.
Sarebbero state giornate preziose per Jack, per sapere che lui non veniva dopo il lavoro.
“Andrà tutto bene, anche per la novellina, meno pressione. Potrà ambientarsi.”
“Io non le faccio pressioni!”
“Certo come no, Hotch… l’hai chiamata JJ questa mattina.”
“Ok la pausa mi serve.”
Derek temeva che la sua uscita lo facesse irritare, invece lo aveva visto divertito.
Cosa preoccupante.
Sì la pausa gli serve.
Ma era contento che l’avesse presa bene.

Uno squillo.
Un secondo, la cornetta che viene sollevata.
“Ciao, sono Hotch, mi chiedevo se io e Jack possiamo passare a trovarvi, lui mi ha parlato di una promessa che avrebbe fatto ad Elise.”
Rimase in ascolto della risposta, l’espressione seria in volto.
“No, non porterei mai Jack con me in quel caso. Ma se preferisci che non vengo capisco.”
Dall’altro capo della cornetta dovette arrivare una replica ironica, il volto si distese in un accenno di sorriso.
“Va bene, allora ci vediamo domani. Ciao.”

Continua...


Edited by rabb-it - 12/8/2010, 12:32
 
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Capitolo 29



“Ciao Jack, sei venuto!”
Con quel grido di gioia da parte di una sua coetanea vennero accolti i due Hotchner.
Aaron non se la prese per essere stato palesemente ignorato dalla piccolina, era evidente che aspettava suo figlio con ansia.
Poi la piccola alzò lo sguardo su di lui e sorridendogli lo salutò.
“Ciao, io e Jack andiamo a vedere il puledrino.”
“Calma signorina, prima diamo tempo a Hotch e Jack di riprendersi dal viaggio, il puledrino sarà ancora lì tra un oretta.”
“Ma papà… Jack è venuto apposta!”
“Lo so. Entrate, non date retta alla peste, per lei le cose vanno fatte…ieri!”
“Chissà da chi ha preso?”
“Uhm… mi appello al quinto, signor procuratore.”
Hotch scosse la testa divertito dall’ironia dell’amico.
“Non sono più procuratore da un pezzo, ma va bene accetto l’obiezione, assolto per insufficienza di prove. Ma mi riservo il diritto al controinterrogatorio.”
Vide nello sguardo dell’amico un lampo di preoccupazione alla parola interrogatorio, ed ebbe la netta sensazione che fosse bene sbrigarsi a lasciarsi tutto alle spalle.
Lui e Jack presero possesso della stanza degli ospiti, disfò i bagagli, fece cambiare il piccolo, e una volta assicuratosi che non aveva alcuna voglia di un riposino pomeridiano uscirono per raggiungere gli altri.
La moglie del suo amico arrivò con la macchina in quel momento, dal lavoro, dall’auto scese un ragazzino sugli otto anni.
Forse sono già nove ora che ci penso.
Si disse Aaron vedendo quanto era cresciuto dall’ultima volta che lo aveva visto.

Diverso tempo prima.
Avevano appena chiuso un caso, aveva dovuto confessare agli altri che non avrebbe dovuto volare, e mentre stava rientrando a Washington D.C. con la macchina si era sentito con Haley, per tranquillizzarla del fatto che avrebbe preso una pausa dal lavoro.
Lei si era subito preoccupata di sapere come stava e dov’era e le aveva spiegato del rientro non proprio veloce. E lei gli aveva chiesto se voleva stare un poco con Jack.
Era andata da dei loro comuni amici, si era fermata un paio di giorni da loro, se lui voleva poteva dirigersi lì, era di strada, e gli avrebbe lasciato Jack se aveva voglia di passare del tempo con lui.
Non gli capitava spesso di poter stare con suo figlio, e sapeva che grazie al suo lavoro sarebbero state rare certe occasioni, quindi non ebbe esitazioni ad accettare la proposta.
Quando arrivò vide Jack giocare davanti alla veranda con Elise, Joseph stava imparando ad allacciarsi da solo le scarpe e i due discoli si divertivano a tiragli le stringhe.
“Il prossimo che mi tira una stringa dovrà pulire la stalla!”
“Siamo piccoli per la stalla!”
Gli replicava la sorellina, scatenando l’ilarità di tutti i presenti.
Hotch compreso.
Lui ed Haley si salutarono, lei aveva già detto a Jack che sarebbe rimasto papà con lui e sarebbero rientrati insieme, al piccolo pareva una splendida avventura.
Haley venne salutata anche dagli altri, erano amici di entrambi e non avevano mai detto una sola parola a favore o contro uno dei due, mai. E avevano fatto di tutto per conservare quell’amicizia.
Riuscendoci.

Tornò al presente, Elise gli aveva tirato una manica.
“Adesso andiamo?”
“Certo, se per i tuoi va bene. Ciao Tania, ciao Joseph.”
“Ciao Aaron, Elise ti ha già sequestrato vedo.”
“Ciao Hotch! Anche questa mattina mentre facevamo colazione era agitatissima all’idea che stavate venendo qui.”
Sorrise alla precisazione del bambino sul caratterino della sorella, forse aveva smesso di slacciargli le scarpe, ma di sicuro non lo faceva annoiare.
Arrivò anche il padre dei due discoli in questione.
“Sarà meglio che andiamo, almeno non ci metterà fretta mentre ceniamo.”
“Sbaglio o hai acceso una griglia là dietro.”
“Non sbagli, più tardi costolette. Verdure grigliate e hamburger.”
“Papà!”
“Va bene, andiamo a vedere il puledrino.”
In occasione di quella visita Elise aveva detto a Jack che di lì ad un anno circa sarebbe nato un puledrino, dato che la gestazione dei cavalli dura circa 13 mesi, e da li a breve la loro cavalla sarebbe stata in attesa.
Il come era un dettaglio che ai bambini interessava poco, ma la piccola si era fatta promettere da Jack di tornare a vedere il puledrino.
E Jack qualche giorno prima lo aveva ricordato al padre.
Era stata l’ultima volta che Jack aveva visto lui e la madre insieme, se si esclude la visita in ospedale, decisamente quello era un ricordo migliore.
Una cosa da conservare con cura.
Temeva un po’ il momento, la percezione dell’assenza della madre ormai era evidente, e poteva anche prendere la cosa per il verso sbagliato, come quando alla cassa del supermercato il mese prima la cercava. Ma non poteva rimandare, avrebbe rivisto molte cose che avevano a che fare con sua madre, non poteva fare finta di niente.
Dovevano andare avanti.
Il puledrino si reggeva sulle lunghe zampe e li guardava curioso.
Sam prese la cavezza della madre e la fece allontanare un poco, permettendo ai bambini di sfiorare il manto del piccolo senza rischiare che lei li mordesse.
Lui si allontanò con Sam, lasciando a Tania il compito di tenere d’occhio i bambini, che parevano in estasi, Elise mostrava a Jack come carezzare la bestiola. Joseph lo dirigeva verso di loro.
Vide l’amico carezzare la giumenta.
“Ci sai fare, non sembra minimamente preoccupata per il suo piccolo.”
“Ahem… te la cavi meglio coi profili ai bipedi. Le vedi il collo? È un fascio di nervi, sta ferma solo perché si fida di me, ma non vorrebbe. Guarda la coda! Fidati è estremamente preoccupata.”
“Ah… e se decidesse di andare a riprendere il piccolo come la fermeresti?”
“Non lo farei, per quello stanno accarezzando il puledrino al di là delle sbarre, Tania mi tiene d’occhio e se mi accorgo che sta per scapparmi le grido e lei fa scansare in fretta i bambini.”
Hotch osservò la donna, effettivamente buttava sguardi ansiosi nella loro direzione.
“So che ci sei rimasto male per David.”
“Stava facendo il suo lavoro. Niente di male.”
“Come hai detto tu a fare il profilo ai bipedi me la cavo, guarda che è normale che ti sia arrabbiato.”
“Non sono arrabbiato con David. Sono solo… un po’ deluso ecco. Credevo mi conoscesse.”
“Quando al telefono mi hai chiesto se era il secondo round mi sei parso arrabbiato, sapevi che avevamo arrestato il colpevole. E poi hai aggiunto - Jack va bene, solo non portarti dietro Dave.”
“Va bene, sono anche un po’ arrabbiato. Posso smaltirla a modo mio o ci sta una qualche regola dell’Efbiai anche per quello?”
“Abbiamo regole per quasi ogni cosa, dovresti saperlo, il fatto è che… sono un po’ curioso, perché non hai detto a Dave che avevi incontrato Julie e suo marito?”
“Se dico che ero certo che marito non fosse, e sapevo che tanto lo avreste controllato lo stesso non basta vero?”
“Me lo farò bastare. Ma poteva essere considerato intralcio alle indagini.”
“Scusa, ma non è stato il cognato? Io non ci ho nemmeno parlato, arrivava quando me ne stavo andando.”
“Lo so, ce lo ha detto il marito di Julie, ma tu avresti dovuto dirci la verità lo stesso.”
“Per la serie, ora sta a vedere che è Dave ad essere arrabbiato con me.”
“Non credo… un po’ deluso magari!”
“Sai che non è per niente carino fare il verso al prossimo, vero?”
I due uomini risero e Sam fece segno alla moglie che avrebbe lasciato andare la giumenta.
Lei fece allontanare dalle sbarre i bambini che restarono a guardare il piccolino che si dirigeva deciso alla latteria.
“Doveva avere un sacco di fame.”
“E noi no?”
La domanda fu colta da gridolini di entusiasmo.
Sam prese in giro Hotch quando gli sentì dire al figlio:
“Jack cosa facciamo prima di mangiare che non mi ricordo?”
Il piccolo rispose deciso: “Ci laviamo le mani.”
E mentre lui si dirigeva in bagno Sam lo canzonò così:
“Scusa Hotch, ma se cominci già adesso a dirgli che non ti ricordi le cose, quando avrà dieci anni vorrà mandarti in una casa di riposo, alzahimer precoce.”
“Davvero spiritoso!”
Una volta che tutti si furono lavati le mani, Hotch e Sam si trovarono da soli davanti alla griglia.
Meglio finire il discorso iniziato prima. Si disse Hotch.
“Sai cosa è successo?”
“A grandi linee, da quello che dicono i giornali.”
“Posso andare nel dettaglio?”
“Fai pure, ah…fino a che non ci ronzeranno intorno certi squaletti famelici.”
“Ovviamente. Allora Ronald Hunt stava avendo un periodo di forte stess sul lavoro, voleva incastrare dei pedofili ed ha scoperto che suo padre era stato accusato di abusi sui minori, era un secondino in un carcere.
La cosa lo ha sconvolto, il padre era stato assassinato, era venuto per sfogarsi con Julie ed ha scoperto quello che vi era capitato. Ed anche il vostro persecutore era stato ucciso, da un proiettile alla gola. Nel delirio lo ha interpretato come un segno, una coincidenza che voleva dirgli qualcosa. Poi Julie si è aggravata, lui non ha mai osato dirle nulla, ed è esploso.
Il resto penso che lo sai, i giornali sono stati anche troppo dettagliati.”
Sam era impallidito mano a mano che lui raccontava, anche per quello si era fermato.
“Mi stai dicendo che se io avessi detto tutto a Dave, l’ultima vittima si poteva salvare?”
“No, avremmo saputo chi cercare, ma abbiamo brancolato nel buio su dove fosse fino alla chiamata anonima che ci ha fatti andare nel luogo dell’incontro.”
“Hotch, non mentirmi. Se io avessi detto a Dave…”
“Sam, se pensassi che sei in parte responsabile non ti avrei evitato l’accusa di intralcio alle indagini, mi conosci, non guardo in faccia a nessuno per certe cose. Non sarebbe cambiato niente.”
“Sai cosa mi ha detto Dave il mese scorso? Non si conosce mai nessuno fino in fondo.”
“Uomo saggio quel Rossi.”
Tania ed i bambini arrivarono nel giardino e i due uomini cambiarono discorso.
La donna notò il volto pallido del marito, ma non fece domande. Un occhiata un sorriso e la cosa finì lì.

Ed Hotch tornò di nuovo indietro, stavolta di un decennio abbondante.
Lui aveva appena fatto il terzo grado a Sam, su quello che era accaduto, l’uomo era passato da Quantico per parlare con Dave.
Erano usciti ed avevano trovato una sorpresa le rispettive consorti si erano incrociate mentre li aspettavano ed avevano fatto amicizia, così erano andati insieme a cenare.
Hotch aveva trovato Sam simpatico, e l’amicizia era proseguita, su binari diversi da quella che aveva con Dave.
Quando erano passati da Washington D.C. e Elise aveva deciso che lei nove mesi non aveva voglia di aspettarli.
E casualità volle che Jack invece se la stesse prendendo anche troppo comoda.
Nati lo stesso giorno, anche se la piccola Elise aveva passato diverso tempo in un incubatrice.
Ed in quei mesi il rapporto tra le due donne si era arricchito.

I due compagni di compleanno in quel momento stavano facendo un coretto per Joseph.
Otto anni, ne ha otto.
Ora ne era sicuro.
“Hey, tutto bene?”
“Sì, mi è solo venuto in mente quando sono nati quei due discoli.”
“Sai una volta mi ricordo che Haley stava ricordando con Tania le tempistiche, Jack deve aver sentito una parte del dialogo e le ha interrotte: Mamma io non sono arrivato tardi, stavo aspettando Elise. Così d’amblè.”
Hotch scoppiò a ridere, soprattutto pensando alle facce delle due donne, una che ricordava bene le settimane ferma a letto, e l’altra le settimane di angoscia per la troppa fretta della sua creatura.
“Devono essere rimaste senza parole.”
“Esattamente. Un vero comico involontario, direi che ha preso dalla mamma.”
“Ah, grazie mille… però è vero.”
Sorrise ricordando Haley.
Aveva ragione JJ, con il tempo il ricordo farà soffrire un po’ di meno e si potrà anche ridere.


La settimana era volata.
Era ora di ripartire, era seduto in veranda nell’ultima notte prima di tornare al suo lavoro, Sam stava rientrando da una chiamata.
Si sedette in veranda anche lui, Hotch gli passò una birra.
Vennero raggiunti da Tania che aveva sentito l’auto del marito.
“Tutto bene?”
“Sì, tutto a posto. Vuoi una birra?”
“Volentieri, avete discorsi da fare che è meglio che io non senta?”
“No, quelli li abbiamo fatti al primo giorno.”
“Oh, strano Hotch, tu a me non lo hai fatto l’interrogatorio?”
“Ah no, mi è bastato il resoconto di Dave.”
“Poveretto, si vedeva lontano un miglio che avrebbe preferito camminare sui carboni ardenti piuttosto di affrontare certi discorsi con me. Non penso di averlo mai visto così imbarazzato.”
“Mi sarebbe piaciuto vederlo.”
“A saperlo lo filmavo, potevi dirlo.”
“Ti sei fatto scappare un occasione, Dave Rossi in crisi durante l’interrogatorio di un sospetto per verificarne l’alibi.”
“Ah no, con me non è andato in crisi, solo con Tania.”
“E ci credo!”
“Torno a dormire, tu vedi di smetterla di andare a zonzo.”
“Sì, capo.”
Hotch osservò divertito lo scambio tra i suoi amici, ricordava bene una sera, prima del divorzio.
Era stata la prima volta che lui ed Haley erano andati a casa loro con Jack, Sam era uscito svariate volte e Haley tenendolo stretto gli aveva detto che lei e Tania erano diventate così amiche proprio scambiandosi consigli su come gestire le telefonate nel cuore della notte.
Solo che Sam non stava mai via dei giorni interi, o almeno gli capitava di rado.
O forse era solo che Tania era diversa da Haley, e lui da Sam.
Erano simili, non uguali.
Era contento di essere passato a trovarli, ed era anche felice che non c’erano state telefonate, aveva chiamato lui, per sapere se andava tutto ok, erano su un caso, ma avevano già il profilo e si era scusato per l’intrusione.
Jack gli aveva detto che voleva venirci ancora a trovarli, che lui ed Elisa da grandi si sarebbero sposati.
Caspita figliolo, niente in contrario, ma calma!
Rise tra se dei suoi stessi pensieri.
Poi il solito pensiero, il lavoro che lo assorbiva troppo.
“Tutto ok?”
“Stavo pensando a quando mi hanno offerto il prepensionamento, forse avrei dovuto accettare.”
“Scusa posso farti una domanda indelicata?”
“Dimmi.”
Gli disse stupito dalla richiesta, Sam di solito domandava e semmai si scusava dopo. Ma era prima della morte di Haley.
“Mi hai spiegato che il verme ti aveva offerto un patto, giusto?”
“Sì, se smettevo di dargli la caccia avrebbe…”
“Ok, patto inaccettabile per ovvi motivi, ma tu pensa se tu accetti di andare in pensione, poi un domani Jack scopre la cosa, cosa dovrebbe pensare? Scusa papà… ma se ti licenziavi dall’Efbiai non era meglio… prima però. Dopo è tardi, meglio continuare a prendere i cattivi come dice Jack.”
Hotch rimase un attimo assorto.
“Sicuro di non aver seguito qualche corso di psicologia oltre a quelli di veterinaria?”
“Ahem, non so come dirtelo, ma sai quanto bisogna averci un’infarinatura di psicologia per spiegare ad un bambino che Toby e Fufy stanno male e non è colpa loro? No perché ho alcuni colleghi che sono maestri di indelicatezza, io cerco di non imitarli.”
“Non ci avevo pensato.”
“Tranquillo, certe cose le so grazie a te e a Dave.”
“Bella gente allegra frequenti!”
“Già!”
Risero finendo le birre e rientrando a dormire.

La cena
Erano tutti lì, non poteva mancare, JJ era stata promossa e lo aveva invitato a festeggiare con loro, voleva una piccola rimpatriata.
Li aveva evitati per anni, poche scarne notizie, ma stavolta non aveva saputo dire di no.
C’era persino Elle, tutta la sua vecchia squadra, più il collega della prima unità, Rossi.
L’agente anziano, come aveva sentito scherzare Reid.
Reid che scherza? Le persone cambiano.
Vide una faccia sconosciuta, leggermente discosta, doveva essere la nuova che stava al posto di JJ.
La vide uscire un attimo con una scusa.
Gli venne in mente che se ne stava per andare.
Uscì d’istinto per fermarla.
“Aspetti. Dove va? La festa è dentro.”
“Io… mi scusi è che non mi sento ancora parte del gruppo, e mi… ma lei è…?”
“Per favore, là dentro sono praticamente estraneo quanto lei, non scappi via. Vedrà che presto riuscirà ad amalgamarsi al gruppo, dia loro del tempo e lo dia anche a se stessa. Si fidi, quando sarà parte da un po’ della squadra e ricorderà questa serata le spiacerà essersene andata via in uno dei rari momenti di gioia che questo lavoro concede insieme."
“Jason ha ragione non ci si frequenta molto fuori dal lavoro, proprio perché ci porta via anche troppo, almeno quelle volte che si riesce ad avere momenti lieti è meglio approfittarne.
Quando sarà passato un po’ di tempo sarai anche troppo coinvolta, e ti capiterà di rimpiangere il contrario.”
Era stata JJ a parlare, aveva visto la novellina a disagio, ed aveva notato Gideon che la seguiva quando era uscita, intuì che forse poteva essere utile una mano per farla tornare indietro, ma Jason se la stava cavando alla grande.

La novellina in questione tornò indietro.
E dentro di se era grata al suo mito, perché Jason Gideon era un mito per i novellini, ed al suo capo, perché JJ era il suo capo, quando non rispondeva al capo dell’unità era a lei che doveva rendere conto. Era grata di tutto, ma specialmente di una cosa.
Non hanno detto se ti amalgamerai alla squadra.
Hanno solo detto quando.


Fine




Aspettavate di arrivare alla fine per commentarla?
Ve lo ricordate ancora il link?
Non avete alcuna intenzione di commentarla?
eh...io ci speravo. :baby.gif:
Pazienza. ^_^

Edited by rabb-it - 16/12/2011, 01:04
 
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