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Sotto protezione, Criminal Minds (5 serie)

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rabb-it
view post Posted on 31/3/2010, 17:24 by: rabb-it




Reazioni
Rientrarono in ufficio un po’ sconvolti per come si era conclusa la situazione.
Reid mise al corrente JJ e Garcia della buona notizia su Haley e Jake.
Penelope guardò male Derek, lui non sostenne il suo sguardo, e si infilò in ufficio.
Seguito dalla donna.
Stava mettendo il distintivo e la pistola di Hotch in un cassetto della scrivania e lo chiuse a chiave, non dette il tempo a lei di dirgli niente.
“Dì agli altri che tra dieci minuti abbiamo una riunione, voglio parlare con tutti”.
“Ma…”
“Penelope, per favore…”
“Va bene”.

Garcia si diresse all’open space, dove c’era una strana atmosfera, felici per la conclusione di un incubo, sorpresi e tristi per la decisione di Hotch di dimettersi.
E forse anche un po’ feriti, per come erano stati tenuti all’oscuro, avevano capito tutti che qualcosa non quadrava, ma si erano fidati di Rossi e Derek su cosa stava succedendo.
Ed ora erano molto irritati con Rossi.
“Perché non ci avete avvisati almeno uno alla volta in privato?”
“Perché se dovevamo tendere una trappola ne conoscevamo solo una parte?”
“Lo sapevi dall’inizio?”

“Ragazzi, Derek ci vuole nell’ufficio riunione tra dieci minuti, ci spiegherà tutto, credo”.
Rossi guardò con gratitudine la donna che lo aveva appena salvato da un linciaggio verbale.
Lei gli servì lo stesso sguardo astioso che aveva riservato a Derek, ricordava ancora molto bene come era stato duro nel descrivere cosa avrebbero dovuto fare, per vendicare la morte di Haley e Jake, sperava che lui e Derek avessero delle ottime scusanti per averla fatta stare così male.
Ad Hotch poteva perdonarlo, lui era sconvolto per la sua famiglia e per una volta nella vita li aveva messi davanti al suo lavoro, ma loro due no…
Come ha potuto Derek consolarmi in quel modo, sapendo che loro stavano bene.
Come mi ha potuto mentire così!

JJ ripensava ad una situazione avvenuta molti anni prima.
Lei era sconvolta per la morte di alcune donne, e faticava a concentrarsi sul caso, si sentiva troppo coinvolta.
Hotch aveva cercato di spiegarle che nel loro lavoro era normale sentirsi così, lei gli aveva risposto che a lui non succedeva di farsi coinvolgere, e la sua risposta era stata “E forse non è un bene!”
Stavolta è stato travolto, non solo coinvolto, l’espressione che aveva mentre consegnava a Derek il distintivo… non credo di averlo mai visto in quello stato.

Reid si domandava come aveva fatto a non capire cosa stava succedendo, aveva visto Hotch farsi distante con la squadra, ma lo aveva imputato allo stress, non ad una serie di cose fatte alle loro spalle.
Ma aveva ragione lui, ora Foyet è catturato ed è solo questo che conta.

Emily ripensava alle parole di Foyet, aveva iniziato da lontano a tormentare Hotch, il come era una delle cose che si ripromise di scoprire.
Non voglio che restino questioni irrisolte.

Chi è prudente, saggio e desideroso di stabile prosperità non lasci mai un resto, né di fuoco, né di debito, né di nemico.

Andarono nella saletta riunioni, Derek era già lì ad aspettarli.
Attese che fossero tutti seduti poi iniziò.

“Per quello che mi riguarda Hotch è in ferie, permesso speciale per stare un po’ con i suoi.
Non ho alcuna intenzione di accettare le sue dimissioni e gli lascerò un po’ di tempo per riprendersi dagli ultimi fatti, quindi evitiamo l’argomento della sua consegna di pistola e distintivo fuori da qui.
Garcia, fino a che non lo dirò io, al computer centrale non devono arrivare comunicazioni, nel caso Hotch mandi le dimissioni per e-mail”.

“Ti ficcherai nei guai con la Strauss”.
Era stato Rossi a parlare.

“Sono il caposquadra e fino a quando le cose non saranno appianate sono anche il superiore di Hotch, quindi posso farlo”.

“Intercettare le sue mail? Non credo proprio”.

“David, adesso basta! Voglio dare ad Hotch il tempo di riflettere sulla sua decisione, ha agito d’impulso, non è da lui!”

“Derek, c’erano delle cose che Aaron ha detto quella sera che non ti ho riferito, non è stata una decisione d’impulso. È stata una decisione sofferta, ma ci pensava da un po’.”

“Da quando era stato aggredito, dubito si possano considerare decisioni ponderate con calma.
Non intendo tornare sulle mie decisioni, voglio lasciargli del tempo e tu non me lo impedirai, chiaro!”

“D’accordo, capo”.

Gli altri osservarono quello scambio con la sensazione che la tensione tra i due potesse da un momento all’altro scatenare una tempesta elettrica dritta sulle loro teste.

Penelope si disse che impedire che le dimissioni divenissero effettive era un giochino già fatto e non vedeva la difficoltà di ripeterlo.
Anche lei come Derek riteneva che la decisione non fosse stata affatto presa con la calma che era necessaria, non gli era stato possibile.
Ora gli potevano lasciare del tempo.
Se poi fosse stato ancora della stessa idea, ne avrebbero preso atto.
Ma per il momento non era male considerarlo solo in permesso vacanze.
Dava il modo di riprendere fiato anche a loro.

Reid ripensò alle dimissioni di Gideon, repentine ed improvvise quanto quelle di Hotch.
Forse nemmeno lui sarebbe tornato sulle sue decisioni, Jason non lo aveva fatto, perché mai Hotch avrebbe dovuto?
Un’altra persona a cui teneva che se ne andava, cambiamenti.
Non era certo di come affrontare la cosa, andare da Hotch e dirgli che non doveva farlo?
Non sapeva se ne aveva il diritto.
Non sapeva se fosse giusto, sapeva solo che gli faceva male.

JJ rimase assorta, rivedeva i vari momenti in cui Hotch era stato il collante della squadra, quando era ritornato dopo che era stato cacciato dalla Strauss e Gideon si era dimesso.
Come era sempre stato presente al loro fianco, con Spence quando ne aveva avuto bisogno, con lei quando l’aveva rassicurata sulle normali preoccupazioni di un genitore, con Penelope quando era stata ferita, con Derek nel tenerlo in riga quando esagerava, o rimettere a posto Rossi quando appena rientrato voleva fare come ai vecchi tempi.
Il suo essere sempre ligio alle regole aveva permesso ad ognuno di loro di esserlo un poco meno.
Come avrebbero fatto senza di lui?
Sarebbero riusciti a restare uniti? Vedendo la lite tra Derek e Dave i dubbi erano legittimi.

Emily ricordò quando era arrivata nell’unità, Gideon e Hotch non ne erano stati avvertiti, e lui non la voleva tra i piedi, era stato categorico.
Poi le aveva concesso un’opportunità, e si era guadagnata la sua stima e il suo rispetto, anche per non aver tradito la squadra quando aveva scelto le dimissioni piuttosto che riferire alla Strauss dei problemi che c’erano.
Ora toccava a lei concedergli la stessa opportunità, di cambiare idea e tornare sui suoi passi.
Forse pensa che non gli perdoneremo le menzogne, ma si sbaglia.
Abbiamo bisogno di lui, deve saperlo.

Rossi lasciò scorrere lo sguardo sugli uomini e le donne della squadra, poteva immaginare cosa stessero pensando, e lui stesso sperava che Aaron cambiasse idea, che trovasse un equilibrio tra il lavoro e la famiglia, ma non voleva che si facessero illusioni.
Poteva non tornare mai come prima.
Ma loro avevano comunque un compito da svolgere, con o senza Hotch.

Derek imitò Rossi, e anche i pensieri erano ben poco dissimili, sapeva che Hotch non era tipo da decisioni impulsive, ma non voleva arrendersi, non ancora.
E voleva con tutte le sue forze che la squadra continuasse ad essere unita come lo era stata negli ultimi due anni.

Jake
Sam stava guidando da oltre mezz’ora quando si decise a parlare.
“Ho visto che hai consegnato pistola e distintivo, non è che sei stato troppo precipitoso?”
Hotch rimase assorto per qualche istante, poi gli rispose.
“No, nel momento in cui ho mentito alla mia squadra e li ho usati per far uscire allo scoperto Foyet e il complice senza renderli partecipi di quello che accadeva, ho capito che avrei dovuto dimettermi.
La fiducia è essenziale nel nostro lavoro.”

Sam si voltò per un istante a guardare il collega, l’espressione perplessa come se non credesse alle proprie orecchie.
Poi tornò a guardare la strada e aggiunse.
“Non potevi fare altrimenti, non ce ne è stato il tempo.”
Hotch scosse la testa piano, come se anche lui avesse difficoltà a credere a quello che stava per dire.
“Veramente di occasioni per metterli a parte di cosa stava succedendo ne ho avute, siamo andati a seguire dei casi, e mentre eravamo sul jet noi da soli sapevo che avrei potuto dir loro tutto, ma non ci sono riuscito, non ne ho quasi parlato nemmeno con Rossi e Morgan, che ne erano a conoscenza”.

“Sapevano anche delle tue dimissioni?”
“Ho accennato la cosa a Dave, ma credo non ne avesse parlato a Derek”.
“No, vista la sua espressione direi proprio che non se lo aspettava, ma Rossi non ha tentato di dissuaderti?”
“Le mie decisioni le prendo da solo, non ho l’abitudine di farmi influenzare dagli altrui pareri”.
“Secondo me avresti dovuto parlare con loro, sapere come avevano preso la cosa, prima di decidere, sicuramente avranno capito”.
“Li ho dati per scontati. Ho dato per scontato che avrebbero capito. Ma non torno indietro, sapranno andare avanti anche senza di me. I cambiamenti a volte fanno bene”.
“Convinto tu…”

Hotch guardò Sam, aveva colto la sospensione del giudizio nella sua frase, e ne era infastidito, credeva veramente che la cosa gli piacesse?
Ma in fondo del parere di Sam poco gli importava, era più preoccupato da Haley.
Cosa intendeva Foyet con quell’ultima frase?
Forse per stasera poteva lasciar perdere, era solo l’ultima cattiveria di un verme, e non gli sembrava il caso di affrontarla subito.

L’arrivo alla casa protetta lo distolse dalle sue eculubrazioni.
“Forse dovrei andare in un motel e passare domani mattina, ora staranno dormendo”.
“A parte che credo che non veda l’ora di sapere che è tutto finito, la in fondo è la cucina e la luce è accesa, dubito che abbia mai dormito più di un paio d’ore per notte in questi mesi”.
“È vero, non vedrà l’ora di tornare a casa”.
Si avvicinarono, Hotch bussò piano.
Haley andò ad aprire ed appena vide l’ex-marito sulla porta sentì l’angoscia di quei mesi scivolarle via.
“È tutto finito, è in carcere e non può più nuocere.”
“”Tu come stai?”
“Non lo so ancora… posso vedere Jake?”
“Certo vieni!”
Sam spiegò che gli avrebbe lasciato l’auto di Haley per il rientro e se ne andò, lasciandoli soli.
Aaron si sedette sul bordo del letto del figlio, eccolo lì la sua ragione di vita, il motivo per cui si alzava la mattina, quanto era cresciuto in quei mesi, o forse era solo un impressione.
Il bambino si rigirò nel sonno e mormorò qualcosa.
Aaron guardò Haley, gli era parso che lo avesse chiamato, lei gli fece segno di coccolarlo un po’ per scacciare i brutti sogni, lui mise una sua mano sopra quelle piccole del figlio, forse la mano di Aaron era fredda, Jake aprì gli occhi di scatto.
“PAPA’, papà sei tornato!”
Gli saltò letteralmente al collo, lui lo tenne stretto a se.
Dave aveva ragione, poteva perdonarsi qualsiasi cosa mentre abbracciava suo figlio.
Haley piangeva dalla gioia davanti a quella scena, l’espressione sul viso di suo figlio era quanto di più bello avesse mai visto, gioia allo stato puro.
E il sollievo sul volto di Aaron, non ricordava di averlo mai visto così sereno.

Jake non ne volle sapere di tornare a dormire, volle raccontare al padre di tutte la cose che aveva fatto e visto in sua assenza, doveva dirgli dell’orso, Haley sorrise tra se a sentire come diventava più grande ogni volta che lo ricordava.
Lei preparò per Aaron il divano letto, lo aveva visto stanco e non credeva fosse il caso di dirigersi a casa senza che avesse almeno riposato un poco.
Quando Jake crollò per la stanchezza, lo misero a letto insieme.
E solo allora Aaron le spiego cosa era successo negli ultimi giorni.
Omise il dettaglio delle ultime frasi di Foyet, non voleva turbarla ci sarebbe stato tempo per chiarire i punti oscuri, non le parlò nemmeno delle sue dimissioni, non gli parve il caso.

Poi entrambi soffocarono uno sbadiglio e scappò loro da ridere.
Si scambiarono degli sguardi che parlavano di tutte le parole non dette.
Ma il momento passò nel silenzio.
Lui fu il primo a riprendersi.
“Domani mattina vi riporto a casa!”
“Grazie, per tutto!”

Lei uscì dal piccolo salottino ed andò a riposare nella sua stanza, forse stanotte avrebbe dormito.
Ed era la stessa cosa che stava pensando Aaron.
Stanotte niente insonnia, finalmente.


Deja Vù
Il rumore dei macchinari li costringeva ad urlare per riuscire a comunicare, c’erano due operai all’interno di una specie di sauna, solo che non erano lì per un trattamento in una qualche SPA, ma stavano sistemando del materiale che doveva prendere la giusta dose di umidità per passare alla lavorazione successiva.
Camera umidificatrice era il nome tecnico, La Sauna per gli addetti ai lavori.
“SPINGILO A DESTRA, QUI NON C’È PIU’ SPAZIO!”
Ad un certo punto la porta venne chiusa, il più anziano dei due mandò l’altro ad aprirla, ansioso ed irritato per quello che sembrava uno scherzo sciocco.
L’uomo, Tony, sui venticinque anni capelli neri portati lunghi fino alle spalle, poco più di un metro e settanta, fisico asciutto, si diresse con decisione alla maniglia di emergenza, pensava anche lui allo scherzo di un collega con un pessimo senso dell’umorismo.
“Quando Elias uscirà da qui ti farà a striscioline, chiunque tu sia, io non mi spavento così facilmente, ma a lui le coronarie stanno per cedere”.
Credeva che appena avesse aperto il portone si sarebbe trovato davanti Rupert, capelli biondi alla paggetto l’aria perennemente sbarazzina e quel non so che di malandrino che faceva sopportare le sue freddure perenni.
Avrebbe dovuto essere in pausa mensa, ottimo momento per tirare loro uno scherzo dei suoi.
Tony afferrò la maniglia, avevano fatto svariate volte le prove nel corso degli anni, per la sicurezza, e sapeva bene come aprire dall’interno.
Un semplice scatto all’indietro e la ruota che stava in cima avrebbe fatto da perno permettendo all’aria di entrare.
Ma la porta non si apriva.

Elias, sulla cinquantina capelli corti e grigi, basso e tarchiato, l’opposto fisico del collega, gli gridò di spicciarsi, sentiva già l’aria venirgli meno, lì dentro a porta chiusa si mancava di poco il 100% di umidità e il caldo era superiore di svariati gradi a qualsiasi temperatura estiva.
Era una cosa sopportabile per pochi minuti alla volta, e con la porta aperta.
Andò verso il giovane collega, era convinto che lui e Rupert gli stessero giocando qualche scherzo e che stesse solo facendo finta di aprirla.
“Allora, la smettete, apri quella dannata porta o ti piglio a calci da qui a S.Diego”.

Tony si voltò verso di lui, visibilmente spaventato.
“Ci sto provando, Rupert basta con lo scherzo, non è divertente!”
Elias cerco a sua volta di forzare la maniglia.
Sentirono un mugolio di dolore provenire da dentro la camera.
Si avvicinarono e videro steso tra i carrelli Rupert, si teneva la testa con una mano, tra le dita colavano delle gocce di sangue, i capelli biondi ne parevano intrisi.
Chiese loro cosa era capitato, con voce flebile.
E nessuno dei due ebbe una risposta, ma ad entrambi si disegno il panico sul volto.

“Se lui è qui… chi c’è li fuori?”
I due uomini sconvolti iniziarono a tempestare la porta di pugni e iniziarono a gridare.
Ma fuori il rumore dei macchinari li sovrastava, e non c’era nessuno, erano tutti in pausa mensa.
Nel locale adiacente davanti alla maniglia principale di quella porta c’era un pesante carrello che la bloccava, rendendo vani i tentativi di aprire dall’interno.
Le grida andarono avanti per alcuni minuti, poi il silenzio, forse avevano capito che non poteva sentirli nessuno, forse avevano perso conoscenza…o peggio.

A Quantico…giorni dopo.
JJ e Derek stavano esaminando alcuni casi, lei ad un certo punto fissò il collega e gli disse che lei lo perdonava.
Lui le sorrise, sapeva che aveva sentito lo scambio tra lui e Penelope, uno scontro a dire il vero.
La donna gli aveva detto che le sarebbe occorso del tempo per perdonargli le lacrime versate e che lui e Rossi dovevano essere grati alla loro buona stella se lei rivolgeva ancora loro la parola.
Lui le aveva risposto che l’importante era che facesse il suo lavoro; tre secondi netti dopo averlo detto se ne era già pentito, ma era tardi per rimediare ed aveva allungato i tempi di una probabile riconciliazione con l’amica.
“Subito? Senza reprimende?”
“Ti stai già punendo da solo, non serve che mi ci metta anche io, avevi un incarico e lo hai portato a termine, andiamo oltre”.
“Perché Garcia non la vede come te?”
“Perché io mi sono sfogata con loro, un po’ con Will, ma mai con te. Se si esclude quella frase su Hotch che lavorava nonostante le brutte notizie.
Lei invece si era appoggiata anche a te, le ci vorrà più tempo, molto se continui a risponderle in quel modo. Prima di essere un capo sei anche un nostro amico, ogni tanto ricordatelo”.
“Magari avrebbe dovuto ricordarselo anche Hotch prima di andarsene in quel modo, mi ha lasciato una bella gatta da pelare”.
“Vedi? Tu sei arrabbiato con Hotch con quello che ha passato e non capisci la rabbia di Penelope?”
“Hai ragione…”
JJ guardò con un sorriso il collega e passandogli l’ennesima cartellina lo invitò a tornare a concentrarsi sul lavoro.

C’erano stati una serie di omicidi, che sulle prime erano passati per incidenti sul lavoro.
Ma l’ultimo caso non poteva davvero essere un incidente.
Sobborghi di S.Diego.
Tre uomini trovati morti all’interno di una cella per l’umidità forzata. Uno con un vistoso trauma cranico, gli altri… annegati nel vapore era il termine esatto.
Era stata una cosa lenta, degna di un sadico.
Che forse aveva già colpito, dopo quel caso gli agenti avevano indagato su incidenti simili ed avevano scoperto una traccia, ma non sapevano più che pesci prendere per andare avanti e l’unità analisi comportamentale era sembrata la sola soluzione.
A Derek sembrava qualcosa di già visto, ma non riusciva a centrare il bersaglio, riunì la squadra, insieme si ragiona meglio.
A volte.
Bisognava capire con che schema l’unsub(S.I. in Italiano) colpiva, perché la cosa evidente era che aveva un qualche schema in mente e quello era il modo per catturarlo, arrivarci prima.
Intanto era importante levare di mezzo quelli che erano sul serio incidenti sul lavoro, quelli a volte accadono e le misure di sicurezza a volte non bastano, a loro serviva fare il punto su quelli che erano stati presi per tali e non lo erano.

Quando Garcia mostrò loro le statistiche sui morti sul lavoro ebbero un attimo di sconforto.
“E io che credevo di fare un lavoro pericoloso…”
“Lo fai, statisticamente un poliziotto ha più probabilità…”
“Reid, lo so, ma guarda quei numeri… qualcuno fa un lavoro altrettanto pericoloso e sono in pochi a rendersene conto… gli serve proprio un pazzo che li prenda di mira, un poliziotto sa che deve sempre stare in guardia…”
Per un attimo il pensiero di Derek andò ad Hotch ed alla sua aggressione.
“…ma un operaio non si aspetta di certo di essere minacciato da qualcosa di diverso da… un rischio disoccupazione!”
“O da qualche malattia causata dal lavoro… Aspetta un disoccupato… un ex dipendente arrabbiato?”
“Gli incidenti sospetti sono in quattro fabbriche diverse, non credo sarebbe passato inosservato se fosse rientrato a far danno”.
“Intanto cerchiamo di capire dove agisce, se davvero lo ha fatto solo in quelle quattro fabbriche abbiamo già una destinazione, San diego”.

“Comunque molti di questi sono evidenti incidenti, niente che faccia pensare ad un piano criminoso.”
“Tu inizia a fare un profilo geografico di dove sono gli incidenti sospetti, forse è in attività da anni, magari si sposta mano a mano che cambia lavoro”.
“Il che sarebbe inquietante…”
“Ci capitano mai casi non inquietanti?”

Reid parve riflettere per un attimo sulla cosa.
“Ora che mi ci fai pensare…no!”
Derek fece un accenno di sorriso all'espressione perplessa del collega.
"Andiamo sull’ultima scena. Al jet tra mezz’ora".

Deja Vù II parte
Derek stava parlando al telefono con Dave.
“No, va bene, avviserò il pilota”.
Quando tornò indietro dalla cabina di pilotaggio gli altri lo guardarono in maniera interrogativa.
Dave ed Emily erano stati assenti tutta la mattina e credevano li avrebbero trovati lì ad aspettarli.
“Sono un po’ in ritardo, partiremo appena arriveranno”.
“Ma dove erano andati, o è un altro segreto anche questo?”
Derek ignorò la nota di polemica che sentiva nella voce di Reid, da quando era successo di Hotch non si erano mai parlati da soli, ed anche ora c’era JJ.
Che con un occhiata gli ricordò la frase di poche ore prima: “sei anche un nostro amico”.

“Basta ragazzino, vediamo di chiudere qui ed ora questa storia.
Ho fatto quello che ho dovuto e non voglio passare i prossimi giorni a dovermi giustificare, né tantomeno lo deve fare Rossi, lui ed Emily sono andati a parlare con Foyet, ed ora concentriamoci sul caso”.
“Magari se avessimo saputo cosa stava succedendo avremmo potuto parlare con Hotch, impedirgli di andarsene, ma forse a te stava bene così! Saresti tornato un agente speciale e basta se lui restava”.
Derek guardò Reid come se lo vedesse per la prima volta.
Non riusciva a credere che pensasse realmente che lui non avrebbe voluto riavere lì Hotch.
Anche Reid aveva un aria spaesata, come se non si aspettasse di essere così arrabbiato con Derek.
“Io…”
“Tu…”

L’ingresso di Dave ed Emily sbloccò la situazione di stallo che si era creata,entrambi colsero subito la tensione nell’aria e guardarono verso JJ, lei elencò loro i dettagli di cui erano a conoscenza sul caso, passando le cartelline che aveva preparato quella mattina nel primo incontro, in loro assenza.
Derek andò dal pilota a dirgli di decollare, quando tornò comprese che Dave era stato messo al corrente dell’uscita di Reid, si era seduto di fronte a lui e gli stava dicendo qualcosa.
Lo lasciò fare, era l’agente con più esperienza, forse Reid a lui avrebbe dato retta.

Guardò Emily e le si sedette a fianco e le domandò come era andata da Foyet.
“Ha detto ben poco, ma da quello che ho capito teneva d’occhio la nostra unità da almeno tre anni.
Non aveva fretta, doveva aspettare che Shaunessy morisse per avere la nostra attenzione di nuovo.
Se la vendetta è considerato un piatto che va gustato freddo, lui aveva messo il piatto nel congelatore”.
“Per vendicarsi di chi? Di Hotch?”
“Di chiunque si mettesse sulle sue tracce, chiunque”.
“E in questo cosa c’entrava la talpa?”
“Non ne siamo ancora certi, credo che dovremo chiedere ad Haley per sapere se lo conosceva, se Hotch ce lo permetterà”.
“Perché non dovrebbe?”
“Perché forse per lui è più importante una riconciliazione con la sua ex, che non sapere tutta la verità”.
“Hotch vorrebbe sempre sapere la verità!”
“Ne sei veramente certo? Sempre e mai sono promesse difficili da mantenere, specialmente quando ti sono già costate una volta la famiglia”.
“Ne sono certo, ma ora… pensiamo al caso!”
Richiamò l’attenzione degli altri, quando incrociò lo sguardo con Reid egli tentò un sorriso e spalancò gli occhi come a chiedergli scusa, e lui non ce la faceva proprio a restare arrabbiato con quel ragazzino… che non era più tanto ino da un pezzo, ma ormai lo chiamava così da sempre e non gli andava di perdere il vizio.
Gli sorrise di rimando e la pace fu ristabilita.
Doveva ricordarsi di ringraziare Rossi.

“Abbiamo quattro casi certi, in ognuno due o più vittime sono rimasti bloccati in luoghi insalubri, nei primi tre si era pensato a semplici incidenti dato che a parte la causa patologica della morte non c’erano altre tracce sulle vittime. Nell’ultimo caso qualcosa deve essere andato storto e ha dovuto colpire una delle vittime, rendendo evidente l’aggressione”.
“Che collegamento abbiamo tra gli altri tre casi e l’ultimo?”
“Una cosa che è stata notata solo nell’ultimo caso, gli operai uccisi erano gli unici presenti al lavoro gli altri erano in pausa, o per un cambio di turno o per la mensa”.
“Mentre in altri casi che abbiamo preso in esame c’erano diversi testimoni a poter confermare l’incidentalità del tutto, qui mancano totalmente: chi è presente, viene ucciso”.

Avevano parlato uno di seguito all’altro, poi Derek si era rivolto a Garcia che era ad ascoltarli dal suo fedele computer.
“Garcia controlla gli operai di ognuna delle 4 fabbriche, anche gli addetti alle consulenze esterne, magari ci sta un punto di contatto.”
“Consideralo fatto”.
“Grazie picc… Grazie Penelope”.

Rossi sorrise alla correzione di tiro da parte di Derek, l’abitudine che aveva di chiamare con dei vezzeggiativi Garcia sarebbe stata malvista dalla Strauss e l’unico modo per perderla era di non farlo più, anche quando era solo con loro che vi erano abituati.
Se fosse stato presente allo scontro e di quella mattina non avrebbe trovato la cosa divertente, ma lui non poteva sapere che i due avevano litigato, era giusto a conoscenza della discussione con Reid e solo perché era arrivato con Emily proprio al culmine.
E aveva scambiato due parole con Reid, giusto per chiarire al giovane che per quanto Derek potesse volere il comando, mai lo avrebbe preso a discapito di Hotch, e quello se lo doveva ficcare bene in testa o la loro squadra sarebbe andata a ramengo, con somma soddisfazione della Strauss, e di chi come lei vedeva come fumo negli occhi il fatto che la squadra di Hotchner fosse ancora unita.
Spencer pareva aver capito, e lui si augurava che presto la tensione scemasse.

Derek smistò la squadra, JJ e Reid sarebbero andati alla centrale di polizia a S.Diego per gli aggiornamenti e per terminare di stilare il profilo preliminare dell’SI, lui con Prentiss e Rossi si sarebbero diretti all’ultima scena del crimine per farsi un idea precisa di come aveva agito.
Una volta alla centrale JJ e Reid scoprirono come mai la polizia non aveva subito capito i collegamenti criminali tra gli omicidi, erano subissati di casi e gli incidenti sul lavoro rientravano nella sfera di competenza dell’associazione infortuni sul lavoro, ed altre società, i cui membri non erano di certo portati a pensare a folli criminali che nascondevano i loro delitti dietro l’apparenza dell’incidente.
Però fu proprio da una di quelle società, l’associazione sicurezza sul lavoro, che partì un primo profilo di Reid, dato che la medesima società si occupava di tutte e quattro le aziende.
Informazione arrivata fresca da Garcia, lo stesso consulente esterno per tutte e quattro le ditte.
Forse solo un caso, ma valeva la pena indagare più a fondo.

Deja Vù III parte

Derek, Dave ed Emily erano sulla scena, davanti a loro una grande camera, ora spenta, dove per terra erano evidenti i segni del passaggio delle unità di soccorso che avevano tentato di rianimare i tre uomini quando erano stati trovati dai colleghi.
Tubi per intubazione che parlavano di rianimazioni tentate, sacchetti per il ghiaccio secco ormai inutili che raccontavano di tentativi di abbassare la temperatura dei corpi.
E il carrello, un arnese alto almeno due metri che scorreva su delle ruote a bloccaggio, a detta dei testimoni era bloccato davanti alla maniglia in posizione tale da impedirne lo scorrimento.

Derek fece chiudere la porta, e una volta dentro gridò con quanto fiato aveva nei polmoni, aprì e chiese ai colleghi se avevano sentito qualcosa.
“Appena un po’” Fu la risposta di Emily.
Rossi fu meno sintetico.
“Poco, ed eravamo qui con le orecchie tese a captarti, e i macchinari sono spenti, con le macchine accese era impossibile sentire qualcuno gridare”.
“E lo sapeva, sapeva che per almeno mezz’ora nessuno sarebbe venuto a cercarli, nessuno sarebbe passato”.
“Ed è una cosa che questa scena ha in comune con le altre, solo che lì non era rimasto un carrello messo in maniera tanto evidente”.
“Perché questa differenza? Stavolta cosa lo ha disturbato?”
“Credo la stessa ragione per cui ha ferito una delle vittime, un imprevisto”.
“Lo deve aver sorpreso, ed ha pensato che poteva arrivare qualcun altro e se ne è andato senza rimettere a posto”.
“Magari tornando a mangiare tranquillamente con i colleghi”.
“Dici che l’SI è un collega? Ma Garcia ha escluso dipendenti in comune tra le quattro aziende, o no?”
“Magari gente assunta non in regola… non capita mai, vero?”
“Fermi… aspettate un attimo prima di prendere il largo!”

Emily aveva parlato con un tono che non ammetteva repliche, i due uomini la fissarono curiosi di sentire la sua opinione.
“Questo non è un operaio, lui li odia!”
“Capita a volte tra colleghi, lo avresti mai detto della nostra talpa? Avresti mai pensato che un agente potesse essere complice di Foyet?”
“Lascia stare Foyet, lui è un manipolatore ed ha trovato un agente con un problema di stress che era passato inosservato e lo ha manovrato. Questo SI detesta profondamente quelli che uccide, gli operai sono solidali fra di loro e quando si detestano si mandano all’inferno metaforicamente o si prendono a botte, non studiano metodi per accopparsi a tavolino, di norma”.
“Dimentichi quelli che fanno stragi con fucili a ripetizione?”
“Non rientrano nel profilo del nostro SI, sa quando sono isolati, sa quando non verranno soccorsi rapidamente ed ha sempre cercato di nascondere i delitti, non è il tipico stragista impulsivo, è troppo metodico”.
“Andiamo a sentire cosa ha Reid, magari possiamo già mettere insieme un profilo”.
Uscirono dalla camera, Emily si voltò un ultima volta, le sembrava di sentire le grida disperate di quegli uomini intrappolati, chiuse un istante gli occhi fece un profondo sospiro e seguì i colleghi fuori da lì.

Arrivarono rapidamente in centrale, Reid li mise al corrente di cosa aveva scoperto Garcia sulle ditte che verificavano la sicurezza e il tecnico che era stato in tutte e quattro.
Ma l’uomo aveva degli alibi inattaccabili, ogni volta che c’era stato un delitto lui era da un’altra parte a fare delle verifiche, quindi era da escludere.
Però il profilo corrispondeva, una persona magari malvista dagli operai, dovevano capire che molla lo aveva fatto scattare, anche se dovevano cercare un altro soggetto.
A Derek venne in mente di chiedere un’altra verifica a Garcia, verificare le ditte che svolgevano anche altri incarichi per le aziende in questione, tipo le imprese di pulizia.
Rossi gli chiese cosa avesse in mente.
E lui gli spiegò il suo punto di vista.
“Stiamo sbagliando. Non è qualcuno di cui gli operai si ricorderebbero, saprebbero di averlo visto in giro, è qualcuno a cui nessuno bada, gli invisibili, quelli che a volte nemmeno salutiamo se gli incrociamo tanto siamo abituati alla loro presenza”.

Penelope trovò un riscontro.
“C’è una ditta, si occupano della derattizzazione, e sono attivi in tutte e quattro le aziende colpite… oh mio Dio.”
“Penelope?”
“Due volte al mese va lo stesso addetto in ognuna di loro, ed ora sta andando in un’altra!”
“IL NOME GARCIA, IL NOME!”
La donna passò subito i dati, sia dell’uomo che dell’azienda dove si stava dirigendo, o forse era già al lavoro.
Mentre si dirigevano a sirene spiegate nel luogo indicato, ed una pattuglia più vicina era già stata allertata, lei li ragguagliò sull’uomo che avevano rintracciato.

L’uomo era rimasto vedovo da pochi mesi, la moglie e il loro unico figlio erano stati investiti da un ubriaco. L’ubriaco era tra le prime vittime.
“Perché non si è fermato una volta vendicata la moglie e il figlio?”
Fu la domanda che sorse spontanea a Garcia.
Fu Rossi a risponderle.
“Perché gli unici per cui non era un invisibile erano morti,e si sentiva morto anche lui dentro.
Vedeva quegli altri che continuavano a vivere e a ridere, non riusciva a tollerarlo, ogni volta che qualcuno di loro lo ignorava, lui poi veniva colto dal desiderio di ucciderlo. Una persona normale lo pensa solo, o al massimo lo scrive sul suo diario, una persona che ha subito un forte stress può impazzire e…”
“Ma erano anche loro padri di famiglia, figli, fratelli…”
“Piccola, lo fermeremo, non farà male ad altri, calmati!”
La voce di Derek che la chiamava piccola, un accenno di sorriso tra le lacrime si sentì nella risposta che la donna gli dette.
“Sì, capo!”

Derek potè mantenere la promessa, riuscirono a fermarlo prima che agisse di nuovo, mentre lo portavano via ammanettato continuava a chiamare la moglie ed il figlio, come se fossero lì davanti a lui.
Sul jet che li riportava a casa ognuno stava nel suo silenzio, il caso li aveva scossi, un padre di famiglia che impazzisce al punto da uccidere chiunque gli ricordi la persona che aveva ucciso i suoi cari.
Vedere due volte al mese la causa del suo dolore lo aveva fatto uscire di sennò, ogni volta che uccideva, uccideva di nuovo l’assassino dei suoi.

Il silenzio durò fino ad un uscita di Reid.
“Abbiamo risolto il caso anche senza Hotch!”

Derek trasalì.
Ecco cos’era quella sensazione di già visto, non era inerente al caso.
Era un legame con la situazione che ricordava di aver già vissuto, quando Gideon si era dimesso lui aveva avuto la medesima reazione di Reid, e ad Hotch aveva detto la stessa frase.
“Abbiamo risolto il caso anche senza Gideon!”
Erano passati due anni? Due anni prima Hotch non aveva avuto risposta da dargli, ma se lui avesse fatto passare la cosa sotto silenzio Reid avrebbe pensato che aveva ragione a dirgli che era felice di essere il capo.

“È solo in vacanza, e ne abbiamo risolti anche altri di casi, quando era in convalescenza!
Ah, a proposito, ne abbiamo persino risolti anche in tua assenza, ragazzino!”

L’ultima parola fu detta ridendo all’indirizzo di un Reid perplesso per la reazione a quello che lui considerava un complimento all’ottima direzione del caso da parte di Morgan.
Anche gli altri si misero a ridere all’ultima parola, e lui mise il broncio, almeno fino a che Rossi non gli diede di gomito per invitarlo a una partita a carte.

Derek si mise sotto a stilare rapporti, così da poter lasciare l’ufficio ad un orario decente, mentre JJ ed Emily si unirono a Rossi e Reid.
Penelope che aveva seguito buona parte dello scambio, felice di saperli in rientro, si mise a scrivere un messaggio:
Stiamo bene, ma tu ci manchi. Sappilo!

Premette invio, e sperò che il destinatario avesse il tempo di leggerlo e sentirsi almeno un pochino in colpa, solo un po’.

Pause
Aaron era seduto su un tappeto a giocare con Jake, tutt’intorno a loro una marea di mattoncini colorati con cui stavano costruendo qualcosa di non troppo chiaro, esperimenti di architettura.
Haley osservava i due con un sorriso, mentre sistemava i piatti in tavola.
La settimana era quasi finita, e a lei spiaceva che fosse volata tanto in fretta.
Mentre spostava il telefono di Aaron dal tavolo per metterlo su una mensola si accorse che c’era un qualche avviso di chiamata o di sms ricevuto.
Probabilmente lui non lo aveva sentito.

La pausa dell’agente Hotchner è già finita.

Pensò con tristezza.
Mentre teneva in mano l’apparecchio ripensò agli ultimi giorni.

Alcuni giorni prima…
Era sotto le coperte, finalmente al sicuro, era tutto finito, ma il sonno non arrivava.
Rivedeva lo sguardo di Aaron mentre le parlava, quella lunga occhiata silenziosa prima di venire via dal salotto.
Quel silenzio…di cose da dire senza averne il coraggio, quello lo avevano avuto solo per iscritto.
Sentì un gemito.
Preoccupata si alzò in fretta e corse in salotto.
Aveva sentito bene, Aaron si agitava sul divano, aveva spinto via le coperte che però gli erano rimaste attorcigliate alle caviglie, per un attimo Haley rimase indecisa.
Non sapeva se svegliarlo, mettendolo forse in imbarazzo, o lasciare che scacciasse da solo i suoi incubi.
L’indecisione durò una frazione di secondo, ad un ulteriore gemito di dolore da parte dell’uomo lei si precipitò al suo fianco e lo scosse piano chiamandolo.
“Aaron, Aaron svegliati”.
Lui le afferrò un polso e strinse forte, non ancora del tutto sveglio.
Lei gridò di dolore e la cosa snebbiò all’istante la testa dell’uomo.
“Oddio, Haely, scusa… io… stavo… oddio ti ho fatto male?”
“No… era solo lo spavento, sto bene…”

La donna ammutolì, Aaron indossava solo i boxer e sull’addome dell’uomo erano evidenti alcune cicatrici.
Lui le stava guardando il polso che si stava arrossando rapidamente e non notò lo sconvolgimento di lei.
“Dovresti metterci del ghiaccio, o si gonfierà…”
Le disse massaggiandole piano dove prima aveva stretto con forza, perso nell’incubo.
“Smettila, non è niente.”
Era inginocchiata davanti a lui, gli prese il mento e lo voltò nella sua direzione.
“Guardami: Sto bene!”
“Spero di non aver svegliato Jake”.
“Non credo, io ti ho sentito a malapena ed ero sveglia”.
“Cosa dicevo?”
“Non saprei, ho solo colto il dolore e non volevo che l’incubo continuasse”.
“Grazie”.

Nel parlargli la sua mano scese a sfiorare una delle cicatrici.
Lui mise una mano sulla sua.
“Scusa non volevo…”
“Che vedessi quello che ti ha fatto? Confesso che nella mia immaginazione pensavo anche peggio, quindi… forse meglio vedere. Forse.”
“Avrei dovuto ucciderlo!”
“E poi? No, lascia che se ne occupino altri, tu a lui non devi proprio niente, meno che meno assomigliargli, uccidendo non per legittima difesa”.
“Ehy, non dovrei essere io quello che ti rassicura? Questo era quasi un profilo!”
Risero insieme della momentanea inversione di ruoli, poi come calamitati dalle rispettive mani che si cercavano, i loro volti si avvicinarono, ed iniziarono a baciarsi.
Prima timidamente, come indecisi, poi sempre con maggior foga.
Non ci furono parole, lui l’attirò verso di se, lei si sollevo quel tanto che bastava per ritrovarsi tra le sue braccia e…Censuro che è meglio.


Immaginazione gente, usatela!
No dico vi aspettavate che descrivessi la scena?
Uh… allora di mio non avete mai letto niente.
Tendo alla censura su certi dettagli e poi scommetto che alle fan di Haley,sia chiaro fan è detto ironicamente, non dispiacerà che risparmio loro i particolari.
Confesso, pure a me non dispiace non immaginarli.

Poi avremmo fatto un lavoro di squadra, grazie a dei commenti e ad una canzone.

Grazie Sefoev



Il mattino li colse abbracciati, lui si svegliò per primo e rimase lì ad osservarla per diversi minuti.
La vide svegliarsi piano.
“Buongiorno” “Buongiorno”
Uno strano disagio si impossessò di loro, non sapevano bene come affrontare la cosa, era stata inaspettata, impulsiva, incosciente… ma perdio era anche stato fantastico, e lo pensavano entrambi.
“Jake tra poco si sveglierà, non credo sia giusto che ci sorprenda così”
“No, sarebbe arduo dare spiegazioni ad un quattrenne curioso!”
“Molto arduo!”
Risero insieme di nuovo, all’idea dell’innocente curiosità di un bambino che li teneva con i piedi per terra.

Si alzarono, lei corse in bagno, prima dette un occhiata alla stanza del bambino, dormiva ancora nella grossa, la sera prima era stata stancante per lui, che andava sempre a letto presto.
Fece segno ad Aaron, che non si era ancora infilato la camicia, che potevano dividere la doccia.
Lui indicò la stanza del piccolo e lei gli fece segno che stava ancora dormendo, profondamente.
Il tempo per una doccia c’era.
Dire che l’imbarazzo iniziale di Haley se ne era andato era riduttivo.
Ma non è che Aaron si fece pregare.
Forse i piedi non erano troppo ancorati al suolo.

Poco dopo stavano preparando insieme la colazione, lei se ne uscì con una proposta.
“Ho chiamato mia madre, le ho detto che stiamo bene e che torneremo in città tra qualche giorno.
Hai detto che per un poco non devi lavorare, ti va di passare con me e Jake il tempo della vacanza?”
Lui venne colto in contropiede, pensava che lei non vedesse l’ora di tornare alla vita di prima, e non le aveva ancora detto la verità sulle sue vacanze dal lavoro.
“Io? Mi piacerebbe!”
“E allora facciamolo, Jake non vede l’ora di passare del tempo con te, tu pure e io… anche!”
“Cos’hai in mente?”
“Pensavo di affittare per una settimana una casetta in montagna dove insegnare a Jake a stare sugli sci”.
“Una settimana fuori dal mondo? Ci sto!”
“Però… Aaron… non illudiamolo… noi siamo adulti e sappiamo che le cose non potranno tornare come prima… ma lui, non voglio illuderlo su una riconciliazione tra di noi”.
“D’accordo solo una vacanza, insieme”.
Aaron aveva letto tra le righe della sua frase: Non illudermi.

Ma nemmeno lui sapeva dove lo stesse portando la decisione che aveva preso, le avrebbe detto tutto alla fine della vacanza.
Voleva staccare e lei gli stava offrendo un occasione, senza legami con il futuro, solo una pausa.

Legami
Aaron seduto sul pavimento a giocare con Jake non fece caso allo strano silenzio di Haley.
“Papà, ma quanto lo possiamo far alto?”
“Io sarei propenso a …fermarmi prima che caschi tutto, tu sei d’accordo?”
“No, voglio farlo cascare…” Rise il piccolo.
“Ah… va bene, allora prosegui, siamo sulla buona strada”.
Si girò verso Haley e le disse ridendo:
“Altro che archittetto, questo ci diventa demolitore!”
Notò la sua strana espressione rassegnata mentre gli passava il telefono.
“Hai un messaggio, mi sa che le vacanze sono finite”.
Il tono di Haley non sembrava irritato, solo triste.
Lui prese in mano il telefono: “Non credo”.
Devo decidermi a dirle che mi sono dimesso.

Mentre prendeva il telefono sentì un brivido percorrergli la spina dorsale, lo stesso brivido che aveva sentito quella mattina, quando stava spalando la neve in compagnia del padrone di casa che affittava le varie baite e chalet alle persone di passaggio.

Quel mattino…
Uscì presto, si era svegliato all’alba con una strana inquietudine, non gli andava di ciondolare in casa in attesa che Jake si svegliasse per portarlo a giocare fuori, non sapeva cosa avrebbe fatto ora che la fine della settimana era arrivata e pensava che un po’ d’aria fresca in solitudine gli avrebbe schiarito le idee.
Ma la solitudine pareva destinata a non esserci, anche il gestore degli chalet era alzato e stava già spalando via la neve dai vialetti.
Nevicava ogni giorno e lo aveva visto farlo anche più volte nella stessa giornata, ma se di pomeriggio usava un macchinario che faceva un discreto chiasso per farlo, di mattina presto per non disturbare gli ospiti usava la pala.
Gli parve una cosa un po’ troppo faticosa per un ultranovantenne come gli sembrava l’anziano uomo coperto da una spessa giacca a vento con cappuccio.

“Senta, non ha un'altra pala? Così le do una mano?”
“Siete miei ospiti, ci mancherebbe!”
“Ma voglio farlo, ho bisogno di rendermi utile”.
“Vuole sfacchinare un po’? E chi sono io per impedirglielo, ma questo è uno dei due lavori più inutili al mondo!”
“Ah sì? E il secondo qual è?”

Prima di rispondergli il vecchio andò a prendere una seconda pala e la passò ad Aaron.
“Era un motto del mio vecchio:
Ci sono due cose che sono inutili al mondo, la seconda è spalare la neve, che ora che hai finito devi già ricominciare.
La prima è accoppare la gente, che sa morire perfettamente per conto proprio.
E se proprio si è in vena di sentirsi inutili, e non utili come ha detto lei, allora è meglio pigliare una pala!”
“Saggio il suo vecchio”.
“Già, ma visto il numero di tragedie che si sentono ogni giorno ho paura che ci siano poche persone che spalano neve di questi tempi”.
“Non saprei, dovrei chiedere ad un mio amico, esperto di statistiche, se in inverno il numero degli omicidi è minore”.
Nel dirlo aveva sentito quel brivido, il lavoro, Reid, la squadra.
Gli mancavano già?
Il vecchio rise dell’uscita di Aaron.
“Buona questa, lei è simpatico sa giovanotto!”
Aaron sorrise, giusto ad un novantenne poteva venire in mente di definirlo un giovanotto.

Riprese a spalare di buona lena, ripensando alla saggezza popolare, inutile uccidere… la gente muore lo stesso.
Sembrava che quel vecchio avesse dato l’ennesima risposta al suo dilemma, sul fatto se avrebbe fatto meglio a ammazzare Foyet… ci avrebbero pensato i tribunali e il boia.
Niente contro la pena di morte per certi individui, ma perché emettere lui la sentenza se poteva evitarlo?

Dopo un pezzo, Haley uscì con Jake, entrambi ben intabarrati.
E vista la notevole nevicata parve ad entrambi un ottima idea fare un pupazzo di neve.
Jake aveva il visino arrossato, arrivarono anche altri bambini, coi rispettivi genitori e tutti insieme terminarono il lavoro, poi iniziò una furibonda battaglia a palle di neve.
I bambini più grandi lasciavano stare Jake, che dal canto suo approfittava un po’ della cosa colpendo a tradimento.
Per fortuna mancava spesso il bersaglio o forse la pazienza dei più grandi si sarebbe esaurita alla svelta.
La fine ideale di quella giornata era una bella cioccolata calda e… un tappeto dove scatenarsi con le costruzioni.

La sera…
Era tornato al presente.
Lesse il messaggio di Penelope.
Stiamo bene, ma tu ci manchi, sappilo!
Un accenno di sorriso e spiegò ad Haley che gli facevano sapere che sentivano la sua mancanza e niente altro.
“Forse dovrei dire loro che la cosa è reciproca… ma non voglio illuderli”.
“Illuderli? Aaron… che sta succedendo?”
“Ho rassegnato le dimissioni”.
Ecco l’aveva detto.

Si aspettava di vederla saltare per casa dalla gioia.
Invece lei assunse un espressione preoccupata.
“Cosa hai fatto? Ma quando? E perché?”
“La sera in cui abbiamo catturato Foyet, ho consegnato pistola e distintivo”.

Lei si rese conto allora che non aveva badato al fatto che Aaron non avesse messo al sicuro la pistola come faceva sempre quando vivevano insieme, non aveva fatto caso alla cosa o non aveva voluto notarlo, sapeva che c’era qualcosa che non andava.
Ma non credeva si fosse dimesso, per lui il lavoro era tutto e ripenso a cosa c’era scritto sulla sua lettera.
Non so se sono ancora in grado di farlo.
Si sentiva in un modo strano, avrebbe voluto esultare all’idea che aveva scelto lei e Jake, ma non voleva che poi avesse dei rimpianti.

“No, Aaron non puoi farlo!”
“Cosa?”
Lui era esterrefatto, non era possibile che proprio lei fosse contraria.
Avevano divorziato per il suo lavoro.
Che novità era mai questa?

“Aaron non capisci? Tu mi hai spiegato che Foyet si era vantato di aver sfasciato la tua famiglia, ma non è detto che stesse parlando di noi, poteva anche parlare della squadra, o magari si riferiva ad entrambi… non puoi lasciarlo vincere, ora sei convinto, ma con il tempo avresti dei rimpianti”.
“No, ti ho fatto una promessa ed intendo mantenerla!”

“Aaron… te l’ho scritto e te lo ripeto: Non hai niente da farti perdonare, ficcatelo in testa!
Mi hai mentito”.
“No, ho solo aspettato a dirtelo…”
“Non parlavo delle dimissioni, quando eri in ospedale mi avevi detto che pensavi che ero forte e che potevo farcela, lo hai detto solo per darmi coraggio in realtà non lo pensi”.
“Sì che lo penso, sei una delle persone più forti che io conosca, stai crescendo nostro figlio da sola e…”
Si fermò consapevole di dove lei voleva arrivare.
“Appunto se credi davvero che sono più forte di due anni fa, perché non me lo dimostri? Posso farcela Aaron, non prometto che non avrò più crisi di nervi ad una chiamata nel cuore della notte o ad un anniversario mancato, ma se sono capace di crescere Jake da sola, allora posso anche farlo mentre tu sei al lavoro.. o almeno ci posso provare.
Quello che non posso fare è accettare che tu rinneghi te stesso, me lo hai detto tu una volta.”
“La gente cambia!”
“Ma non deve succedere per colpa di vermi come Foyet, non voglio lui come ricordo della nostra riconciliazione, no… se lascerai il lavoro non sarà per me o per Jake. Anche io sono cambiata!”
“Voi siete la cosa più importante della mia vita!”
“E tu lo sei per noi, ma non cambio idea, non puoi dimetterti”.
“L’ho già fatto…”
“Ritirale!”

Era sconvolto.
Tutto poteva aspettarsi tranne che fosse proprio lei a dirgli di non dimettersi.
Il mondo stava andando alla rovescia.

Ritorni

Non era certo di cosa aspettarsi.
Non aveva salutato nessuno di loro, se ne era andato e basta.
Almeno Gideon una lettera a Reid l’aveva lasciata, lui nemmeno un ciao.
Aveva risposto al messaggio di Penelope di due giorni prima.
Passerò a trovarvi uno di questi giorni.

Haley era a casa con Jake, sarebbe andata da sua madre, e dalla sorella, non era ancora deciso cosa avrebbero fatto, ma doveva prima chiudere con il passato.
Liberarsi del tutto dello spettro di Foyet, ed Haley aveva ragione, non poteva farlo se lasciava il lavoro, avrebbe sempre avuto la sensazione di aver lasciato qualcosa di incompiuto.
Dei nodi che prima o poi sarebbero arrivati al pettine.

Le porte dell’ascensore si aprirono sul corridoio che portava all’unità comportamentale, pochi passi, una porta a vetro ed eccoli lì tutti insieme, o quasi, la sua squadra.
O forse sarebbe stato più corretto dire la squadra di Derek.
L’unico assente, probabilmente in ufficio, o in riunione con la Strauss.
Rimase lì per qualche secondo, ad osservarli.
JJ stava spiegando una cosa a Rossi che ascoltava attento, Reid aveva ora solo una stampella e stava parlando con Prentiss, mentre Garcia sorbiva un caffè cercando di seguire entrambe le conversazioni, e probabilmente riuscendoci anche.
Pochi secondi, poi qualcuno lo vide.

“Agente Hotchner, bentornato!”
Era stato uno degli altri agenti presenti nell’open space a vederlo, pareva che non sapessero che si era dimesso.
Gli altri gli furono attorno in un lampo.

“Hotch!”
“È venuto sul serio!”
“Andiamo nel tuo ufficio”.
L’ultima frase lo colse di sorpresa, lui non doveva più avercelo un ufficio.
Che storia è questa?

Salirono di sopra.
JJ gli fece cenno di non dire niente.
Emily chiuse la porta.
“Non ti arrabbiare ma abbiamo intercettato le tue dimissioni e… non sono mai arrivate dalla Strauss”.
“Sapevo che un’informatica di mia conoscenza vi avrebbe messo lo zampino, ma io le avevo mandato una copia cartacea, che…”

Si fermò notando l’espressione di JJ
“Che io ho intercettato… lei non le ha mai ricevute!”

“JJ? Perché non ce lo avevi detto?”
Le chiese Rossi stupito di scoprire solo in quel momento che la donna sapeva più cose di quelle che gli aveva fatto intendere.
“Perché avevo capito che qualcosa bolliva in pentola, e quando poi abbiamo ricevuto da Derek l’ordine di non parlare della consegna di pistola e distintivo da parte di Hotch, ho capito che avevo fatto bene. Non eravate i soli con un segreto, scusatemi.”

“Quando le hai intercettate?”
“Il mattino dopo che le avevi imbustate, la stessa mattina che ti sei assentato per la trappola, erano nella casellina del vicedirettore e io sono arrivata prima di lei, ho capito cos’erano e ho agito d’impulso!”
“Quindi io sono ancora in servizio?”
“Già, Derek ha detto che eri in permesso, e non ha voluto sentire ragioni”.

“Se però vuoi ancora darle, ecco se proprio sei deciso… sono ancora nella mia scrivania”.
“Però hai cambiato idea, vero?”

Si sentiva assediato, non solo non erano arrabbiati con lui per quello che aveva fatto loro passare, ma avevano anche rischiato il posto per non far sapere che se ne era andato senza spiegazioni.
Arrivo anche Derek.
“Ciao, Hotch. Sei ancora in vacanza o torni?”
“Io veramente mi ero dimesso…”
“Davvero? Io pensavo solo di avere in custodia la tua pistola fino al tuo ritorno? Allora ho capito male, scusa!”

Disse porgendogli pistola e distintivo.
Hotch rimase per qualche secondo immobile, fissando ad uno ad uno i membri della squadra.
Poi scosse un poco la testa mentre sorrideva davanti alla notevole faccia di bronzo di Morgan.
E prese quello che gli veniva offerto, un ritorno senza domande.

Nel frattempo anche Haley stava affrontando un ritorno.
Sua sorella aveva portato Jake alla scuola materna, e lei stava riprendendo confidenza con la ritrovata situazione, ad un certo punto della mattinata suonarono alla porta.
Andò ad aprire e si trovò davanti a Frederick.

“Ciao, sei tornata finalmente, sei stata via parecchio!”
“Frederick, che sorpresa, ma… non ci sentiamo da anni, cosa ti è successo?”
“Oh questo?” Disse l’uomo indicando un vistoso ematoma che si stava riassorbendo sulla fronte.
“Una caduta un paio di settimane fa, ma dovevi vedermi allora, parevo un procione”.
“Mi spiace, sono felice di vedere che stai bene”.
“Sei tornata con tuo marito?”
“Ecco… Frederick tra noi è tutto finito anni fa, non credo siano affari tuoi”.
La donna iniziò a sentirsi infastidita e voleva mandarlo via.
Trovava strano che si interessasse a lei ora.
La metteva a disagio.

“Dovresti andartene”.
“Non subito… non avere fretta…signora Hotchner!”
E la spinse in casa.
Lei tentò di gridare, ma l’uomo le mise un panno sul viso, forse conteneva cloroformio, dato che dopo pochi istanti perse i sensi.
E sul volto dell’uomo si disegnò un ghigno malvagio che ne distorceva i lineamenti.


Rimorsi

Si sentiva intorpidita, era nel bagagliaio di un automobile, aveva le mani legate dietro alla schiena un pezzo di nastro isolante sulla bocca.
Il terrore la avvolse.
Non è possibile, tornare a casa al sicuro e questo…no…non è possibile.

Piangeva, non sapeva nemmeno lei da quanto.
È un incubo ora mi sveglierò. Non è giusto.
I pensieri si susseguivano a sprazzi.
Jake, è al sicuro, l’importante è questo.
Il senso del tempo sfalsato dal buio, dal non sapere per quanto era rimasta priva di conoscenza, dalla paura.
Come faranno a trovarmi?, Ad Aaron non ho mai detto di Frederick.
Non sa chi sia… nemmeno io lo sapevo a quanto pare.

Ad un certo punto sentì che l’auto si fermava.
Il bagagliaio venne aperto, era buio anche fuori, erano passate ore dal sequestro.
“Oh ci siamo svegliati? Non agitarti, finirai con il farti più male!”

L’uomo la portò dentro una casa, passando dal retro.
Era una piccola costruzione ad un piano, le abitazioni vicini sembravano disabitate, non una luce, non un suono proveniva dalle altre finestre.
Tentò di gridare, ma non le riuscì.
Frederick la spinse su un divanetto.
Poi si mise a legarle anche i piedi.
“Per sicurezza, prima che ti venga in mente di farti una corsa. Ora vedremo se riesco a terminare il lavoro in sospeso”.

Cercava di reagire, ma l’aveva legata stretta, impossibile tentare la fuga.
Rimase immobile, atterrita.
Che lavoro in sospeso? Di cosa sta parlando?
Lo vide prendere un telefono e lo senti parlare, anche se non capiva cosa diceva, era troppo distante per afferrare tutte le parole, ma una cosa la sentì chiaramente.
“Non farete in tempo!”

A salvarmi? Sta parlando con Aaron? Con la polizia…no…no…no


Lo vide spostarsi nell’altra stanza e lei ricominciò a cercare di liberarsi, ma sembrava che più lottava e più le corde le si serravano intorno ai polsi.
Le parve di avere le mani bagnate, poi sentì il dolore, quello arriva sempre dopo.
Era il suo sangue, aveva sfregato talmente tanto da tagliarsi.
E non era più libera di quando era chiusa nel bagagliaio.

Sentì i suoi passi, stava tornando.
Aveva sempre provato rimorso per il suo tradimento, ma onestamente le sembrava che quello fosse un prezzo troppo alto.
Un’enormità, per un momento di debolezza.
Cercò di trattenere le lacrime, non voleva dargli quella soddisfazione, non avrebbe supplicato.
Non avrebbe più pianto.
O almeno era intenzionata a provarci.


Aaron stava parlando con Derek dei cambiamenti che aveva in mente, per passare più tempo con la sua famiglia.
Sarebbe stato complicato, erano entrambi dei leader e una squadra poteva avere un capo alla volta, ma se ripensava a quando c’era Gideon gli era difficile pensare che lui e Derek sarebbero stati da meno.
Rossi era dubbioso, ma una volta espresse le sue perplessità aveva lasciato i due uomini a discutere i dettagli, nell’ufficio di Derek.
Penelope arrivò sulla porta con un aria sconvolta.
“Hotch, c’è un problema.
Hanno eseguito il test del DNA sui resti di Summers, l’apparecchiatura era guasta, ma non avevano fretta perché erano certi fosse lui, trascinato nel fiume per qualche centinaio di metri lo avevano ripescato con l’incerata con cui lo si era visto cadere, ma il volto era irriconoscibile per i colpi presi nella caduta.
Ma quando hanno potuto fare la verifica con il DNA… Non è il suo corpo”

Derek chiamò a raccolta la squadra, con una pattuglia si diressero a casa di Haley, l’espressione di Hotch era indecifrabile.
Agli altri pareva di tornare indietro a mesi prima, quando erano corsi temendo il peggio dopo che avevano trovato Hotch in ospedale.
Il telefono di Hotch prese a squillare.

“Hotchner”
“Oh, bentornato agente supervisore Hotchner.”
“Summers!”
“Immagino abbiate scoperto di avere il corpo sbagliato.
Quel poveraccio doveva essere lì dalla sera prima e nessuno lo aveva visto, però mi ha attutito la caduta, e quando poi sono stato nel fiume mi è parso molto semplice mettergli addosso la mia incerata, aveva il volto irriconoscibile, mi sarei preso qualche ora di vantaggio, ma non pensavo me ne deste tanto. Veramente gentili.”
“Tu torcile un solo capello…”
“E cosa? Sai, non farete in tempo. Non potrai salvarla, arrenditi all’evidenza!”

E riagganciò.
Hotch gettò il telefono con rabbia.
Dal dialogo era evidente che doveva aver già preso Haley, o forse l’aveva anche già uccisa.
Arrivarono alla casa, la porta era socchiusa.
Vide l’auto della cognata avvicinarsi. Jake era nel sedile posteriore.

“Che succede? Cosa… Haley!”
“Porta via Jake”
“Ma…”
Vide l’espressione sul volto dell’uomo e decise che era meglio se obbediva in silenzio.
Il bambino non capiva come mai la zia non lo avesse fatto scendere per andare da mamma e papà, sì girò a guardare mentre si allontanavano, e vide solo che tutti si muovevano molto piano intorno alla porta, e prima che potesse vedere altro la macchina della zia affrontò una curva e sparì dal vialetto togliendogli la vista della casa.

Hotch entrò per primo, vide il mobiletto d’ingresso rovesciato, segno di una colluttazione, ma dentro la casa non c’era nessuno.
Doveva averla rapita.
Dove potevano cercarla?
L’indirizzo di Summers era stato controllato, due settimane prima per cercare le tracce della sua complicità con Foyet, venne mandata una pattuglia a verificare che non fosse tornato lì, ma Hotch sapeva che non era così, sarebbe stato troppo semplice trovarlo, e gli aveva detto che non avrebbe fatto in tempo.

Mai e sempre

Garcia era sconvolta, non era riuscita a rintracciare la chiamata fatta da Summers, era stato troppo poco al telefono, e la loro sola speranza di sapere dove quel pazzo avesse portato Haley era sparita con il lampeggiare del banner che diceva Niente segnale.
Non può essere, non può essermi sfuggito così!
La donna digitò febbrilmente qualcosa alla tastiera e andò a cercare dove possibile delle altre risposte.
Morgan le diceva sempre di fare una delle sue magie, mai come adesso lei avrebbe voluto accontentarlo.
Correvano veloci le sue dita sulla tastiera, ogni tanto staccava una mano e si sistemava gli occhiali, non era un gesto realmente necessario, era un modo come un altro per stemperare la tensione, una frazione di secondo, un tocco veloce alla montatura colorata e riprendeva veloce come prima, più di prima.
Il tempo era il loro reale nemico.
E forse era già troppo tardi.
Sentiva un sorda oppressione salirle al petto, lo stesso groppo di lacrime che aveva pianto settimane prima, ma ora non c’era tempo per le lacrime, un sospiro e vennero ricacciate indietro, Haley era ancora viva e loro l’avrebbero salvata.
Doveva andare così, non doveva nemmeno pensarlo che il peggio fosse già accaduto.
Via cattivi pensieri, non mi servite a niente adesso.

Emily e Rossi spiegarono ad Aaron cosa avevano saputo su Summers da Foyet.
“Era un’agente semplice, quando per qualcosa che avvenne anni fa, venne degradato, rimase sempre nell’FBI ma svolgeva esclusivamente incarichi di tipo impiegatizio, cancelleria, con poche responsabilità”.
“Circa tre anni fa, venne trasferito in Virginia e poco più di sei mesi fa, al nostro stesso piano”.
“Pare che poco dopo il suo trasferimento abbia iniziato a… non c’è un modo per dirlo che non faccia male”
“Cosa?”
Fu Emily a sganciare la bomba.
“Pare che si documentasse su quando tu eri fuori, per poter incontrare Haley, e nello stesso periodo incontrò Foyet, che ti teneva d’occhio in quanto supervisore capo dell’unità che avrebbe investigato su di lui. Non è troppo chiaro cosa sia successo, ma…”
“Un’idea ve la siete fatta. Scommetto che ad Haley non ha mai detto di lavorare per L’FBI”.
“Già le avrà dato un nome falso, Foyet si è vantato di averti distrutto il matrimonio, ora sappiamo come”.
“Ma cosa posso aver fatto da indurre un agente ad essere complice di un assassino?”
“Hotch! Quell’uomo è pazzo, non darti la colpa per quello che lui vi sta facendo!”
“Ma deve essere qualcosa che ho fatto io, non capisci?”
Stavolta fu Rossi ad intervenire.
“Hotch, qualsiasi decisione tu abbia preso, qualsiasi, non giustifica quello che lui sta facendo ora, fosse anche che lo hai denunciato tu per un qualche motivo, avevi solo ragione, come sta dimostrando ora”.
“Dave, apprezzo le buone intenzioni, ma così è quasi peggio, ho notato qualcosa che non andava e non ho preso provvedimenti adeguati in tempo?”
“Non pensarlo nemmeno!”
“Credete che Foyet sappia altro? Un nascondiglio?”
“Se anche fosse non ce lo dirà mai”.
“Devo tentare, devo fargli dire dove tiene Haley, devo fargli credere che lui si piglierà i suoi…meriti… così vorrà che lo fermiamo prima che la uccida. Mi illudo lo so ”.
“Non è detto”.

Andarono nel carcere di massima sicurezza dove era detenuto Foyet.
Il volto di Hotch non tradiva la minima emozione, come quando era stato aggredito dall’uomo mesi prima.
Aaron ricordava molto bene come l’uomo gli avesse fatto i complimenti per non mostrare paura perché il suo profilo prevedeva che si divertisse ad uccidere solo quando vedeva la sua vittima in preda al panico.
E lui gli aveva replicato che forse non mostrava paura perché non gliene faceva.
Ed era vero, per se non temeva, ma l’idea che potesse succedere qualcosa ad Haley cambiava le cose, ma Foyet non lo doveva sapere.
In un flash rivide un vecchio SI, uccideva le sue vittime con le loro fobie e a lui aveva detto che la sua fobia più grande era di non poter salvare tutti, davanti alla sua espressione ferma aveva aggiunto anche: “Oh… è peggio di quello che pensavo!”
Poi si era lanciato nel vuoto.
Quella volta erano arrivati in tempo a salvare una donna che era stata sepolta viva.
Anche questa volta sarebbero arrivati in tempo.
O non se lo sarebbe mai perdonato.

Haley sostenne lo sguardo del suo aguzzino.
“Oh, George sarà felice che termino il lavoro che lui ha lasciato incompiuto”.
Lei ripensò a quando lo aveva incontrato la prima volta, era stata in ospedale per una visita di controllo di Jake, Aaron se ne era dimenticato.
Si era diretta furiosa in ufficio, non era niente di grave, ma non intendeva accettare che il marito mettesse la salute del figlio dopo il lavoro, Jake aveva chiesto incessantemente del suo papà, le apparecchiature lo avevano spaventato e lei aveva fatto del suo meglio per calmarlo.
E la rabbia verso il marito cresceva secondo dopo secondo.
Non era la prima volta che succedeva.
Ma era intenzionata a fare in modo che fosse l’ultima.
Quando era arrivata lo aveva trovato in procinto di partire, l’ennesima missione, l’ennesimo: “Ne parliamo poi”.
Era uscita dalla sede in lacrime e si era diretta in un caffè lì vicino.
Un uomo le si era avvicinato per chiederle se aveva bisogno di aiuto.
“No, grazie, sto bene”.
“Mi scusi se mi intrometto, ma non si direbbe proprio”.
Era stato cortese e gentile, e lei si era ritrovata a sfogarsi, senza spiegare che lavoro faceva suo marito, non era prudente dire di essere moglie di un agente FBI al primo sconosciuto incontrato in un bar.
Si erano incontrati altre volte, credeva fossero solo coincidenze il fatto che sbucasse fuori sempre quando era in rotta con Aaron, ma ora… evidentemente non era così.
E non era nemmeno strano che avesse fatto scoprire la loro relazione ad Aaron, la sua telefonata non era stata un ingenuità, era stata fatta apposta.
Foyet, ancora lui, non rivedrò mai più Jake ed Aaron
A quel pensiero gli occhi le si riempirono di lacrime, mentre l’uomo le passava una lama affilata lungo i fianchi, come a decidere dove colpire.
Non riuscì a trattenersi e scoppiò in singhiozzi disperati.


Aveva sperato di non rivederlo mai più.
Aveva già deciso che non sarebbe andato a vedere la sua esecuzione, per non dargli l’ultima soddisfazione.
Sapeva che forse lo avrebbe dovuto interrogare per lavoro, in fondo era schiavo del servizio, ma sperava di delegare ad altri il compito, ma questa volta non poteva.
Solo lui sarebbe riuscito a spingere Foyet a tradirsi, non perché sarebbe caduto nel suo tranello, no… solo per poterlo torturare una volta di più.
E sia, se questo salverà Haley posso sopportarlo.

L’uomo lo guardava, dall’altra parte del tavolo d’interrogatorio, con quell’aria strafottente di chi sa di tenere gli altri in pugno nonostante le manette ai polsi ed alle caviglie.
Rossi ed Emily erano rimasti fuori, seguivano l’interrogatorio dalla tv a circuito chiuso della stanza a fianco.
“Forse uno di noi dovrebbe essere con lui”.
“Emily, Hotch sa quello che fa, Foyet non parlerà con noi, vuole vantarsi della sua vittoria con lui, se ci fossimo anche noi sarebbe peggio, vorrebbe farci capire come lo tiene in pugno, così invece Hotch può andare dritto al punto”.
“Ma è solo…”
“No, non lo è, sa che siamo pronti ad intervenire in ogni momento”.
Emily si voltò verso lo schermo, in palese ansia per il collega, lo aveva visto provato in quei mesi e l’aria serena con cui aveva sorriso quel mattino davanti alla loro insubordinazione pareva un ricordo lontano, spazzato via da quel sorriso beffardo e maligno che stava là ammanettato, ma fin troppo libero per i suoi gusti.

Hotch mise le carte in tavola.
“Il tuo complice se l’è cavata. Ora ha rapito la mia ex-moglie e intende finire il tuo lavoro, sicuro di volere che si prenda lui il merito?”
“Oh, saprà fare un buon lavoro, anche se non sa lavorare fino come me, io le faccio durare le mie vittime, tu ne sei la prova vivente… tu e l’agente Morgan. A proposito è ancora seccato che tu hai usato il suo tesserino? Continua a cercare di farsi passare per te o lo hai rimesso al suo posto?”
Hotch rimase impassibile, concentrato sull’obbiettivo. Cosa aveva dentro non doveva trasparire. Non poteva permettergli di prendere il controllo.
“Sicuro di volere che si prenda il merito di essere te? No perché è quello che sta facendo, lascia intendere che noi avremmo catturato un semplice aggressore di un agente FBI mentre è lui il vero mietitore”.
“L’esca è allettante agente Hotchner, ma cosa ti fa credere che io sia tanto stupido, credi davvero di fregarmi con così poco? Mi sottovaluti”.
Entrò Rossi, un aria furibonda in viso.
“Hotch, l’hanno trovata…mi dispiace”.
In mano teneva una foto, si vedevano delle gambe femminili spuntare da dietro ad una macchina, sulla macchina l’occhio stilizzato che disegnava Foyet.
Hotch prese la foto, l’aria di chi non ha niente da perdere.
“Hai perso la tua sola occasione, morirete entrambi George, ma mi assicurerò che il mondo intero creda che tu eri il complice del mietitore e non il contrario, sarà la mia vendetta”.
Hotch uscì, lasciando Rossi da solo con Foyet.
“Non hai nulla che mi interessi ormai”.

Rossi attese che la porta fosse chiusa.
“Lui ormai ha perso tutto, ma tu puoi tenerti la tua fama, fammi catturare Summers e a pensare che non passi per te ci penso io”.
“Ma Hotchner lo sa di avere una marea di traditori nel suo team? Altro che squadra d’acciaio, pur di prendere il suo posto passereste sul suo cadavere”.
“Non sono affari tuoi, ma se Hotch lo cattura può facilmente farlo passare per te, gli basterà dire che era stato lui ad aggredirlo mesi fa, gli crederanno, se lo prendo io invece…”

Hotch ed Emily osservarono il miglior Dave Rossi, versione Giuda, all’opera per quasi due ore.
Fu un lento stillicidio.

Piano piano tirava il pesce che aveva pescato verso la sua barca aspettando il momento buono per arpionarlo e tirarlo su.
Rinfocolava la sua rabbia verso quel banale imitatore, lasciava intendere che il suo obbiettivo era aggiungere un altro best sellers alla sua collezione, con lui come protagonista, blandiva il suo ego paragonandolo al proprio.
Un vero artista della truffa all’opera.
E quando stava quasi per perdere le speranze di farcela la crepa, era entrato.
Aveva distolto l’attenzione di Foyet da Hotch e l’aveva per se.
La rabbia dell’uomo era palese, l’idea di essere defraudato della fama di più spaventoso serial killer di tutti i tempi gli fece commettere il più semplice degli errori, cadere in trappola.
“Fuori Washington DC ci sono varie città semiabbandonate, ci trovavamo sempre in quelle periferie degradate, con poca sorveglianza. Non so quale rifugio abbia scelto, ma lo dovete cercare lì”.

Rossi uscì a rotta di collo dalla stanza.

Una volta fuori raggiunse Emily e Hotch che stavano andando a passo spedito verso l’uscita, dalle celle adiacenti i colpi degli altri detenuti che si gettavano contro i vetri antisfondamento.
Nessuno dei tre badò loro nemmeno di striscio.
Una volta in auto Rossi disse.
“Non era furbo quanto credeva!”
“Lo spero, potrebbe anche averci mandato a vuoto”.
“Non credo quel fotomontaggio lo ha colto di sorpresa, forse ora ci sarà arrivato, ma prima no, era furioso”.
“E tu sei stato molto convincente nella parte del traditore del capo uscito di senno”.
“Ah non lo sai? Durante la processione del venerdì santo da bambino facevo sempre la parte di Giuda”.
Dopo averlo detto Rossi si maledisse da solo.
Ma che cavolo mi viene in mente…IDIOTA!

Hotch non pareva nemmeno aver sentito, disse ad Emily di far controllare a Garcia i dati che erano in loro possesso sugli spostamenti di Summers, se stavano nei paraggi di Washington D.C. dovevano essere vicini.
Ma si era fatto buio.
Squillò il telefono di Hotch.
Era un numero fisso, Emily disse a Garcia di controllarlo.
Hotch rispose.
“Buonasera Agente Hotchner, ancora a darmi la caccia?”
“Summers non hai scampo, se vuoi evitare la galera a vita o peggio, arrenditi fino a che sei in tempo!”
“Oh, ma non hai ancora capito? Te l’ho detto questo pomeriggio e te lo ripeto ora. Non farete in tempo”.
“Tu…”
“Sì, sì lo so, non le devo torcere un capello… di un po’ che te ne sembra della sua nuova tinta? Io la preferivo prima, il biondo le stava molto meglio. Ma magari a te piace di più così, le hai detto che le sta bene il nuovo colore? Oh scusa devo riagganciare, o farete in tempo a rintracciarmi, buona serata”.
Aaron strinse i pugni sul volante con tale forza da conficcarsi le unghie nei palmi delle mani.
Garcia questa volta lo aveva preso, ce l’aveva fatta, anche perché aveva quell’indizio, dintorni Washington D.C.

Il nome della città, l’indirizzo e due suv, uno con Morgan, Reid e JJ che erano di poco più lontano, erano stati a perquisire a fondo l’appartamento di Summers; l’altro con Hotch, Prentiss e Rossi si diressero là a tutta velocità.
Pregando e sperando di fare in tempo, la speranza appesa ad un filo sottile.
Garcia restava in contatto dal suo bunker dei computer, il volto teso ed angosciato.
La strada pareva non finire mai.
Case sfitte, con cartello vendesi, piccola periferia colpita dalla crisi, le assi alle finestre ad indicare che li una volta c’era stato qualcuno che pensava di poter tornare a viverci e cercava di preservarla dai malintenzionati.
Poi quella casa.
Quella segnalata da Garcia.
La corsa dentro, la colluttazione, gli spari.

Due.

E il silenzio.
Un silenzio innaturale, di morte.
Summers giaceva riverso nell’ingresso, aveva cercato di aggredire Hotch quando era entrato per primo, ma Derek e Rossi avevano fatto fuoco coprendo il collega.
E per Fred Summers non c’era stato scampo.
Hotch era corso all’interno della casa, aveva cercato Haley.
L’aveva trovata. Sul divanetto. Esanime.
Derek e gli altri fissavano l’amico che stringeva tra le sue braccia la donna, il silenzio spezzato da un grido.
“UN MEDICO, PRESTO!”
La prese in braccio per portarla lui stesso in ospedale.
Ma era tardi.
Haley rimaneva inerte tra le sue braccia, morta.

E lo sapevano tutti.
Ma Aaron non voleva crederci, non poteva arrendersi.
La mise per terra ed iniziò a praticarle il massaggio cardiaco, 5 pressioni un’insufflazione, 5 /1, 5/ 1…
“Respira Haley!”
“Respira…”
Dave gli mise una mano su una spalla.
“Aaron, è inutile”.
“NO!”
L’uomo lo spinse via con rabbia e riprese la rianimazione.
Derek si mise di fronte ad Hotch, inginocchiato, gli mise una mano sulle sue congiunte sul petto di lei.
“Non serve Hotch… non serve più”.
Aaron smise di comprimere, ma continuava a muovere il busto avanti ed indietro come totalmente inebetito.

Garcia aveva seguito la concitazione dal suo bunker e stava piangendo disperatamente, poteva essere stata questione di minuti.
Si sarebbe per sempre sentita in colpa.

Un giorno solo era passato.
Dal funerale.
Aaron aveva preso un permesso, voleva e doveva stare vicino al figlio.
Ma ora era da lei.
Seduto su una panchina davanti alla motta di terra sotto cui Haley era stata sepolta il mattino precedente ripensava alla loro ultima settimana insieme.



Yesterday, all my troubles seemed so far away,
Now it looks as though they're here to stay,
Oh I believe in yesterday.



Non gli sembrava possibile che lei fosse lì, solo tre giorni prima avevano riso insieme.

“Aaron, prendiamoci tempo, non decidiamo d’impulso solo su spinta della situazione vissuta in questi mesi”
“Ho tanto da farmi perdonare”.
“Smettila, anche io, ma se stiamo a recriminare chi ha fatto cosa a chi, invece di una riconciliazione o un matrimonio finiremo con l’avere un tabellone segnapunti”.
“Dove l’ho già sentita questa frase?”
“Ah non lo so, quante altre volte ti sei sposato?”
L’aveva detto portando le mani ai fianchi con un espressione finto burbera che lo aveva fatto ridere.

Suddenly, I'm not half to man I used to be,
There's a shadow hanging over me.
Oh yesterday came suddenly.
Why she had to go?



Il sole venne coperto da una nuvola.
L’aveva amata, forse l’amava ancora.
Non sapeva come sarebbe potuta andare, ma aveva sperato di poterci almeno provare.
E invece, lei se ne era andata.
Gli era stata portata via.
Sarebbe sempre rimasto un rimpianto per tutte le cose non dette.

I don't know she wouldn't say.
I said something wrong,
now I long for yesterday.



Quante cosa avrebbero potuto essere diverse.
Ora non sapeva cosa fare.
Il lavoro era la sua vita, Jake lo era.
Come conciliare l’essere rimasto il solo genitore con il continuare a fare il proprio lavoro.
Cosa avrebbe detto lei?
Che non doveva darla vinta a Summers ed a Foyet come aveva detto giorni prima, o avrebbe detto altro?

Yesterday, love was such an easy game to play,
Now I need a place to hide away,
Oh I believe in yesterday.



Pareva così facile quando c’era lei.
Lo aveva fatto sembrare facile.
Non lo sarebbe mai stato.


FINE



Edited by rabb-it - 23/11/2011, 16:49
 
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