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Sotto protezione, Criminal Minds (5 serie)

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rabb-it
view post Posted on 20/3/2010, 13:54 by: rabb-it




Autore:Rabb-it
Titolo:Sotto protezione
Rating:G
Categoria:Long-fic
Avvertimenti:Fluff... il vostro dentista farà affari.
Personaggi/coppia:Haley/Hotchner, il team
Spoilers:Anticipazioni sulla quinta serie
Disclaimer:I personaggi non mi appartengono, ma sono di Jeff Davis. Criminal Minds appartiene alla CBS. Questa storia non è a scopo di lucro.
Note:Dopo aver visto la prima puntata della quinta stagione ho

avuto pietà di Haley e ho deciso che meritava una possibiltà. Forse...



Se desiderate lasciare un commento, questo è il link.
Grazie.


Sotto protezione



Haley osservava il figlio dormire.
Quella sera non ne voleva sapere di mettersi a letto, quella specie di vacanza proprio non gli piaceva, e per fortuna era troppo piccolo per capire quanto fossero in pericolo.

Un assassino aveva quasi ucciso Aaron, ed ora lei e il bambino erano sulla lista di quell'uomo come prossime vittime.
Quando l'aveva saputo non aveva nemmeno saputo confortare suo marito, ex...

Io IO io... è tutto quello che gli ho saputo dire, ma ero troppo sconvolta.
Troppo spaventata.
Arrabbiata.


Due lacrime le scesero sulle guance, raggiunto il mento si congiunsero in una sola goccia che piombò sul pavimento, altre gocce seguirono la prima.
Non era scossa dai singhiozzi, erano solo lacrime silenziose che poteva far scendere solo quando Jake dormiva.
Se fosse capitato qualcosa ad Aaron, dopo che lei lo aveva quasi accusato di averli messi in pericolo, non se lo sarebbe mai perdonato.

E non posso nemmeno fargli sapere quanto mi dispiace, niente contatti, di nessun genere.

Si asciugò le lacrime e tornò a leggere la lettera che aveva trovato tra le sue cose quando aveva disfato i bagagli.

Haley, volevo sapessi che mi spiace moltissimo per come si sono messe le cose tra di noi, non volevo che tuo marito capisse che frequentavi un altro.
Capisco che non è questo il momento per una relazione seria, e se vuoi cercare di ricucire le cose con il padre di tuo figlio, io mi ritirerò di buon grado, non verrò a disturbarti ulteriormente.
Frederick

Oltre un anno prima lei era uscita qualche volta con Frederick, era il periodo in cui lei e Aaron erano praticamente separati in casa, almeno quelle volte che lui era in casa, era sempre fuori per lavoro, e lei aveva fatto uno degli sbagli più grossi della sua vita.

Frederick era stato poi talmente ingenuo che avea fatto comprendere ad Aaron che lei aveva un altro e le cose non potevano che finire, con entrambi.
Dopo una telefonata a cui aveva risposto Aaron, sul telefono di casa, lui l'aveva chiamata sul cellulare e la sua aria quando lei non aveva risposto subito l'aveva inchiodata, difficile mentire ad un esperto in profili criminali.

Il giorno dopo Frederick le aveva recapitato quella lettera.

E lei aveva deciso che non importava, se non troncava lui lo avrebbe fatto lei.
Si sarebbe dedicata a Jake e a se stessa, Aaron aveva il suo lavoro, lei aveva la sua vita.
Non sapeva nemmeno perché l'aveva conservata, forse per ricordarsi di come aveva gettato alle ortiche il suo matrimonio.

Ed ora questo.
Protezione testimoni, lei e Jake che scomparivano, forse per qualche mese, forse per anni.
L'angoscia l'assalì nuovamente.

Chiuse la porta della sua camera e si prese il viso tra le mani, stavolta i singhiozzi vennero.
Aaron...Aaron...

Visto che il prologo era proprio breve breve,faccio un eccezione e pubblico anche il primo dei capitoli già scritti. Il prossimo, arriverà mercoledì prossimo, e no, non ho scelto il giorno a caso! 8-)

Primo capitolo


Aaron stava parlando al telefono.

“Ho alcuni dei tuoi migliori allievi ad aiutarmi, sarà come se ci fossi anche tu.
Grazie per aver chiamato, no oggi mi dimettono, praticamente li ho obbligati.
E Jason, grazie, dico davvero non preoccuparti. Ciao”.

Appoggiò il telefono sul comodino, e rimase qualche istante assorto a pensare all’amico che non vedeva ne sentiva da quasi due anni, se si escludono i due biglietti con gli auguri di Natale a tutta la squadra.
Sapeva che se glielo avesse chiesto sarebbe andato a dare loro una mano, ma non voleva chiederglielo, avevano catturato la prima volta Foyet mesi prima, senza Gideon, lo avrebbero preso di nuovo.
Doveva essere così.

Non ne poteva più di essere confinato in ospedale, quelle tre settimane lo avevano portato al limite della sopportazione, non gli bastava più avere i resoconti giornalieri della squadra, andavano tutti a trovarlo per tenerlo aggiornato, e per distrarlo, o almeno ci provavano.
Reid era stato il più assiduo, lui e le sue stampelle non avevano mancato una visita, solidarietà tra convalescenti.
Spencer era stato ferito lo stesso giorno del suo ricovero in ospedale, e stava lavorando esclusivamente in sede in quelle settimane, sembrava poi che la cosa avesse conseguenze più a lungo termine, due interventi per ricostruire i legamenti al ginocchio, quelle stampelle gli avrebbero fatto compagnia a lungo, ma era già tornato al lavoro.
E lui non intendeva essere da meno.

Riprese a preparare le sue cose per lasciare quella stanza, le giornate in qualche modo passavano, tra le visite dei medici, le terapie, gli amici, ma le notti no. Quelle erano eterne.
E il ricordo di quello che era successo, e che sarebbe potuto accadere diventava prepotente, e se anche riusciva ad addormentarsi, erano incubi su incubi.

Aveva quasi terminato, dalla telefonata di Gideon a quel momento non poteva essere passato più di un quarto d’ora, e vide sulla porta l’agente Dave Rossi.
Dave sapeva quanto l’idea che Foyet sparisse per altri dieci anni, come aveva fatto quando aveva stretto il patto con Shaunessy, lo angosciava.
In realtà era dell’idea che lo avessero capito tutti, ma solo a Dave lo aveva detto chiaramente, e lui gli aveva risposto con la sola cosa che aveva bisogno di sentirsi dire: lo prenderemo!

“Mi hanno detto che hai chiesto di essere dimesso contro il parere del medico”.
“Ma, in questo ospedale lo sanno cos’è il rispetto della privacy?”
“Non l’ho saputo dall’ospedale”.
“Non sapevo che tu e Gideon vi sentiste”.
“Cortesie tra colleghi, ti accompagno a casa.”
“Dave, non serve, davvero”.
“Serve, inutile discutere”.

Aaron scrollò le spalle, maledicendosi nello stesso istante per le fitte che senti irradiarsi dall’addome per quel semplice gesto.
Rossi guardò il collega trattenere una smorfia di dolore, non disse niente, sapeva che niente gli avrebbe fatto cambiare idea, poteva solo offrirsi di aiutarlo.
Per quanto glielo avrebbe consentito.

“Non mi dici che sono un pazzo?”
“No, sarebbe come darlo a me stesso, non reggerei chiuso qui dentro e ti capisco, però perdonaci se saremo un po’ ansiosi”.
“Sarete?”
“Capirai. Hai terminato la valigia? Chiamo l’infermiere”.
“Posso uscire sulle mie gambe”.
“Regolamento, sai bene che almeno fino a sulla porta non vorranno vederti camminare”.
Un sospiro di rassegnazione fu la sola risposta di Aaron, era prossimo ad esplodere se lo tenevano ancora un’ora lì dentro.

Ma non ci volle un’ora, in meno di venti minuti lui e Rossi erano fuori in automobile, David cercava di farlo parlare, ma le risposte erano monosillabi, gli sembrava stesse rivivendo il suo rientro precedente.
“Hanno pulito completamente la scena, una volta catalogate tutte le prove, ti abbiamo riempito il frigo e non ti vogliamo in sede per almeno altre due settimane”.

Aaron parve svegliarsi dal torpore.

“Non se ne parla, mi sono fatto dimettere per tornare al lavoro, non per fare convalescenza a casa”.
“E noi non ti vogliamo raccogliere svenuto sul pavimento del tuo ufficio, tranquillo, le indagini le seguirai, fidati”.
“Perché non mi avete avvisato?”
“Perché sapevo, da ben prima che mi telefonasse Jason un ora fa, che non te ne saresti rimasto in quella stanza, e lo sapevano anche gli altri, ci siamo ingegnati per tenerti un po’ tranquillo, te lo dicevo che siamo un po’ in ansia”.

Aaron scosse la testa, doveva immaginarlo che la sua squadra non si sarebbe fatta sorprendere dalla sua decisione a rientrare, non dopo quello che era successo solo un anno prima.
Lavorare era la sola cosa che gli consentiva di non pensare al suo matrimonio finito, e non volle stare a riposo, rischiando di rimetterci l’udito, stavolta lo avevano anticipato.
E si ricordò delle domande su cosa ci fosse nel menù ospedaliero.
Era un modo per sapere cosa gli piaceva da fargli trovare nel frigo.
Reid avrebbe avuto il fatto suo per averlo raggirato, ma non potè fare a meno di apprezzare il gesto, cortesie tra amici.

Un sorriso triste gli increspò il viso, a momenti aveva legami più forti con i colleghi che con i parenti, fratello in primis.
Era andato a trovarlo diverse volte, e lui gli aveva fatto promettere di chiamarlo se avesse avuto bisogno, ma per quanto volesse bene a suo fratello, lui ora aveva solo bisogno di catturare un SI e uno chef non faceva al caso suo.
E il fratello lo sapeva bene.

“Novità su Foyet?”

Il macigno era stato sganciato.
Dave rispose che aveva le stesse notizie della sera precedente, e dopo aver parcheggiato l’auto, osservò per qualche istante l’amico.
Come fare a ripetere le stesse parole di tre settimane prima, quando da allora non avevano trovato un solo indizio o traccia per catturarlo.
Come aiutarlo a non arrendersi, quando lui per primo stava iniziando a dubitare delle sue convinzioni.



Secondo capitolo

Salirono all’appartamento, gli incubi che lo perseguitavano ripresero forma mentre si avvicinava alla porta, David aveva visto giusto, era meglio non essere da solo.
Reid si affacciò alla porta, si voltò verso l’interno ed esclamò un “Sono arrivati!” che probabilmente sentì tutto il vicinato.
Morgan lo affiancò, poi entrambi si fecero da parte per permettere ai due uomini di entrare.

“Era a questo che ti riferivi parlando di ansia?”
“Qualcosa del genere”.

Aaron ammutolì quando si accorse che il suo salotto pareva un distaccamento della sede di Quantico.
“Scusa Dave, ma non avevi parlato di un paio di settimane di riposo a casa?”
“Dipende da come intendi tu il concetto di riposo, per come ti conosco io: ti è estraneo”.

“Però Hotch ora sarebbe meglio che andassi a stenderti un poco, sei pallido da far spavento.”
“Sono d’accordo, nella tua stanza e in cucina, frigo a parte, non ci sono state nostre intrusioni”.
Erano state Emily e JJ a parlare. Indicandogli la sua stanza.
Lui accettò il consiglio senza fare storie, era rimasto in piedi pochi minuti, il tempo arrivare dall’auto e già si sentiva svenire, decisamente aveva ragione quel medico che lo aveva definito un folle a volersene uscire così presto dall’ospedale.

Ringraziò i ragazzi per il supporto e andò a stendersi, cercando di non guardare il tappeto smacchiato di fresco o il buco sul muro stuccato e riverniciato alla meglio.
Quando chiuse la porta dietro di se iniziarono a parlare sottovoce uno sull’altro.

“Non avremo esagerato ad invadergli casa in questo modo?”
“Non era meglio trovargli un altro appartamento?”
“Non saremo troppo assilanti?”

David tacitò i suoi colleghi.
“Sì, ma non potevamo lasciare che tornasse in sede in quelle condizioni e piazzare un letto nell’ufficio non mi pareva il caso.
No, questa è casa sua, meglio affrontare i propri incubi.
Poco, ma sicuro che siamo assillanti, cerchiamo di darci una calmata e lasciamolo respirare.”

Un’oretta dopo Hotch uscì dalla sua stanza, e affrontò la questione con i colleghi, i casi.
“Quanti casi state seguendo?”
“Finora tre, ma Foyet ha la priorità!”
“Non fatelo.”
“COSA?” Avevano parlato in tono normale, ma avendo detto la medesima parola tutti quanti era parso che venisse urlata.

Aaron parve prendersi tempo per spiegare meglio il suo punto di vista.
Quando iniziò a parlare aveva la solita intonazione di quando doveva spiegare un profilo.

“Deve essere un caso come un altro, Haley e Jake sono al sicuro, lui vuole la nostra totale attenzione, non diamogliela; seguiamolo come faremmo con un qualsiasi altro caso, solo in caso di sviluppi avrà maggiore attenzione.”
“Cioè se ucciderà di nuovo?”
Era stato Reid a parlare, con una nota di incredulità nella voce.
“So che pensi che io sia ammattito, ma se ci dedichiamo solo a lui, avrà vinto. Io voglio catturarlo, non farlo godere mentre ci provo soltanto”.

Gli sguardi passarono tra i vari membri della squadra.
Sì, l’idea della momentanea follia li aveva attraversati, ma aveva un senso, forse.

Guardò la pulizia nella stanza, le tracce dell’aggressione erano state cancellate, lo aveva fatto anche lui per Elle, ma quella volta era finita, il mostro non poteva più nuocere, stavolta invece era ancora tutto da risolvere.
Ma conservare il suo sangue sul tappeto o il foro del proiettile non sarebbe servito.
E non avrebbe cambiato appartamento, Foyet gli aveva già disintegrato la vita separandolo da suo figlio, non gli avrebbe dato altre soddisfazioni.

Lui non era Elle, non si sarebbe lasciato sopraffare da quanto accaduto.
Forse.

Il dubbio gli veniva da una cosa che aveva pensato mentre si guardava in giro e ricordava.

A levare di mezzo Foyet con un proiettile in testa non ci penserei due volte, poi posso anche restituire distintivo e pistola come fece lei.

Il computer sul tavolo emise un ronzio, poi si accese ed anche Garcia irruppe nel salotto affollato, distraendolo dal tarlo per qualche istante.

“Buongiorno a tutti, mi hanno inoltrato una cosa, ve l’ho fatta portare. Hotch… è un piacere rivederti fuori dall’ospedale.”
“È un piacere anche per me, l’impianto di collegamento con la sede lo devo a te? Grazie per il lavoro che ti sei sobbarcata”.

Sapeva bene che quel lavoro era stato un extra, non retribuito, solo per fare una cortesia ad un capo troppo testardo, finita quella storia il suo debito di riconoscenza con i suoi colleghi sarebbe stato stratosferico.
Ma sapeva anche che non avrebbero mai presentato il conto.

Arrivò quanto annunciato da Garcia.
Era una cartolina, messa in una busta di plastica per preservarla come prova.
C’era il Mount Saint Helen prima dell’esplosione vulcanica che lo devastò.
Solo il destinatario ed una frase.

Era molto meglio prima, vero?
F.


Morgan esclamò per primo.
“Ma che diavolo?”

Reid iniziò a declamare dati.
“L’eruzione vulcanica lo distrusse quasi totalmente nel maggio del 1980”

Hotch precisò la data
“Il 18 maggio.”
“Sì esatto, ma il fenomeno sismico iniziò mesi prima a Marzo.”

“Non credo conti l’anno o la durata del fenomeno, Reid, il 18 maggio* era l’anniversario del mio matrimonio”.

Un silenzio di gelo scese nella stanza.
E tutti pensarono alle stesse persone, una donna e il suo bambino.






*Pura LdA(Licenza dell'Autrice...)

Idem come in cima
E sì...c'azzecca proprio per niente con quello che stiamo vedendo.
Ma sta cosa l'avevo buttata giù un po' di tempo fa... l'ho solo adattata senza aggiornarla a quello che è andato in onda.


Terzo capitolo

E la donna ed il bambino stavano a centinaia di chilometri da loro.
Con un altro nome a proteggerne l’identità, in un piccolo appartamento in una città densamente popolata, l’appartamento dava su un cortile dove Jake stava giocando con gli altri bambini, vicini di casa.
Nessuno faceva loro domande sul padre del suo bambino, era una donna divorziata con un figlio, come ce ne sono tante.
Un bussare discreto alla porta, uno dei vicini, quello che stava a fianco del suo appartamento con la finta fidanzata, l’altro agente FBI ,che erano la loro scorta.
L’agente si era offerto di aiutarla a mandare un messaggio ad Hotchner.

“Spedirò la lettera da un altro Stato, ma mi raccomando, nessun riferimento a dove siete, nemmeno per parlare delle giornate piovose, potrebbero essere un indizio se la lettera dovesse…”

“Vuole leggerla? Così potrà stare tranquillo. Non ho scritto niente di particolarmente riservato o che lei non possa immaginare”.

“Mi scusi”.
Le disse l’uomo prendendo in mano la busta ancora aperta, mentre lui tirava fuori la lettera ed iniziava a leggere, Haley ripenso a come la sera precedente aveva tentato di mettere sulla carta quello che non aveva saputo dire a parole quel giorno in ospedale.


Aaron ci manchi.Volevo solo tu sapessi che stiamo bene.
Il tuo collega mi ha consigliato di non scrivere troppe cose per evitare che scriva qualcosa che faccia capire dove siamo.
E allora la letterà sarà breve.
Jake guarda ogni sera una tua foto, sfogliamo insieme il libro che tu gli hai regalato, e si addormenta con quella smorfietta buffa che sappiamo bene da chi ha preso.
Sto iniziando a capire solo ora, a viverlo da dentro, cosa sia il tuo lavoro. Meglio tardi che mai, vero?
A casa con noi era il solo momento in cui potevi staccare e mi spiace di non aver mai capito quanto fosse difficile per te.

So che presto tutto questo finirà e so che per te stargli lontano è un dolore troppo grande, resisti, noi abbiamo bisogno di te.
Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

Ti voglio bene, Haley.


L’uomo ripetè le proprie scuse per l’invasione della privacy ed Haley lo fermò.

“La prego, sta solo facendo il suo dovere, magari rischiando pure il posto se… non sarà possibile avere notizie da Aaron vero?”
“No, far recapitare questa spedendola da lontano da qui è ancora una cosa fattibile, recapitare qualcosa qui o nelle vicinanze sarebbe un rischio troppo grande”.
“E scommetto che Aaron si arrabbierà pure per la mia iniziativa”.
“Non credo, non con quello che ho letto”.

L’uomo aveva tentato di risollevarle il morale, ma lei conosceva Aaron ed era tentata di strappargli la lettera dalle mani, ma la voglia di raggiungerlo per dargli almeno un po’ di speranza era troppa.

Sentiva che ne aveva bisogno.

Ora capiva quello che aveva tentato di dirle il mese precedente.

L’avevano informata su chi era l’individuo che aveva quasi ucciso suo marito e li minacciava, le avevano anche mostrato una sua fotografia nel caso fosse arrivato a loro e lo potesse identificare, ma l’avevano anche avvertita che era bravo nei travestimenti.
Niente di eclatante, ma gli erano bastati degli occhiali ed un aria dimessa ed aveva ingannato dei profiler esperti, e lei non era nessuna delle due cose.
Si era inferto delle ferite per risultare tra le vittime e non un sospettato.

E quel mostro ora era lì fuori a minacciare lei e Jake per torturare Aaron, di nuovo.

No, quella lettera non era una cattiva idea.
Era necessaria.
Aaron avrebbe capito, con il tempo.
Forse.

Offrì del caffè all’uomo che rifiutò ed uscì, erano sempre almeno in due e si davano il cambio.
Lei prese una tazza per se, e si mise guardare, dal terrazzino che dava sul cortile, il suo bimbo che giocava, gli avevano spiegato che non doveva dire a nessuno il suo vero nome, e sembrava divertirlo la cosa di usare un nome diverso per gioco.

Lei era in ansia, bastava un niente e avrebbero dovuto cambiare posto di nuovo, la prima volta era stata colpa sua, una telefonata di troppo.

Lei e il suo bambino da soli, sua sorella non aveva pensato a rassicurarla, sapeva che in qualche modo Aaron le avrebbe fatto sapere che lei e Jake stavano bene.

Sua sorella… curioso.
Aveva sempre fatto riferimento a lei, quando le cose con Aaron avevano iniziato ad andare di male in peggio, era da lei che era andata.
Quando Aaron era spesso via era sua sorella che le diceva che doveva pretendere che suo marito si prendesse il suo tempo per la famiglia.
Quando litigava con Aaron lei era sempre a disposizione, per criticarlo.

Ora che non la vedeva e la sentiva da oltre un mese si chiedeva cosa sarebbe successo se invece di essere a disposizione con della benzina a caricarla ancora più di rabbia contro il marito, avesse provato con dell’acqua per spegnere l'incendio.

Sono ingiusta, il nostro matrimonio Aaron ed io lo abbiamo tenuto in piedi e sfasciato da noi, lei ha solo fatto la sorella, e prendeva le mie parti.
Non posso prendermela con lei per questo. Ma a volte… avere un capro espiatorio è utile.

Soffiò sulla tazza prima di prendere un altro sorso di caffè, il vapore sfilò via nella brezza che si era sollevata, chiamò Jake perché rientrasse, e rimosse il pensiero della sorella, almeno per quel momento.

Lontano dalla sua vista l’agente consegnò la lettera al collega che si stava dirigendo a Quantico, non avrebbero potuto dire a nessuno dove stavano Haley e Jake, ma i contatti erano assicurati evitando le poste, però era meglio non dirlo alla donna, dopo quelle telefonate non si fidavano troppo del suo senso pratico.

L’aria stava rinfrescando, l’estate presto sarebbe stata un ricordo, lì l’inverno arrivava presto, ad imbiancare le pendici del monte che si vedeva in lontananza.

Un vulcano, quello che una volta era noto solo come Mount Sant’Helena.


La squadra.
Aaron li aveva spediti tutti fuori da casa sua il giorno dopo, quando al mattino si erano ripresentati per aiutarlo aveva detto loro che si sarebbe tenuto in contatto tramite Garcia e di andare ad occuparsi delle indagini.

Non dal suo salotto.

Nessuno aveva tentato di persuaderlo che stare da solo non era una buona idea, erano tutti ben consapevoli che aveva bisogno di riprendere la sua vita normale, per quanto potesse esserlo senza notizie della sua famiglia.
E lo avevano lasciato in pace, mentre controllava i codici dell’allarme che si era fatto installare in casa quando era ricoverato.
Non era mai stato attivato, fino alla sera precedente, quando in modo cortese, ma fermo, aveva rifiutato che uno di loro si fermasse a dormire sul divano.

Reid gli consegnò alcuni fascicoli che Garcia gli aveva detto che Hotch voleva, e non aveva aggiunto niente sapendo fin troppo bene su chi fossero.
Rossi ed Emily si fecero promettere che avrebbe chiamato per qualsiasi cosa.
JJ gli sorrise senza dire una parola, la sera prima quando era andata a casa ed aveva preso in braccio Henry aveva sentito un sottile senso di colpa, sapeva bene quanto Jake mancasse ad Aaron, lei meglio degli altri poteva capire quello che stava passando.
Derek fu il più riluttante ad andarsene, ma come aveva detto a Rossi, quando questi gli aveva detto come mai non diceva ad Aaron che pensava che fosse troppo presto per tornare al lavoro: gli piaceva il suo lavoro e non voleva perderlo per mettersi contro il suo capo.
Quindi alla fine abbozzò anche lui e si diresse con gli altri alla sede di Quantico, per lavorare ad uno dei tre casi in sospeso.
Penelope era la sola che rimaneva in contatto costante con Hotch, per quanto lui lo consentisse.

Poco, molto poco.

Le indagini
Morgan e Prentiss stavano interrogando un sospettato.
Non si era tolto gli occhiali a specchio nemmeno quando era stato al chiuso, Emily avrebbe preferito vederlo bene in volto, ma questo pareva intenzionato a non farsi guardare negli occhi.
Avevano analizzato tre delitti, trovando un tutti un comune denominatore.
Le persone uccise erano tutti in posizioni di comando, persone di successo.
Un dirigente di una piccola azienda.
Un caporedattore di un network.
Un militare in congedo che teneva conferenze contro la discriminazione all'interno delle forze armate.

E il tizio con gli occhiali a specchio davanti a loro, aveva avuto a che fare con tutti e tre.
Era stato nell'esercito, anche se la pancetta prominente dava l'idea che non avesse continuato a tenersi in esercizio.
Una sua fidanzata lo aveva lasciato e lavorava per il caporedattore del network, ed era stato licenziato dal dirigente ucciso.

Dovevano solo trovare le prove che lo collegassero ai delitti, non aveva un alibi, ed era pieno di moventi.
Una confessione avrebbe fatto al caso loro.

Derek iniziò l’interrogatorio.
"Quando è stata l'ultima volta che ha visto il maggiore?"
"Ex maggiore, lo vidi ad una conferenza la scorsa settimana, due giorni prima che venisse ucciso".
"In passato era stato sotto il suo comando, che tipo di comandante era?"
"Un emerito figlio di buona donna, se crede che pianga per la sua scomparsa si sbaglia. Si riempiva la bocca di parole contro le discriminazioni, ma era solo un bugiardo. Cavalcava solo l'onda del politically correct e niente di più".
"Un astio di vecchia data".
"Se dovessi uccidere tutti quelli che non mi stanno simpatici avrei fatto una strage, e mi sarei anche dovuto suicidare alla fine".

L'uomo non cedeva di un centimetro, non faceva niente per nascondere l'astio verso le persone assassinate, ma proprio per quello diventava difficile pensare che fosse stato lui, non avrebbe saputo controllarsi e le scene del crimine non sarebbero state così intonse e prive di impronte.

Derek ed Emily uscirono un istante per accordarsi e parlare della cosa.
"Non cede e mi sto convincendo che sia solo un tronfio pallone gonfiato".
Disse la donna guardando l'uomo al di là dello specchio, quest'ultimo si tolse per un attimo gli occhiali e si mise a pulirli, rivelando due occhi di colore diverso.
"Ecco perché non si toglie mai gli occhiali, lo infastidiscono le persone che lo fissano per il colore dei suoi occhi".
"No, non se li leva perché è come hai detto prima, è un pallone gonfiato".
"Ma questo non fa di lui un assassino, anzi, stando alla vittimologia, potrebbe essere la prossima vittima, è un caposezione nel settore della farmacologia e... rientra nel profilo del nostro SI".

"Usiamolo come esca!"
"Derek...sei ammattito?"
"Forse".
“Dovremmo sentire cosa hanno scoperto Rossi e Reid”.

Derek chiamò Garcia per sapere se aveva notizie di Hotchner, la donna gli disse che dopo averle chiesto di mandargli alcuni file aveva detto che voleva riposare un poco e aveva spento il computer.
Ma sospettava che stesse semplicemente leggendo e rileggendo il materiale che avevano su Foyet.
Cercando una qualche cosa che dicesse come farlo uscire allo scoperto.
Lui non potè impedirsi di pensare che l’idea dell’esca gli veniva dal discorso di Hotch, ma non sarebbe stato pensabile di mettere a rischio Haley e Jake.
Ma come stanare quel verme di Foyet era una cosa che turbava ognuno di loro, come aveva detto Rossi, chi colpisce uno di noi colpisce tutti noi, Aaron avrebbe dovuto capire che non lo avrebbero lasciato solo contro Foyet.

Mentre lui era al telefono con Penelope arrivarono Dave e Spencer, con dei dettagli interessanti sulle vittime, ognuna di queste persone mostrava una facciata, di perbenismo e gentilezza che nascondeva comportamenti tutt'altro che cortesi.

Il militare si era salvato dalla corte marziale per comportamento indegno solo perché si era dimesso.

Il caporedattore molestava le sue dipendenti, ma non c'erano denunce.

E il dirigente, aveva messo a casa decine di dipendenti mentre lui spendeva a destra e a manca per ville e costose vacanze.

Aaron
Aveva spento il computer, voleva restare da solo e continuava a sfogliare quelle pagine, lì stava scritto nero su bianco come si erano fatti scappare Foyet la prima volta.
Come non avevano capito che era impossibile che Il Mietitore avesse lasciato un superstite.
Del senno di poi sono pieni i fossi, ma era una citazione troppo semplicistica e non gli venne proprio in mente, preso com’era a maledire se stesso per non aver capito.
Avevano avvisato gli sceriffi federali del fatto della cartolina, nel caso avesse una qualche relazione al posto dove erano nascosti Haley e Jake.
Stava aspettando che gli facessero avere notizie, che quella cartolina era solo un riferimento ad un passato che non c’era più e non ad altro.
Riaccese il portatile, chiamò Garcia.
Si fece aggiornare sulle indagini che stavano seguendo gli altri, le disse che aveva bisogno di altri file, le elencò quello che gli serviva, una volta avuto la rassicurazione che presto gli sarebbe stato recapitato tutto a casa salutò, piuttosto bruscamente, e chiuse di nuovo i contatti.

La donna per un momento rimase perplessa, a domandarsi come poteva aiutarlo.
Poi le venne in mente che poteva portargli lei i documenti.
Ma scartò l’idea pochi secondi dopo, immaginando la sua reazione infastidita, se era brusco nei contatti telefonici, meglio stargli a distanza di sicurezza.
Almeno per un po’.

Uno sceriffo federale arrivò alla porta dell’appartamento di Aaron, bussò.
Aaron osservo prima dallo spioncino di chi si trattava, poi lo fece entrare.

Il collega gli spiegò che quando avevano saputo della cartolina avevano immediatamente trasferito lei e il piccolo in un luogo di transizione.
Ad Aaron ghiacciò il sangue nelle vene all’idea che Foyet era riuscito a scoprire dove stavano per ben due volte.
Ma l’agente disse che forse era solo un caso, dato che Mount Sant’Helene era visibile in lontananza anche nella prima destinazione.

Gli consegnò la lettera della moglie e con una scusa, disse che doveva spostare l’auto e sarebbe tornato più tardi, lo lasciò solo a leggerla.

Aaron si mise seduto a leggerla. Gli occhi gli si riempirono di lacrime all’idea del suo piccolo, era il suo compleanno.
E lui non era là a fargli gli auguri.

Rilesse più e più volte la penultima riga.
Ricordati solo una cosa: non hai niente da farti perdonare, niente.

E continuava a ripetersi il contrario.
Ho tutto da farmi perdonare… è solo colpa mia.
Dovevo lasciare questo lavoro due anni fa, e non sarebbe successo niente.


Portò le mani al volto e pianse.
Mentre la lettera cadeva piano sul pavimento, ripiegata in un modo per cui si leggeva solo l’ultima riga.

Ti voglio bene, Haley.




L’agguato

Il rumore della pioggia era l’unico suono che si sentiva.
Un uomo era fermo ad osservare lo scatenarsi degli elementi, da quella posizione poteva vedere la luce accesa nella casa di fronte, il suo bersaglio soffriva d’insonnia.
Ma anche lui come gli altri presto avrebbe riposato, in eterno.

Nella strada rivoli d’acqua scorrevano impetuosi incanalandosi sotto i marciapiedi, portavano nelle fognature le foglie, mozziconi di sigarette e qualche cartaccia; il mattino seguente poteva anche sembrare che avessero pulito, e solo grazie alla furia dell’acqua.

Dall’altra parte, nella casa con la luce accesa, una persona stava leggendo aspettando un sonno che non arrivava. Il fischio del bollitore gli segnalò che poteva prepararsi la camomilla, un abitudine presa anni prima, quando con l’insonnia c’erano anche le chiacchiere con la moglie con cui ci si incrociava di rado.
Piccoli riti:
“Non hai sonno?” “Tu nemmeno?” “È il lavoro?” “Anche…”

Poi era tutto finito, era rimasta solo l’insonnia.
E la tazza di bevanda bollente che serviva a poco, ma ormai era un’abitudine consolidata; sorseggiare piano qualcosa di caldo era diventato un modo per far passare il tempo quando capitavano quelle notti.
E non ci rinunciava quasi mai.

L’uomo che osservava dall’altro lato sì sistemò meglio gli stivali di gomma che aveva ai piedi, da uno degli stivali spuntava un pezzo di carta, forse di un giornale, lo spinse più a fondo facendolo sparire dalla vista.
Un imbottitura.
Era una piccola precauzione, se avessero preso le impronte nel fango del giardino di fronte alla casa, avrebbero dato la caccia ad un tizio con dei piedi di due taglie superiori alla sua.
Piccoli accorgimenti, come i guanti che portava sempre con se.
Se non lo avevano ancora preso lo doveva alla sua attenta pianificazione, ed anche questa volta gliel’avrebbe fatta sotto il naso.
Aveva visto i federali andarsene, li aveva sentiti lamentarsi di non avere una pista.
Li aveva giocati.
Di nuovo.

Sarebbero tornati dopo questa notte, ma avrebbero brancolato nel buio.
E lui avrebbe riso dei loro tentativi.
Quanto potevano essere prevedibili.
A volte troppo e gli toglievano il piacere di sentirsi braccato, era sempre un passo avanti a loro.
Quanto ci avrebbero messo a capire?
Di sicuro troppo per l’uomo di questa notte, per lui arriveranno troppo tardi.

Dall’altra parte la luce si spense, si doveva essere deciso a coricarsi.
E al rumore della pioggia si aggiunsero i passi di chi aveva deciso che era il momento di agire.
Poche lente falcate e fu nell’ingresso, dietro di lui l’acqua scorreva veloce portandosi via le tracce del suo passaggio.

L’incubo
Aaron era riverso a terra, sopra di lui l’oscurità.

Sentiva i fendenti che gli venivano inferti e non riusciva a vedere chi lo colpiva, sapeva che doveva trattarsi di Foyet, sentiva le sue frasi di scherno, non coglieva il significato, ma era di nuovo in suo potere.
Poi si disse che era un incubo, che stava solo rivivendo in sogno l’aggressione e che doveva svegliarsi.
E così fece, ma il dolore non se ne andò, erano i postumi dell'aggressione, ed era ancora nelle sue orecchie anche la voce di Foyet.
“Ora vedrai le vittime in maniera differente, agente Hotchner”

Sì alzò ed andò in bagno a sciacquarsi il viso, sperando di levarsi anche di dosso quella sensazione di nausea che lo coglieva quando riusciva a ricordare nuovi dettagli dell’aggressione.
All’inizio erano stati pochi flash, poi mano a mano era tornato tutto alla mente, non poteva permettersi il lusso di scordare un solo istante, tutto poteva servire, Foyet poteva essersi lasciato sfuggire una frase che li poteva aiutare a trovarlo.

Lo riteneva improbabile, ma non impossibile e allora cercava di ricordare tutti i dettagli di quello che era successo, ma da sveglio, non voleva averlo nei suoi sogni.

Era preferibile non sognare in quel caso, di gran lunga.

Si rimise sotto le coperte, la lettera di Haley sul comodino, vicino alla fotografia di Jake.
L’agente che gliel’aveva portata la settimana scorsa era tornato dopo una mezz’ora, ed aveva preso in consegna una sua risposta alla moglie.
Voleva farle sapere che era loro vicino, che le era grato per la lettera e che non era arrabbiato per le telefonate alla madre.
Forse un poco lo era, ma non era quello il momento per dirglielo, da quello che gli aveva detto il collega lei aveva capito di aver fatto una stupidaggine, e non era il caso di infierire, era già dura così la cosa.

Sì ricordò quello che aveva detto lo sceriffo federale, il luogo di transizione era una cosa temporanea e rapidamente avrebbero cambiato di nuovo posto, ed era sollevato dalla notizia che il profilo di Mount Sant Helene era visibile anche dalla prima locazione, voleva dire che li aveva trovati a causa della telefonata e poi li aveva persi di nuovo.

Per fortuna.

Sapeva che poteva voler dire anche altro, ma aveva bisogno di convincersi che erano al sicuro, o non sarebbe riuscito a concentrarsi su niente altro.
C’era da capire come avesse fatto a trovarli anche quella prima volta.

Cercò di addormentarsi, con in mente il suo bambino che gli correva incontro felice, ecco quello era un bel sogno.
Deglutì piano sperando che potesse sognare solo di Jake, senza interferenze.

Senza incubi.

Il volo
Haley e Jake erano su un piccolo aereo che stava sorvolando le Montagne Rocciose.
Un ennesimo cambio di destinazione, era successo qualcosa ed erano dovuti andare via, ora si stavano dirigendo in una nuova località, l’agente le aveva detto che non era dipeso da lei, ma lei si domandava se nella lettera non ci fosse stato qualcosa che li aveva obbligati alla decisione, o altro.
La risposta di Aaron l'aveva rassicurata, ma sospettava che se anche fosse stato arrabbiato non glielo avrebbe scritto con una lettera, ma avrebbe aspettato che fosse tutto finito.

Il tempo era pessimo, il piccolo velivolo era scosso in continuazione dalla perturbazione in corso.

Ad un certo punto uno scossone più forte degli altri ed iniziarono a scendere troppo velocemente, vide la montagna farsi loro incontro e strinse tra le braccia il suo bambino, soffocando un grido di terrore.



Il rientro

Era tornato al lavoro.
Non poteva più restare a casa, aveva fatto i controlli che venivano richiesti in casi come il suo, ci sono domande a cui rispondere prima di tornare operativi, sapeva che forse non lo ritenevano ancora pronto, ma non poteva rimandare oltre.
Una settimana, dopo le tre in ospedale, era quello che aveva concesso alla promessa che gli aveva strappato Dave.

Mentre era a casa aveva deciso di assegnare il comando della squadra a Derek, la decisione li aveva colti di sorpresa, ma quando aveva capito che ai piani alti si preparavano a silurarlo, ritenendolo non all’altezza, l’unico mezzo per salvare l’integrità della squadra gli era parso quello.

Derek aveva precisato che per lui quello era un ruolo temporaneo, e che una volta catturato Foyet le cose sarebbero tornate alla normalità.
Non gli aveva detto ne sì ne no, aveva solo spiegato al collega cosa lo aspettava, tutta la burocrazia che fino a quel momento aveva sbrigato lui, gli si sarebbe riversata addosso, normalità sarebbe stata una parola sconosciuta ancora a lungo.

Inutile illudersi.

Era passata Emily a prenderlo, non era necessario, ma lei si era offerta e non voleva essere scortese.

Si erano subito diretti su un caso, e lì per ben due volte davanti al sangue rappreso per terra si era sentito venire meno; Foyet aveva ragione, ora vedeva diversamente le vittime, essendolo stato anche lui.
Una volta era rimasto solo silenzioso un istante di troppo, cosa subito notata dai colleghi, che però non avevano fiatato, mentre un'altra era proprio dovuto uscire subito dalla scena del crimine, forse era davvero rientrato troppo presto.

E forse era il caso di accelerare le pratiche per il passaggio di consegne.
Non era solo per timore delle decisioni dall’alto.

Voleva potersi impegnare di più nella caccia a Foyet e quello lo poteva fare solo se passava le beghe ad altri, se Derek avesse intuito le sue reali motivazioni non lo diede a vedere e ascoltava paziente le varie spiegazioni.
Non aveva idea della mole di lavoro che finora gli aveva risparmiato, profili preliminari, le riunioni con JJ per assegnare i casi a loro ed alle altre squadre, il loro era un gruppo unito e rischiare che la direzione lo smembrasse con delle riassegnazioni d’incarichi era impensabile.

Erano stati fuori solo una giornata, ma era stata intensa.
Ed avevano risolto due casi, l’attuale e un vecchio precedente che era rimasto insoluto per oltre trent’anni.
Però il prezzo era stato alto.
Troppo.
Ma non c’era il tempo di pensarci, di casi purtroppo ne avevano sempre che premevano e chiedevano risposte.

E il dopo Foyet pareva allontanarsi con il salire delle pile di cartelle nell’ufficio di JJ.

La notizia
Stava sgombrando l’ufficio, le consegne a Derek comprendevano anche la cessione dello spazio privato di cui godeva, quando vide lo sceriffo federale che aveva in custodia Haley e Jake entrare nell’open space.
Questi lo vide e si diresse subito nella sua direzione, entrò e chiuse la porta dietro di se.

Gli altri osservarono i due uomini parlare, lo sceriffo dava loro le spalle e parlava con concitazione, si vedeva che era molto agitato.
Ad un certo punto Hotch si mise le mani nei capelli stringendo i gomiti davanti al suo viso, poi scattò in avanti e spinse fuori l’uomo, dal basso sentirono una sola frase.

“Dovevano essere al sicuro!”
“Mi dispiace Hotch!”
“FUORI! FUORI DAL MIO UFFICIO!”
Dave uscì dal suo, che stava proprio lì di fianco e fece per domandare qualcosa, ma Hotch chiuse in malo modo la porta e fissandolo al di la del vetro chiuse le veneziane togliendosi dalla vista.
Derek fece per salire da lui, ma Dave gli fece cenno di non farlo, una mano protesa in avanti ad indicare che era meglio lasciarlo solo.

Raggiunse lo sceriffo fino all’ascensore e gli chiese spiegazioni.
Davanti a loro una buona fetta degli agenti ed impiegati erano in silenzio per la scena appena vista e sentirono quasi tutto.

“Non abbiamo ricevuto comunicazioni, cosa è accaduto?”
“Non c’entra Foyet, per quello non avete avuto comunicazioni, e la notizia per ora non è di dominio pubblico”.
“Che notizia?”
“Un incidente aereo sulle Montagne Rocciose, le cattive condizioni atmosferiche non ci hanno ancora consentito di raggiungere il luogo del disastro, ma ci sono poche speranze di trovare superstiti. L’aereo ha lanciato un mayday e poi il silenzio”.
“Ma come avete fatto perché la notizia non trapelasse? È una cosa impossibile con un disastro aereo!”
“Non era un aereo di linea, era un piccolo velivolo, fino a che non li avremo trovati, non ne daremo notizia”.

Dave intuì che doveva esserci dietro qualcos’altro, ma non fece altre domande.

Tornò dal suo amico, che aveva appena avuto la più tragica delle notizie che può ricevere un genitore.

Dave bussò, chiamando il collega, Hotch gli disse di entrare.
Ed anche lui come l’agente si chiuse la porta alle spalle.

Era passato da un pezzo l’orario in cui di solito si andava a casa, ma nessuno della squadra si mosse dall’open space.
Semplicemente aspettavano, senza nemmeno sapere bene cosa dire.

Era chiaro che non c’entrava Foyet, o loro lo avrebbero saputo, doveva essere capitato qualche incidente.
E non c’era niente che potessero fare.
Avevano tutti gli occhi lucidi, Emily ricordava quella volta in cui, quando Haley era ancora sposata con Hotch, erano andati tutti insieme a bere qualcosa, il piccolo Jake dalla nonna e loro tutti insieme come un normale gruppo di amici, quando ancora Haley riusciva a tollerare il lavoro del marito e le ore che lui vi dedicava.
Derek sentiva ancora le braccia del piccolo che lo stringevano mentre lo teneva in braccio quando erano stati a casa loro, temendo che Foyet avesse colpito.

Ognuno di loro si sentiva impotente ed inutile.

Ed anche molto arrabbiato.

Un silenzio irreale era calato negli uffici.
E fuori era ormai buio.
Lo stesso buio che pareva avvolgerli tutti, nella più cupa disperazione, a cosa era servito cercare di proteggere la donna e il bambino se poi quello che Foyet voleva glielo aveva servito il destino?

Derek senti quel piccolo barlume di fede che ogni tanto sapeva di provare, affievolirsi sempre più, come poteva Dio permettere una cosa tanto crudele?



Il silenzio

Nessuno parlava, negli uffici svuotati dal personale non c’erano nemmeno i soliti squilli telefonici a spezzare il suono del silenzio.
Erano tutti seduti a guardare il vuoto, persi nei loro pensieri.
Rossi ed Hotch si decisero ad uscire dall’ufficio.

Hotch si diresse alla porta e prese l’ascensore senza voltarsi nella loro direzione, l’aria stravolta.
Non dette loro il tempo di dire niente, fuggì letteralmente, come inseguito.
Nell’ascensore Hotch continuava a pensare a cosa si erano detti lui e Dave, sapeva che l’amico aveva ragione, ma non poteva fare a meno di sentirsi in colpa.
Voleva restare da solo e sapeva che Dave lo avrebbe accontentato, avrebbe impedito agli altri di fargli domande, avrebbe risposto lui al posto suo, evitandogli altri pesi.
Il silenzio gli parve un rifugio ambito.

Di sopra negli uffici non c’era più il silenzio.
Morgan aveva chiesto a Rossi delle spiegazioni, Reid pensava che non dovevano lasciare Hotch da solo in un momento del genere, Emily, JJ e Penelope erano concordi con lui.
Rossi aveva detto solo.
“Ha bisogno del nostro appoggio, ma ora dobbiamo lasciarlo in pace, datemi retta, ora non serviremmo a niente altro che a farlo stare ancora peggio”.

“E tu credi veramente che sia possibile che stia peggio di così? Haley e Jake dispersi sulle Montagne Rocciose, l’unica cosa che può peggiorare è avere la certezza della loro morte!”

“La voce ha già girato vedo, eravamo davanti all’ascensore quando ne ho parlato con lo sceriffo”.

“Credevi davvero che la cosa sarebbe rimasta chiusa nell’ufficio?”

“No, ma se Foyet lo scopre non potremo… usare Haley e Jake come esche per catturarlo!”

“È mostruoso! Forse sono morti e tu…”

“E io penso a catturare colui per cui stavano scappando e che li ha uccisi, anche se non con le sue mani, resta sempre colpa sua”.

“Dave ha ragione, non far sapere che… che… sì insomma non farglielo sapere è l’unico modo per farlo uscire allo scoperto, ma la cosa si scoprirà non appena troveranno… il velivolo”.

“Non è detto, potremmo sempre tenere segrete le loro identità, non erano registrati con il loro nome su quel volo, e nessuno, agenti FBI compresi, dovrebbe sapere quali erano i nomi che usavano”.

“Mi sembra mostruoso lo stesso”.

“Perché lo è, ma dobbiamo catturare un mostro”.

A quella frase seguì un altro innaturale silenzio, ognuno guardava l’altro sperando in una risposta che non poteva arrivare.
Penelope fu la prima a cedere, iniziò con un singhiozzo, Derek la prese tra le braccia lasciando che si sfogasse, non c’erano altri suoni nell’open space.

Derek ripensò alla settimana prima, l’altro caso e il pensiero che gli era venuto quel giorno e che aveva scacciato.
Esche…come quel giorno.

La trappola
La settimana precedente, sotto il nubifragio.

Un taglio netto al filo che portava la corrente all’allarme; con delle pressioni calibrate in più punti la serratura aveva ceduto, ora era dentro la casa.
Era stato facile, non aveva fatto rumore, attraversò la cucina e si ritrovò in un ampio ingresso, davanti a lui la scala che portava alla stanza da letto.
Salì, un primo gradino un leggero scricchiolio, il secondo stavolta il silenzio, al terzo all’improvviso si accesero le luci e partì una sirena lacerante.
Tornò rapidamente sui suoi passi, ma quando fu alla porta scoprì che non era così furbo come si credeva, gli agenti erano lì fuori ad aspettarlo.

Mentre un altro scendeva dalla scale con la pistola spianata.

“Fermo, le mani sopra la testa, getta la pistola!”
Non gli rimase che obbedire, si mise carponi come gli veniva ordinato.
“Ha il diritto di rimanere in silenzio…”
Fece una domanda
“Credevo di averlo disattivato l’allarme, ce ne era un altro?”
“…qualsiasi cosa dirà potrà essere usata contro di lei, ha capito i suoi diritti?”
L’agente gli aveva sciorinato l’elenco completo dei suoi diritti, ignorando la sua domanda.

Si guardarono fissi, stavolta non c’erano gli occhiali a specchio a permettergli di non farsi guardare negli occhi, l’idea iniziale di Derek era stata esatta, il profilo corrispondeva, poteva anche essere una vittima, ma era invece il loro soggetto ignoto, che si era creduto al sicuro e aveva tentato di colpire di nuovo.
Credendo che se ne erano andati senza scoprire altri dettagli.

Ma loro lo aspettavano, avevano fatto un profilo inverso, cercando di capire chi poteva essere la prossima vittima, ed avevano ristretto il campo a due soggetti, entrambi sotto sorveglianza.
Sapevano essere discreti quando lo volevano.

L’uomo che lui avrebbe voluto aggiungere alla sua lista di vittime aveva aspettato che gli agenti tornassero alla sua casa dopo che si erano allontanati, una volta al sicuro aveva spento la luce, facendogli credere che poteva agire indisturbato.

E lui ci era cascato.

Aveva creduto alla sceneggiata che avevano messo in atto alla centrale quando avevano parlato di voler usare lui come esca.
Quando pensava di essersi preso gioco dell’agente Morgan e invece, era stato giocato.

Pensava di essere un passo avanti a loro e invece, era lì in manette non poteva più nuocere, e tutti loro non vedevano l’ora di poter eseguire lo stesso servizio anche per qualcun altro.


Il capo
Derek tornò al presente, guardò fisso Rossi e si disse che se c’era qualcosa che lui ed Hotch gli volevano tenere nascosto li avrebbe messi alle strette, non poteva essere il capo se non era a conoscenza di tutti i dettagli.
Ma avrebbe aspettato di essere da solo con Rossi per fargli domande, voleva evitare di fare la figura del paranoico davanti a tutti gli altri.

Rossi intercettò il suo sguardo e si chiese cosa stesse rimuginando il collega, anzi… il suo capo.

Doveva abituarsi all’idea di Derk Morgan come superiore, era qualcosa a cui non aveva mai dedicato troppi pensieri, quando lui era rientrato al BAU un paio di anni prima sapeva che Hotch era il capo e mai lo avrebbe messo in discussione, aveva le sue questioni in sospeso.
All’inizio erano stati scontri, sul metodo, quando l’unità era stata fondata il lavoro lo svolgevano con altre metodologie, ognuno per se, ma con il tempo aveva imparato a fare lavoro di squadra, con questa squadra e non l’avrebbe cambiata con nessun’altra.

Se questo voleva dire accettare Derek come capo, poteva farcela, ma chissà se lui avrebbe retto alla tensione, ben presto sarebbe stato messo alla prova e certe libertà che si poteva prendere come agente avrebbe dovuto scordarsele con il nuovo ruolo.
E una di quelle libertà era lì tra le sue braccia a singhiozzare disperata per la presunta morte di un bambino e della sua mamma, le avrebbe saputo mentire?

Presto lo avrebbero scoperto.

“Derek andiamo nel tuo ufficio, Hotch lo ha sgomberato e devi prenderne possesso, quando il vicedirettore Strauss passerà domani mattina tu devi essere insediato”.

“Non credi che il vicedirettore potrebbe avere un po’ di pietà per quello che sta succedendo?”

“Allora ho parlato al vento prima? Non si deve sapere che è successo qualcosa”.

“Prendo le mie cose”.

Forse deve dirmi qualcosa e non vuole farlo davanti agli altri, allora ho visto giusto.

Penelope si scusò per il suo crollo, ognuno di loro cerco di rincuorarla e mentre Dave e Derek salivano all’ufficio si voltarono un attimo a guardarli, tutti per uno uno per tutti.
JJ aveva una mano sulla spalla di Penelope, Emily le teneva una mano tra le sue, Reid si reggeva sulle stampelle ad un passo dalle tre donne.

Arrivati all’ufficio Rossi fece entrare prima Derek, poi chiuse la porta dietro di se e si voltò pronto ad affrontarlo.

“Sai che quello che ti sto per dire loro non lo potranno sapere fino a che tutto non sia finito!”

“Sono profiler come te e me, avranno capito che sta succedendo altro, come pensi di tenerglielo nascosto?”

“Mentiremo”.

Derek guardò il collega e si chiese se fosse impazzito, una delle regole per la squadra era di non avere segreti gli uni per gli altri, almeno per quello che riguardava il lavoro, era una delle regole di Hotch.

Ma stavolta era diverso, stavolta era lui la vittima.
E forse è per questo che mi ha passato il comando…


I Segreti

Dave riaprì le veneziane, fece segno a Derek di sedersi sul divanetto dello studio, lì non erano visibili dall’esterno, e prese posto su una sedia di fronte a lui.
Derek fece quanto gli era stato indicato e mentre osservava il collega pensava che gli sembrava di essere tornato indietro, a quando Rossi era appena rientrato nell’Unità e metteva in discussione il metodo con cui si lavorava: In gruppo.

Hotch deve avere delle ottime ragioni per agire in questo senso, non voglio credere che sia sconvolto a tal punto da Foyet da rinnegare le sue stesse regole.

Mentre i due si confrontavano in ufficio, Aaron era alle prese proprio con quelle regole.
La squadra era per lui come una famiglia e l’idea di mentire lo ripugnava, ma non c’erano alternative.
Rivisse quello che era capitato nell’ufficio poche ore prima.

Sam era entrato chiudendosi la porta alle spalle, lui si era subito alzando preoccupato per Haley e Jake, ma il collega lo aveva rassicurato.
“Loro stanno bene, ma dobbiamo far credere il contrario, se Foyet riceve informazioni dall’interno è il solo modo di scoprirlo”.
“Ma come?”
“Intanto dovresti cacciarmi fuori in malo modo, ti ho appena comunicato che sono dispersi sulle Montagne Rocciose, dovresti essere infuriato con me”.

Aaron si coprì il volto con le braccia per poter pensare e parlare senza essere visto.
“Non la mia squadra, mi fido ciecamente di ognuno di loro!”
“Nemmeno io penso ad uno di loro, ma non sono attori e senza un minimo di preavviso la loro reazione sarà più convincente, l’informatore deve credere nel loro dolore, quando verranno informati della notizia”.

Aaron serrò ancora più forte i gomiti davanti al volto.
“Non posso far loro questo!”
“Devi! Se può aiutarti a cacciarmi fuori a pedate, con convinzione, sappi che per un paio di minuti sono stati sul serio in pericolo, la tempesta era peggiore di come immaginavamo”.

Le certezze di Aaron vacillarono all’idea del rischio corso dai suoi cari, scattò in avanti e spinse l’uomo fuori dal suo ufficio gridandogli contro, con la coda dell’occhio vide David uscire dal suo, prima che l’amico gli facesse anche solo una domanda sbattè la porta e lo fissò mentre chiudeva le veneziane, aveva bisogno di tempo.

Sapeva che Sam si sbagliava, i suoi avrebbero saputo fingere senza farsi scoprire, ma non c’era il tempo di avvertirli e indire una riunione sarebbe parso strano e la talpa avrebbe mangiato l’intero albero, non solo una foglia.
L’idea di farli stare male lo faceva sentire un verme.

Ma erano Haley e Jake, la sua famiglia, se per salvare l’una doveva sacrificare l’affetto e la fiducia dell’altra lo avrebbe fatto.
Non sapeva ancora come, ma aveva preso una decisione e non sarebbe tornato indietro.
Catturare Foyet e l’eventuale complice era la sua priorità, ora era Derek il capo, degli altri casi si sarebbe occupato lui.
Sentì bussare, la voce di Dave che lo chiamava, gli disse di entrare.
Uno sguardo e capì che al collega i conti non tornavano.

“Non sono veramente dispersi vero?”
“Sono al sicuro, ma ho bisogno che nessun’altro lo sappia, con Sam abbiamo studiato un piano, sospettiamo che nel nostro ufficio ci sia qualcuno che è in contatto con Foyet, deve credere che li stiamo cercando, l’idea di Sam è di dare delle indicazioni su un luogo ed attirare là Foyet o il complice”.
“Ma noi sappiamo che Foyet agisce da solo”.
“Quando uccide agisce da solo, qualcuno che gli da una mano deve esserci o certe cose non si spiegano!”
“E come avrebbe fatto questo fantomatico informatore a sfuggirci?”
“Qualcuno a cui non badiamo troppo, un impiegato che fa solo avanti ed indietro per gli uffici, senza mai essere operativo sul campo, un fattorino, magari qualcuno delle pulizie”.
“Lo sai che…”
“… rasento la paranoia, sì lo so, ma non posso aspettare la prossima mossa di Foyet”.

“Quando ti sei messo d’accordo con Sam?”
“Abbiamo parlato dell’ipotesi di una talpa qualche giorno fa, ha detto che avrebbe studiato qualcosa per poter mettere al sicuro Haley e Jake con delle false indicazioni, ma non mi ha spiegato cosa intendeva fare, a dirla tutta non lo ha nemmeno fatto ora, so solo che nessuno deve sapere che loro stanno bene”.
“A Derek dovrai dirlo, come farà a dirigere la squadra se non conosce le tue intenzioni”.
“Se ora lo faccio salire, e l’informatore è ancora in giro, inizierà a sospettare qualcosa, parlo ad uno alla volta in privato? È sospetto”.

“Hai ragione, tu esci e vai a casa, io li tratterrò qui dentro e parlerò con Derek da soli, con la scusa che deve insediarsi nell’ufficio”.
“Mi sento una merda a mentire in questo modo, su una cosa del genere!”
“Hotch, saprebbero fingere, ma un sospiro di sollievo lo avrebbero anche inconsciamente e come hai detto prima l’informatore lo noterebbe, meno gente sa meglio è, ti perdoneranno una volta che Haley e Jake saranno sani e salvi. E tu perdonerai te stesso nel momento in cui potrai riabbracciare tuo figlio”.

“Spero tu abbia ragione, vorrei avere le tue certezze”.
“Le hai, si sono solo prese una pausa, torneranno.
Ora andiamo o i ragazzi manderanno una squadra SWAT a stanarci, fila via senza voltarti nella loro direzione, ci penso io”.
Aaron rivolse all’amico un sorriso grato, per aver tentato di stemperare la tensione del momento.

Dave terminò il resoconto a Derek .
Che era rimasto letteralmente senza parole.
Sollievo per sapere che Haley e il piccolo stavano bene, rabbia per essere stato ingannato, ansia per la decisione presa da Hotch.
Le emozioni si susseguirono sul suo volto, ora avrebbe dovuto affrontare le lacrime di Penelope senza poterla consolare, anzi se le avesse intuito qualcosa avrebbe dovuto ingannarla una volta di più, lo sguardo smarrito di JJ, che pensava al suo bambino e si sentiva male due volte come amica e come madre, la compostezza di Emily che era stata capace di tentare di consolare entrambe, il silenzio di Reid, legato ad Hotch come un figlio con il padre.

Ora capiva la fuga in ascensore di Hotch, non poteva affrontarli, non subito e non tutti insieme.

Uscirono dall’ufficio e Derek invitò i suoi colleghi ad andare a casa a riposarsi, la mattinata seguente sarebbe stata dura ed era già piuttosto tardi.
Li vide uscire mesti dall’open space e sentì per la prima volta il peso della responsabilità degli uomini sotto il suo comando, dover aspettare per informarli era sbagliato, ma necessario.
Rossi gli disse qualcosa sul fatto che anche ad Hotch capitavano giornate in cui non avrebbe voluto essere il supervisore dell’unità; Derek avrebbe voluto gridargli di stare zitto, ma non poteva non era con lui che era arrabbiato.

Prima di oggi, sarà mai accaduto ad Hotch di avere voglia di gridare? Non sarò mai alla sua altezza.

Doveva aver detto l’ultima parte della frase ad alta voce, perché Dave gli rispose:
“Se ha scelto te è perché ti riteneva in grado di svolgere l’incarico, sarà anche un po’ in crisi, ma sa ancora valutare il prossimo”.

“Lo so è che…”
Si interruppe senza saper bene cosa voleva dire.
Dave gli strinse una spalla e gli indicò l’uscita.
“Se andassimo a riposare pure noi altri?”
“Ottima idea”.

Sicurezze
Stava spuntando l’alba, la notte era stata occupata quasi per intero da incubi, erano sull’aereo e si avvicinavano sempre più alla montagna, senza virare.
Al secondo risveglio carico d’ansia aveva deciso che ne aveva avuto a sufficienza, alzandosi e preparandosi un caffè aveva lasciato la mente libera di vagare nei ricordi.
Perché continuava a sognare la loro morte?
Sam era stato rassicurante.
Erano al sicuro e lo erano stati anche in volo.
Ricordò quei momenti.

Alcuni giorni prima…

Sam le stava spiegando cosa sarebbe successo nelle prossime ore.
“Dovremo evitare i radar della torre di controllo, per cui ci avvicineremo alla montagna durante il volo, ma stia tranquilla il pilota è in gamba, ci porterà in una pista sicura”.
“Ma ci cercheranno!”
“No, eviteremo che si sprechino risorse per chi dovesse aver bisogno sul serio delle squadre di ricerca, diremo che la cosa è sotto tutela dell’FBI, il che poi è la verità”.
“Ed Aaron?”
“Lo avviserò a cose fatte, l’idea di nascondervi dandovi per dispersi me l’hanno data dei recenti avvenimenti, e il nostro pilota ha messo a punto il piano”.
“È un agente anche lui, vero?”
“Sì”.
“Quindi i suoi familiari non sapranno niente fino a missione conclusa? Lo crederanno morto o ferito?”
“Purtroppo sì, se non fosse che il piano l’ho studiato con Aaron persino lui ne sarebbe all’oscuro”.
“Fate un lavoro orrendo… mi scusi!”
Sam le sorrise, per niente ferito od offeso dall’affermazione della donna.
“Non si scusi, è spesso così”.
Quante volte sarà capitato ad Aaron di non potermi rivelare qualcosa?
Con quella domanda inespressa colse con gratitudine il sorriso dell’uomo.

Raccolse alcuni giocattoli che Jake aveva lasciato in giro e terminò le loro valigie.
Andarono al piccolo aeroporto e, nonostante stesse iniziando a piovere, partirono in direzione delle montagne.
Gli scossoni si susseguirono nel corso del volo, il pilota prese a scendere dopo aver lanciato un segnale di soccorso e lei soffocò un grido vedendo la montagna andare loro incontro, ma Sam era calmo e tranquillo, così lei si limitò a stringere a se il suo bambino che vedendo loro tranquilli stava prendendo la cosa come un giro sulle montagne russe.
“È normale ballare un poco, non si preoccupi, questo pilota ha affrontato fortunali peggiori. Presto saremo al sicuro”.
“Mamma, guarda laggiù, un orso!”
Infatti sotto di loro un grosso grizzly stava smovendo un albero, forse per far cadere un favo di api e cibarsi del miele, lo videro solo per pochi secondi, ma Jake lo aveva notato subito.
Ne avevano visto un documentario pochi giorni prima e ne era rimasto affascinato.
Quelli pescavano salmoni in Canada, ma erano dettagli che al bambino non interessavano, era il fatto di averne visto uno dal vivo e non allo zoo che lo aveva colpito.
“L’ho visto, era proprio grande”.
Era molto orgogliosa del suo ometto, e sapeva che anche Aaron lo sarebbe stato se lo avesse visto.
Poi lo vide farsi speranzoso e le si strinse il cuore sapendo cosa stava per chiederle.

“Stiamo tornando da papà?”
“Non ancora, tesoro… non ancora”.
Per quanto Jake non fosse abituato a vedere spesso il padre, non era mai stato un intero mese senza che Aaron passasse a stare un poco con lui, nemmeno una settimana.
Per quanto a volte non fossero che pochi minuti, per Jake erano tutto.
Sam cerco di distrarre il piccolo indicandogli una cosa che si vedeva ora sotto di loro.
“Guarda Jake, quello è un Geyser, sai si chiama come me, Sam… il vecchio fedele Sam”.
“Perché vecchio fedele?”
“Oh perché emetteva un getto di vapore ogni 56 minuti, fino a un po’ di anni fa. Poi dopo un terremoto divenne un po’ meno preciso, ma guarda il getto c’è ancora.”
Il bambino parve soppesare le parole di Sam.
“Quando passerà il nostro di terremoto potrò rivedere papà?”
Sam guardò Haley sconsolato, il suo tentativo era miseramente fallito.
Lei gli sorrise per il tentativo.
Poi guardò il suo bambino e gli disse, cercando di mettere più sicurezza possibile nella propria voce.
“Sì, quando sarà tutto passato lo rivedrai”.

Tornò al presente, guardò il suo piccolo che dormiva sereno, certo che presto avrebbe rivisto il suo papà e a lei non restava che sperare che la sua promessa potesse essere mantenuta alla svelta.
E non solo per tornare alla propria vita.
C’erano delle cose che voleva chiarire, c’erano delle questioni rimaste in sospeso tra lei ed Aaron e la sua risposta alla sua lettera le aveva fatto capire che era così anche per lui.

Ciao
Anche voi mi mancate, non sai quanto.
Mi mancano persino le nostre liti sul mio lavoro, quello che avrei dovuto lasciare quando me lo hai chiesto.
Ho messo il lavoro davanti alla famiglia, mio fratello una volta me lo aveva detto che passavo troppo tempo in ufficio, che stavo diventando come nostro padre, ma io non gli ho dato retta e ti ho persa.
Non si può tornare indietro e il mio lavoro era la cosa che mi rimaneva dopo il divorzio, ma ora… non so nemmeno se sarò in grado di farlo ancora, il tarlo di quello che ci sta facendo quel verme è una cosa che non mi da tregua.
Non potrò mai perdonarmi, mai.
Vi voglio bene, Aaron.

Sapeva che non si stava parlando di una riconciliazione, troppe cose erano state dette e fatte.
Le spiaceva che lui non si perdonasse, ma non poteva impedirgli di starci male, glielo aveva scritto che non aveva niente da farsi perdonare, ma forse avrebbe potuto farlo solo dopo che tutto fosse stato alle loro spalle.

Un ricordo.
Un incubo da dimenticare.

Perché era sicura di una cosa, Aaron lo avrebbe preso, quella era una delle poche sicurezze che aveva.
E se la sarebbe tenuta stretta.



L’ufficio

Derek era entrato per primo in sede quel mattino, appena aveva visto Hotch varcare la soglia e dirigersi verso quella che era la sua scrivania nell’open space lo fermò.
“Non ho portato le mie cose di sopra, voglio che quello resti il tuo ufficio”.
“Derek non puoi, devi avere un minimo di privacy”.
“No, quello è il tuo ufficio e non intendo discuterne, se alla Strauss non sta bene sarà lei ad avere un problema, non io”.
Aaron fissò il collega per alcuni secondi, poi con un grazie appena udibile salì di sopra e vide che Derek aveva già rimesso le cose che lui aveva ritirato in un paio di scatole al loro posto sulle mensole e sulla scrivania.
Guardò nella sua direzione, ma Derek gli dava la schiena; stava sistemando le cartelle di alcuni rapporti su un tavolo a pochi metri dal centro dell’open space, avrebbe ricevuto lì il vice direttore Strauss.

JJ arrivo pochi istanti dopo e si diresse da Hotch come da abitudine, poi le venne in mente che ora il caposquadra era Derek e tornò sui suoi passi.
Si rivolse all’uomo che aveva notato la sua esitazione.
“Scusa, la forza dell’abitudine!”
“Non preoccuparti.”
“Derek, sai se… sai se gli hanno fatto sapere qualcosa?”
“No, non gli ho chiesto niente, immagino che ne parlerebbe se potesse”.
“Mi domando come faccia a venire a lavorare…”
“Credo sia per pensare anche ad altro”.
“Io non ci riuscirei, ma Hotch non è me”.

Derek fissò la giovane donna davanti a lui, se ingannava lei forse ce la poteva fare anche con gli altri.
Forse.
Si misero a studiare i rapporti che lei aveva selezionato la sera prima, ora dovevano scegliere un caso, ce ne era uno particolarmente efferato, su cui la polizia locale non aveva indizi.
Mentre degli altri qualche pista da seguire ce l’avevano, quindi erano propensi a seguire quello, dove potevano essere più utili.

Arrivarono anche gli altri, Derek tenne la riunione con il vicedirettore, Aaron tornò a chiedere che prenderessero il suo ufficio, Derek fu irremovibile e chiese che le sue decisioni fossero rispettate.
JJ disse qualcosa a Penelope, che le sorrise e si diresse ai suoi computer.
Mentre la squadra era fuori ad occuparsi del caso Penelope sistemò un paio di cose con un dipendente prossimo alla pensione, ed al suo rientro Derek ebbe un ufficio tutto per lui.

In quelle due giornate nessuno fece domande ad Aaron, sapendo che era in contatto con le squadre di ricerca, e non volendo pensare al peggio.
Penelope un pomeriggio chiamò Derek nel suo ufficio, voleva usare i satelliti per vedere se riusciva a rintracciare il punto esatto dell’impatto, ma se serviva il posto da dove erano partiti e dove erano diretti per farlo.
“Non farlo Garcia”.
“Cosa? Ma sono Haley e Jake, non possiamo stare ad aspettare!”
“Non credi che Hotch te lo avrebbe già chiesto se pensasse che potresti aiutarli a trovarli?”
“Forse è troppo sconvolto, ma noi siamo qui per aiutarlo”.
“Non intrometterti, gli sceriffi federali si stanno occupando della cosa e…”
“…MA è QUESTO IL PUNTO” La donna aveva gridato, ma quando se ne rese conto abbassò la voce.
“Non se ne stanno occupando, capisci? Non ci sono squadre di ricerca, non sulle Montagne Rocciose almeno, cosa stanno facendo?”
“Garcia, stanno facendo il loro dovere, e la cosa non si deve sapere, non ci sono rapporti ufficiali, non fino alla conclusione della cosa!”
“Derek Morgan… se mi stai nascondendo qualcosa…”
“Ci sono un sacco di cose di me che ti nascondo, piccola!”
Aveva cercato di mettere un intonazione ironica nella voce, doveva assolutamente distrarla o avrebbe capito.
“Oh, ma tu provochi!”
“Rimettiti al lavoro e lascia stare gli sceriffi, ok?”
“È un ordine?”
“Sì”.
“Agli ordini capo!”

L’idea di non lasciare perdere per niente la sfiorò, ma poi si disse che nessuno più di Hotch doveva desiderare notizie dei suoi cari e che le avrebbe chiesto aiuto se avesse pensato che poteva darglielo.
Le venne per l’ennesima volta un magone indicibile a pensare ad Haley e al bambino.
Ricordava ancora benissimo cosa era successo pochissimi giorni prima.
Sam era passato con un filmato ricavato dall’auto di sorveglianza, si vedeva Jake che andava sull’altalena, era distante e non poteva zoomare troppo sull’immagine o si sarebbe sgranata, poi il piccolo si allontanò, ma nel farlo prima passava proprio davanti all’automobile permettendo ad Aaron di vederlo almeno un pochino.
Aveva sentito il suo saluto al piccolo e aveva faticato a trattenere le lacrime.
Come adesso.

Andò in bagno a rinfrescarsi e passò davanti al nuovo ufficio di Derek, stava tenendo tra le dita la targhetta con il suo nome, e parlava al telefono.
Aveva l’aria stanca.
Come tutti loro del resto.

Intanto Hotch era nel suo di ufficio, stava scrivendo qualcosa e ogni tanto distoglieva lo sguardo da cosa scriveva per guardare torvo una cosa alla sua destra.
Una cartellina, i cui primi numeri erano 666… già proprio evocativi come numeri, mai quanto la foto e il nome sulla stessa però… era il file di Foyet, uno di quelli che si era fatto portare a casa settimane prima.
Distolse lo sguardo, la cartellina sarebbe dovuta diventare una cenere fumante dopo quell’occhiata, e scrisse con maggior vigore.
Derek gli aveva fatto un grosso favore lasciandogli l’ufficio, nessuno che facesse domande.
Solo.

Era quello che gli serviva in quel momento, evitare che gli facessero il profilo notando l’ossessione che era ormai centrale nella sua vita.
Catturare Foyet e niente altro.

E cercare di non pensare al dopo.

Doppio gioco

Un mattino Hotch avvisò che non sarebbe stato al lavoro, Dave e Derek fecero in modo che l’intero ufficio ascoltasse per caso una loro conversazione in cui nominavano un posto dove potevano essere Haley e Jake.
Non lontano da dove poteva essere precipitato l’aereo, con il dettaglio che c’erano solo feriti e non vittime.
Così la talpa avrebbe pensato che non li avevano ancora rintracciati con sicurezza e che se avvisava Foyet lui avrebbe potuto precedere gli agenti, avendo dei dettagli in più.
Dettagli forniti da Garcia, che si sarebbe fatta sfuggire inavvertitamente dove secondo lei dovevano cercare, ma l’area era vasta diversi chilometri e lei aveva lasciato intendere che dal cellulare di uno degli agenti di sorveglianza si poteva risalire alla posizione precisa.
Ma lei non conosceva tutti gli agenti incaricati.

L’esca era pronta, ora dovevano solo aspettare che il pesce abboccasse.

Nessuno dagli uffici usò il telefono, ma se il complice era furbo non lo avrebbe fatto dall’interno.
Ma qualcuno spulciò i tabulati telefonici dell’agente che sarebbe dovuto essere sull’aereo con Haley e Jake, non scoprirono chi era stato, fino a che non arrivo una chiamata.
Diversi impiegati avevano lasciato gli uffici verso mezzogiorno, uno di loro fece sapere che si era sentito male e chiese di poter restare a casa.
Rossi e Derek si scambiarono un occhiata eloquente ed avvisarono Hotch.
Hotch era nella zona in cui avevano predisposto la trappola, alcuni rottami ed una tenda d’emergenza, come se il pilota avesse approntato un minimo di sicurezza contro il maltempo, dopo un atterraggio d’emergenza andato a buon fine.
E il cellulare di quell’agente all’interno della tenda.

Passarono alcune ore ed un uomo con indosso un’incerata si diresse sul sentiero reso scivoloso dalle piogge, aspettarono che si avvicinasse, poi la trappola scattò.
L’uomo fu colto di sorpresa e tentò la fuga verso la gola, nella corsa perse l’equilibrio e scivolo lungo il canyon.
Videro il corpo sbattere contro le rocce, avrebbero dovuto scendere a recuperarlo per assicurarsi della sua identità.
Hotch chiamò JJ e le chiese di far diramare un comunicato stampa in cui si affermava che Foyet “Il Mietitore” era caduto in un imboscata dell’FBI.

La donna eseguì il comando, stupita della facilità con cui era caduto in trappola.
Disse delle sue perplessità a Derek, che le rispose stando sul vago, con accenni al fatto che forse il vedere frustrati i suoi progetti di torturare a lungo Hotch lo avevano reso imprudente.

Alcune ore dopo Hotch andò alla sua auto, aveva lasciato gli altri sul campo a recuperare i resti dell’uomo.
Chiamò Rossi e gli fece sapere che intendeva dirigersi al più presto da Haley e Jake.
E si diresse con l’auto verso l’interno del parco.
Guidò per un pezzo, e si fermò davanti ad un capanno isolato.
Rimase per qualche istante sulla porta come indeciso, poi la aprì.
Mentre stava entrando qualcuno gli arrivò alle spalle e lo sbatté a terra.

“Credevi veramente di esserti liberato di me, agente Hotchner? Non sei stato capace di proteggere la tua famiglia, pensavi davvero che sarei caduto in quella stupida trappola? Il tuo ultimo pensiero sarà che loro sono morti e tu non li hai salvati”.
“È quello che credi tu!”

Con un calcio ben assestato fece cadere l’uomo che stava sopra di lui, stavolta il vantaggio della sorpresa era suo, sapeva che Foyet non doveva essere lontano, ma doveva farlo uscire allo scoperto.
E far credere che lo pensavano morto era un modo perfetto, per chi vuole vedere riconosciuta la propria grandezza criminale non c’era smacco peggiore che passare per uno che si fa fregare da una banale imboscata.
Non poteva tollerarlo e su quello Aaron aveva contato quando aveva dettato quel comunicato a JJ.

Hotch fece fuoco, lo colpì ad una spalla.
Poi rimase per qualche istante pensare a come sarebbe stato facile liberarsi di lui per sempre.
Nessuno gli avrebbe mai contestato la legittima difesa, quello era un pericoloso serial killer.
Ma l’agente ebbe il sopravvento sull’uomo, come sempre.

Foyet tentò di provocarlo mentre lo ammanettava.
“Sei un vigliacco, non hai nemmeno il coraggio di finirmi”.
“Ci penseranno altri a decretare la tua fine!”

Arrivarono anche gli altri, allertati da Rossi si erano subito diretti sulle coordinate del gps del suv di Hotch, che aveva passato loro Garcia.
La trappola aveva funzionato.

Ma Foyet non aveva ancora finito di spargere veleno.
“Oh sai è stato divertente sfasciare la tua famiglia”.
“Tu non hai sfasciato niente, loro sono sani e salvi ben lontani da qui”.

Reid e Prentiss si voltarono verso Derek che volse loro i palmi in avanti come a dire che aveva le mani legate.

“Ma io non mi riferivo alla loro morte, io avevo capito che quella era una farsa, ma chiedi alla tua signora se conosceva l’agente che è precipitato in quel canyon, sai… era un pezzo che vi tenevo d’occhio e lui è proprio capitato nel momento giusto”.
Lo spinsero nell’auto e finalmente non dovettero più ascoltarlo.

Aaron rimpianse di non avergli sparato in piena fronte, cosa stava dicendo quel pazzo?
Che si era preparato anni prima della morte di Shaunessy a colpire proprio lui?
Che sapeva che lui era ossessionato a tal punto dalla sua cattura, fino dalla sua prima comparsa un decennio fa, che non si sarebbe mai dimesso dall’FBI fino a che non fosse tornato a colpire?
Troppe cose, tutte in una sola volta.
Mentre portavano via Foyet, Hotch consegnò distintivo e pistola nelle mani di Derek e chiese a Sam, che li aveva raggiunti, di portarlo da Jake e da Haley.

Derek rimase interdetto davanti al gesto di Hotch, e non gli venne niente da dire per fermarlo.
Anche gli altri restarono stupefatti dalla cosa e guardavano il distintivo di Hotch come se fosse stato un serpente pronto a morderli se avessero fiatato.
Hotch salì nell’auto a fianco di Sam e scambiò una sola occhiata con Rossi, che gli fece un cenno di assenso con il capo, e per la prima volta da mesi sul volto di Aaron si disegnò un vero sorriso, accompagnato da un lungo sospiro.

Edited by rabb-it - 16/12/2011, 01:06
 
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